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Igor Palmieri Quintet
Have a nice day
1. La canzone di Marinella (Fabrizio De Andrè)
2. Dindi (Antonio Carlos Jobim)
3. Stolen moments (Oliver Nelson)
4. I remember Venice (Tiziano Tancini)
5. Dear old Stockholm (Will Vinson)
6. Pannonica (Thelonius Monk)
7. Roma nun fa’ la stupida stasera (Armando Trovajoli)
8. Midnight voyage (Michael Brecker)
9. Like someone in love (Jimmy Van Heusen)
Igor Palmieri - sax tenore
Daniele Goldoni - tromba
Tiziano Tancini - piano
Nicola Mazzoni - contrabbasso
Enrico Caimi - batteria
Have a nice day è il primo disco di Igor Palmieri, frutto di un bisogno,
di dover fare il cosiddetto "punto della situazione" sulla strada che si è deciso
di intraprendere tempo fa e sul percorso che ancora attende il Quintet. L'album
contiene una suggestiva citazione di Miles Davis, "Prima lascia che io lo suoni,
poi più tardi te lo spiegherò", che ci introduce all'atteggiamento con il quale
intraprendere questa scoperta.
Ispirato dalle storiche formazioni della tradizione del cool jazz e del blues
tipiche degli anni Cinquanta, la raccolta di Have A Nice Day traccia proprio
una linea di ricerca a partire da questo momento storico della musica jazz, cioè
dalla sensibilità per quello che è stato un movimento musicale vero e proprio, che
dagli anni dell'hard bop passando per l'improvvisazione e la sperimentazione più
creativa, non è mai rimasto fermo a lungo sulle sue posizioni: addirittura in casi
esplosivi come con
John Coltrane la critica parlava di musica distruttiva, nichilista, quasi
anti-jazz, così anche attraverso le influenze di
Stan
Getz,
Chet Baker, Miles Davis o Zoot Sims, la proposta creativa che possiamo
aspettarci passa per profonde conoscenze armoniche e melodiche, affiancando una
sperimentazione che si allontana molto dagli approcci accademici, non particolarmente
amati da Igor Palmieri.
Una delle caratteristiche della sua musica è la semplicità dei temi, delle frasi
e dei suoni, protesa più a trovare identità all'interno di in uno stile riconoscibile,
che a ritrovarsi in mainstream dettati dal mero bisogno di spettacolarizzazione.
Ecco giustificata la scelta di suonare degli standard. Il convincimento di base
è quello della ricerca possibile grazie all'insegnamento che la tradizione classica
ha ancora da dare. Un'altra delle principali caratteristiche, poi, è la composizione
del gruppo che ha dato vita al disco, formato da cinque musicisti uniti da sempre.
Solisti, quali Daniele Goldoni alla tromba, Tiziano Tancini al pianoforte,
Enrico Caimi alla batteria e Nicola Mazzoni al contrabbasso, che insieme
al sax tenore di Igor Palmieri costituiscono una formula oramai poco consueta
per un gruppo jazz. In questa occasione hanno realizzato una performance musicale
che va oltre la semplice esecuzione e il dato della progressione armonica, a favore
di una interazione costante tra solisti e gruppo, in una evidente relazione in cui
il brano è un pretesto per organizzare nuovamente le regole e la flessibilità del
jazz, con una forte capacità di vivere il gruppo e di agire da protagonisti nello
stesso istante; possibilità che qui diventano materiali perché in presenza di competenze
tecniche e il potere creativo si arricchisce di padronanza.
Così, in maniera sofisticata e complementare, si arriva a sperimentare uno stesso
flusso musicale, lavorando senza elaborare effetti miracolosi con il supporto di
correzioni digitali in studio, "a traccia unica e in presa diretta", facendo della
struttura dei testi solo un'opportunità per nuove soluzioni.
L'album è composto infatti da nove brani di diversissime provenienze, con la
capacità di attraversare varie tradizioni popolari. Ne stravolge la base: dal cantautorato
al folk, alla bossa nova o le storiche melodie romantiche d'oltreoceano o, ancora,
omaggiando un classico italiano, rielabora secondo le regole della complessità jazzistica
cinquanta minuti d'ascolto, arrivando ad una forma subito riconoscibile, estremamente
scorrevole ed emotivamente coinvolgente. Risultato assolutamente poco ovvio per
chiunque decida di intraprendere un percorso musicale simile.
La sorpresa dell'ascolto, perciò, supera le aspettative suggerite dalla copertina
del disco con la sua tracklist. Senza parole, i testi di Have A Nice Day
dilatano l'interpretazione "visiva" della musica originale e non è ingenuo chiedersi
se, proprio attraverso questo moto di spogliarsi e rivestirsi, la musica jazz non
debba prescindere dalle immagini che la modernità le ha incollato addosso: essendo
una successione di tempi, per capirla occorre imparare a seguirne i salti, gli equilibri
provvisori e a collegare momenti, operazione mentale, a volte, tutt'altro che facile
e che ci pare, invece, accessibile finché la musica che ascoltiamo è familiare.
Ma, di fronte ad una composizione che non è una narrazione, la musica è sul filo
del rasoio tra evocazione e disorientamento in chi l'ascolta.
Have A Nice Day compie un doppio lavoro, quindi: non solo rielabora brani
classici, ma propone un nuovo codice d'ascolto che, proprio in virtù della semplicità
alla base della ricerca stilistica, è capace di identificare musica e nuove immagini
in una struttura geometrica sensibile, rendendo materialmente afferrabili anche
le pause, mettendosi in dialogo con l'ascoltatore, permettendo la relazione, l'apprendimento
delle regole e il godimento. Così gli oggetti trasparenti del testo ascoltato si
manifestano come una libera creazione perfettamente comprese nella fruizione, ottenendo
un elegante risultato di grande equilibrio. Cosa dovremmo aspettarci dall'Igor Palmieri
Quintet dopo le premesse di questo lavoro? Ce lo suggerisce, citando Saramago: "bisogna
ritornare sui passi già dati, per ripeterli e per tracciarvi a fianco nuovi cammini.
Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre". La consapevolezza, soprattutto nel jazz,
che non abbiamo mai raggiunto il nostro buon fine diventa allora metafora di questo
viaggio, così per nuovi oggetti d'esplorazione, speriamo inediti, ci proietta verso
l'attesa di una nuova ricerca da parte di Igor Palmieri e del suo Quintet.
Rosanna Perrone per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 06/11/2011
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