L'estate di Florian "Ho abbracciato l'alba d'estate...nel sentiero ormai
pieno di pallidi e freschi bagliori..." avrebbe scritto Arthur Rimbaud di
questo disco. Ma l'alba di Lucio Ferrara non è come tutte le altre: trascolora
lentamente il romanticismo e se ne fa gioco con il ghigno di un'estate che
conosce le prospettive del mondo. E della burla.
La chitarra di Ferrara non è uno strumento di mansuetudine e solitaria melodia;
è piuttosto, la balestra per un senso del ricercare quasi, adagiamente,
spigoloso perchè improvviso, inaspettato, abile nell'evitare ogni possibile
preparazione. Vi sembrerà strano ma l'imprevisto è un'arte alla quale il
leader ritiene di doversi abbandonare senza alcun ritegno: a tal punto che
l'ascoltatore sobbalzi per ritrovarsi scovato, rincorso, acciuffato dalle note
nella molteplicità delle direzioni scelte. Ferrara, in breve, è un ladruncolo
(gentilmusicista sembra definirlo al meglio) di atmosfere che, in realtà non
trovandole già fatte, le crea nella sua mente, le sottrae alle loro stesse
dimensioni, ci fantastica sopra e le cambia seguendo i fumi del ritmo. Che la
dolcezza dell'artista (dolcezza a corrente alternata) non vi inganni, perchè
essere eterei e leggeri è difficile se la musica e il suo autore non sanno
condividersi o capirsi. Il suono di Ferrara è un po' così: sembra sappia
comprendere il senso della trasformazioni. Ma quando si parla di un tale
concetto il chitarrista si rinchiude in se stesso per aprirsi all'ascoltatore in
tutta la sua composta "follia". E dobbiamo ammettere che di
quest'ultima si ciba la chitarra imputata: in "Tutatitaià"
guizza come il lume di una lanterna che vorrebbe illuminare la città.
Il timbro è denso come la pece (Ferrara, senza dubbio, conosce anche la
storia del rock e delle sue derivazioni) e graffia con la rabbia di chi si vuole
far sentire: per la bellezza a anche, e forse ancor più, per la stravaganza del
suo ingegno appollaiato come un'ombra che ci perseguita. Il soprano Bosetti e
la tromba e flicorno di Piancastelli sono degno compari della sei corde:
a volte, come si usa dire, le danno il "la" in questo "Florian"
che stupisce per il furoreggiare dei cambiamenti sì tempestivi eppure legati da
una linea di luce che non sempre è facile capire in tutta la sua piccante
docilità. Sono loro a muoversi come l'ondeggiare di una pudica sottoveste:
pudica, però, fino ad un certo punto.
Ne esce un jazz che sembra scivolarsi addosso, mite e arioso come una
traversata in barca. In questo incrociarsi di flussi e riflussi si conquista la
libertà di una musica quasi "felina", che si lascia accarezzare, che
pare ambigua e opportunista ma è anche pronta, repentinamente, ad accettare
l'abbandono delle certezze per conquistare la propria identità. O, meglio, per
rimarcarne l'essenza e i contenuti riservati. Da qui ha inizio la storia di Florian:
tra una favola in 6/4 (che sembra scritta con la penna di Bacalov di Troisi), il
soleggiato, mistico Sud e una poesia che approfitta di una chitarra in bilico
tra passato e presente, tra Charlie Christian e John Scofield.
Davide Ielmini -
maggio 2000
Luigi
Sidero - All About Jazz
Florian è un disco
particolare, un'accecante luminosità sul bordo di ombre ed oscurità. Ad
un primo ascolto, infatti, la sensazione che prevale è quella di una
rassicurante calore, di un tepore vivo fra le note, ma, facendo più
attenzione, si possono scorgere, fra le maglie di quest'abito soffice,
spigolosità e durezze prima sfuggite all'orecchio.
Questo perché l'atmosfera generale è quella di un lento e pacato viaggio
che conduce "Al Sud" (anche titolo di una composizione), quel sud
inteso come fuoco dell'animo e passione afosa, tema d'ispirazione per
molti musicisti.
Otto sarebbero le tappe di questo percorso, se non fosse che alle volte
pare che l'intenzione di Lucio Ferrara non sia quella di ripiegare
verso quel caldo sole, ma di seguire altre direzioni, abbandonando il
sentiero del Mediterraneo per altri lidi e località.
Esempio di questo smarrimento intenzionale è il brano "Tutatitaià":
nonostante abbia una precisa anima e particolarità, rappresenta un
fulmine a ciel sereno, o meglio un preciso inscurimento della trama
sonora. Se si pensa alla limpidezza di "TYW", ascoltato poco
prima, con l'accattivante tema che rincorrendosi rimbalza fra chitarra e
tromba, non si può non notare il forte contrasto con il timbro più
graffiante, quasi rock, della quarta traccia.
Tutte le altre composizioni rimangono (chi più chi meno, a parte "Brunzsezes"
d'ispirazione hardbop) in quei contorni pennellati dai brani di apertura e
chiusura, quasi a chiudere un ciclo di piccoli quadri musicali;
"Regalo in 6/4" e "Ricordi", infatti, si assomigliano
molto: entrambi si affidano al lirismo del sax soprano per l'esposizione
di temi veramente ben costruiti e regalano un'impressione di limpidezza e
solarità (il primo, inoltre, può contare sullo slancio ritmico dato da
un tempo come il 6/4).
Come a tracciare un itinerario, diventano poi co-protagoniste, insieme
alla chitarra, la tromba ed il flicorno di Maurizio Piancastelli,
in un continuo addentrarsi nelle profondità più remote del sentimento
musicale, fino ad arrivare al lento e felino "Blat", in cui il
flicorno trova la sua dimensione ideale, o alle sospirate visioni di
"Florian" (con gustosi effetti alla chitarra).
Tutti i brani si reggono per buona parte sulle performances solistiche di
Ferrara, raramente ripetitivo e scontato, sempre piacevolmente alla
ricerca di un mondo da dipingere e da popolare di note, ma il quintetto
diventa in pratica, molte volte, un trio di chitarra o di sax/tromba.
Valutazione: * * * ½ |
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Data pubblicazione: 22/05/2001
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