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COVER: ROBERTO SCARONI

Piero Odorici
Estate

1. Reza (Edu Lobo/Ruy Guerra)
2. Estate (Martino/Brighetti)
3. Gingerbread Boy (Jimmy Heath)
4. Limehouse Blues (Braham/Furber)
5. I Thought About You (Mercer/Van Heusen)

PIERO ODORICI, TENOR SAX
SANDRO GIBELLINI,
GUITAR
MARCELLO TONOLO,
PIANO
MARCO MICHELI,
BASS
FABIO GRANDI,
DRUMS


RECORDED LIVE AT TRENZANO JAZZ FESTIVAL - JULY, 11 2002

Fin dai suoi esordi, nella seconda metà egli anni '80, doumentati nel CD "First Play" - Red Records 123239 - con Marcello Tonolo, Marc Abrams e Salvatore Tranchini in cui Odorici si esibiva all'alto in una raccolta di standards e qualche originals di bruciante intensità espressiva - fra l'altro molto apprezzato da dei luminari come Jackie McLean e Walter Bishop Jr. - Odorici ha mostrato una predilezione ed una marcata conoscenza degli stilemi espressivi del modern mainstream più avanzato. Scelta questa che se lo ha penalizzato nei confronti di una critica alla spasmodica ricerca di inesistenti novità e diversità gli ha però garantito una solida reputazione fra i musicisti italiani e americani come Cedar Walton, Ray Mantilla, George Cables, Jack Walrath, Eddie Henderson e altri con i quali ha avuto più volte occasione di esibirsi in tournee sia in Italia che negli Stati Uniti.

In questo CD che documenta l'esibizione del suo quintetto al Festival di Trenzano del 2002 Odorici dimostra appieno le sue doti di fluido improvvisatore pienamente padrone dello strumento e del lessico del jazz moderno. Il repertorio spazia da alcuni classici come Estate, Limehouse Blues e I Thought About You ad alcune jazz song di complessa struttura e poco frequentemente suonate per la loro difficoltà come Reza e Ginger Bread Boy provenienti dal repertorio del trio di Elvin Jones - quello con Joe Farrell e Jimmy Garrison  - documentati in uno splendido album Blue Note dei tardi anni '60.

Credo che l'ascolto del CD confermi appieno non solo le dati di solista di Piero Odorici ma anche le qualità del gruppo in se stesso e dei singoli componenti in cui spicca il solismo di Sandro Gibellini alla chitarra e di Marcello Tonolo al piano che dimostrano di essere dei top players sui rispettivi strumenti e la solidità del supporto ritmico di Marco Micheli e Fabio Grandi.

Jazz di questo livello, che non teme confronti con gruppi e musicisti ben più celebrati sia italiani che esteri, si apprezza per la solidità e la freschezza della musica, la genuinità e la sincerità di fondo che anima la performance e la convinta e partecipe adesione a moduli espressivi senza tempo che hanno sempre caratterizzato il jazz d'alto livello.

Ci è sembrato doveroso pubblicare questa live performance perchè, senza complessi, fronzoli e inutili e velleitarie ricerche e sperimentazioni, documenta al meglio non solo l'attività di un gruppo di musicisti di rilevante spessore molto devoti nei confronti della musica che suonano ma rappresenta anche lo stato di saluto del miglior jazz italiano - non sempre adeguatamente rappresentato sulla stampa specializzata, referendum vari, in cui ripetitività e dubbia competenza spesso vanno a braccetto, e nella presenza di gruppi e solisti nei maggiori festivals - che nel piccolo, ma grande per la qualità della musica proposta, festival di Trenzano ha raccolto alcuni dei suoi migliori esponenti.
Sergio Veschi  


"Io c'ero" – Trenzano Jazz Festival 2002
Trenzano, uno dei tanti agglomerati della bassa bresciana, per certi versi un po' tutti uguali tra loro. Tranquilla località di provincia, della quale ben difficilmente sarei venuto a conoscenza se non fosse stato per quella "passionaccia" di sole quattro lettere che mi (ci) perseguita da una vita, che di nome fa "Jazz" e che fa riunire e sentire amici, appassionati di questa splendida musica provenienti da tutte le parti d'Italia, disposti ad affrontare qualsiasi condizione metereologica pur di assistere a qualche "evento". Ma proprio questo genere di provincia, per certi versi ancora culturalmente e musicalmente "vergine", sembra essere divenuto sempre più frequentemente per il jazz "made in Italy", una fucina di giovani talenti tutta da scoprire, ma soprattutto una fonte non più eludibile d'idee e di proposte.

L
a registrazione del concerto tenuto nell'afosa estate 2002, qui proposta all'attenzione degli appassionati, è quanto mai rappresentativa del livello complessivo di un Festival che, pur senza grosse pretese e grandi mezzi economici, è riuscito comunque a proporre musica e jazz di qualità. Un jazz che un tempo era indicato un po' genericamente come "mainstream", ossia come via maestra, principale, per la musica afro-americana, ma che oggi sembra invece esser sorprendentemente divenuto per molti, i troppi, un "figlio minore", o "l'altro jazz", a fronte di proposte al centro dell'attenzione critica sempre più derivative e distanti da certe imprescindibili peculiarità afro-americane, necessarie ad identificare con l'ormai abusato e ambiguo appellativo, un certo tipo di musica. Certo, si dirà, il jazz è un linguaggio sincretico per natura, in continua evoluzione e capace di assorbire in sé idiomi anche assai diversi tra loro, ma ciò non significa che certi requisiti indispensabili debbano venir meno anche nelle proposte più originali e innovative: l'espressività, lo swing, la capacità di articolazione del pensiero musicale in improvvisazione, l'intesa di gruppo e, non ultimo, il perfetto dominio tecnico strumentale del mezzo espressivo.

La scelta del linguaggio nel quale muoversi per esprimere tali requisiti, che può essere più o meno jazzisticamente ortodosso, è in fondo un falso problema al fine di identificare l'originalità e il valore di una proposta. E' semplicemente una necessità dettata dal "come" il musicista intende esprimersi e non può costituire pregiudiziale parametro di valutazione estetica, in qualsiasi modo la si pensi. Muoversi  musicalmente alla ricerca di un linguaggio radicalmente innovativo, piuttosto che rispettoso del Canone, non è sinonimo automatico di maggior arte, creatività e buona musica, come in molti erroneamente pensano. Anzi, tale scelta è solitamente prerogativa esclusiva di pochissimi geni visionari della storia della musica (non solo del jazz) e nasconde negli altri casi, più spesso di quanto non si creda, un latente velleitarismo in cui è molto facile cadere.
Muoversi quindi in un ambito stilistico ortodosso può rivelarsi oltre che più consono e convincente, anche un rispettoso atto di umiltà, garantendo non infrequentemente risultati estetici ed artistici tutt'altro che disprezzabili.

Tutto questo ed altro ancora è ampiamente riscontrabile nei musicisti e nella musica qui proposta, come in quella esibita in altri concerti del Festival, suonata con scioltezza da professionisti e maestri dei loro rispettivi strumenti, che riescono a mettere in luce la propria perizia, la propria espressività, con sincerità d'approccio e creatività. Non è poco e ci sembra corretto metterlo in rilievo.
Riccardo Facchi


PIERO ODORICI - Estate - Liner Notes
Davanti a un disco come questo, si sarebbe tentati una volta di più di seguire il saggio consiglio di Miles Davis e chiedersi a cosa servono le note di copertina. La musica  - questa musica, in particolare – parla benissimo da sola, e riesce a farsi capire alla perfezione. Ancora di più, in questo caso, perché Estate arriva alle orecchie dell'ascoltatore domestico dopo aver superato l'arduo test del pubblico pagante: l'album riporta, infatti, le parti essenziali di un applaudito concerto tenuto nel luglio 2002 al Festival del Jazz di Trenzano, un piccolo paese della bassa bresciana che per il terzo anno presta un occhio di riguardo al jazz italiano di matrice hardboppistica. La soddisfazione degli astanti è, difatti, perfettamente udibile al termine di ciascuno dei cinque lunghi brani di cui è composto il set; e, quindi, l'estensore delle note di copertina potrebbe limitarsi a catalogare il disco come un ottimo esempio di serata da club, con i musicisti in buono stato di forma, temi famosi e ben interpretati, coesione di gruppo, swing da buttare via, insomma tutti gli elementi più comuni (e abusati) presenti nel bagaglio di chi scrive di jazz.

In realtà, qualcosa resta ancora da dire sulla musica e sui musicisti. Ci troviamo davanti a cinque jazzisti profondamente innamorati (devoti, sostiene Sergio Veschi, e c'è da dargli ragione) della musica che suonano, che ripropongono ogni volta con sincerità e partecipazione. Non si tratta di revival, come qualcuno potrebbe pensare, perché l'imprinting boppistico di Odorici e compagni è così marcato da far immediatamente escludere un'adesione di convenienza a forme stilistiche ed espressive non vissute come proprie. La profonda conoscenza del modern mainstream che trasuda da questi brani rivela l'identificazione totale, ma non pedissequa, di Odorici con i grandi esponenti del sassofono: in questo caso, un George Coleman, un Joe Farrell, un John Coltrane. In più, la dimensione live riveste queste esecuzioni di un'amabilità, un'attenzione ai dettagli, una voglia di dialogo non tanto comuni in prodotti discografici assai più levigati esternamente ma, forse, dotati di minor calore umano.

Da questo punto di vista, quindi, è importante che anche una serata come questa – che non era stata organizzata, si presume, con l'intenzione di passare alla storia – sia stata ritenuta degna di rimanere memorizzata su un CD. Ogni tanto, attirati, frastornati, insidiati da questo o quel "progetto originale" che arriva sui palchi dei festival o nei negozi di dischi, e che troppo spesso dimostra di avere il respiro corto, tutti noi che ci occupiamo di jazz per mestiere o per diletto (o per tutti e due i motivi, ci mancherebbe) sentiamo il bisogno di ricaricare le batterie e tornare back to the roots, come si dice. D'altra parte, Odorici – che torna come leader su Red Record ad oltre tredici anni di distanza dal suo brillante esordio, First Play [123239] – non è esattamente un nome inflazionato nell'affollatissimo panorama discografico nazionale, anche perché i pochi album da lui guidati per altre etichette non hanno mai goduto di una distribuzione soddisfacente, malgrado la presenza di ospiti illustri come il trombettista Eddie Henderson.

Lo stesso vale per gli altri componenti del quintetto: Sandro Gibellini, come ci è già capitato di notare a riguardo del CD di Vito di Modugno,
Organ Grooves, meriterebbe di essere maggiormente valorizzato ed apprezzato; Marcello Tonolo è il più fedele partner di Odorici, fin dagli esordi di quest'ultimo, e per chi non lo conosceva (ce ne sono, purtroppo) potrà trattarsi di una bella scoperta; Marco Micheli viaggia ormai su alti livelli, tali da farlo considerare uno dei migliori contrabbassisti italiani, mentre Fabio Grandi è un batterista swingante e propulsivo, in grado anche di proporre uscite solistiche di una certa solidità.

Tutti insieme, i cinque amici hanno confezionato una serata di ottimo jazz moderno, ben dentro la tradizione senza per questo essere nostalgico, mostrando una tale comunanza di intenti da far nascere la curiosità di verificare le ulteriori e molteplici possibilità espressive di questo gruppo impegnate in un lavoro di studio.

Nel frattempo accontentiamoci di questa brillante esibizione, che mostra un volto del jazz italiano che non sempre trova adeguata accoglienza e rappresentazione sulla stampa specializzata, nei referendum della critica e nelle produzioni discografiche.
Luca Conti

PIERO ODORICI
Nato il 28 Luglio 1962 a Bologna si dedica allo studio del sassofono dall'eta' di dieci anni. Dopo avere compiuto studi classici, si appassiona alla musica Jazz sotto la guida del Maestro Giorgio Baiocco prima e successivamente di Sal Nistico e Steve Grossman due tra i più grandi sassofonisti del Jazz moderno.
Inizia poi la sua carriera artistica suonando sia come leader che come sideman con diverse formazioni italiane e straniere in tour in Italia, Francia, Germania, Grecia, Finlandia, Canada e partecipando a trasmissioni televisive e radiofoniche.
Collabora con musicisti di fama mondiale come: Ray Mantilla, Ben Riley, George Cables, Jimmy Coob, Cedar Walton, Billy Higgins, Sal Nistico, Steve Grossman, Slide Hampton, Eddy Henderson, Red Rodney, Jack Walrath, Lee Konitz, Joe Lovano, Elliot Zigmund, Steve Lacy, Steve Ellington, Jack McDuff, Mingus Big Band, John Icks, Curtis Lundy, Alvin Queen, Ronnie Mathews, Enrico Pieranunzi, Massimo Urbani, Giovanni Tommaso, Roberto Gatto, Danilo Rea, Piero Bassini, etc.
Ha inoltre partecipato a numerosi Festivals e rassegne tra le più importanti in Europa come Umbria Jazz, Gran Parade du Jazz di Nizza, Pori Jazz festival, Festival Jazz di Salonicco, Porretta Soul Festival, Iseo Jazz e molti altri.
Nel Maggio 2000 compie un tour negli stati uniti suonando a New York (Smoke jazz club e Joe's Pub), Boston (Riley Jazz Club) e Philadelphia con un gruppo a proprio nome composto da George Cables: piano, Cucho Martinez: C.Bass, Ray Mantilla: Percussion, Bill Halder: Drums.
Nel panorama della musica pop ha inciso e suonato in tour con Lucio Dalla, Gianni Morandi, Biagio Antonacci, Andrea Mingardi, Vinicio Capossela, Tullio De Piscopo, Rossana Casale, Gloria Gaynor, Jovanotti e molti altri.
Partecipa poi al Pavarotti International 2000 e 2002 facendo parte della House Band (con Steve Gadd) suonando con vari artisti tra cui George Michael, Grace Jones e Luciano Pavarotti.

SANDRO GIBELLINI
Studia la chitarra da autodidatta.
Dopo le prime esperienze legate al rock e al blues si dedica prevalentemente al jazz. Frequenta il Centro Studi Musicali di Nino Donzelli a Cremona nel 1979 e nello stesso anno iniziano le sue prime esperienze jazzistiche: la partecipazione al quintetto di Gianni Cazzola e la collaborazione con Pietro Tonolo.
Dal 1980 in poi suona con molti musicisti italiani: Gianni Basso, Massimo Urbani, Luigi Bonafede, Larry Nocella, Andrea Dulbecco, Dodo Goya, Mauro Negri, Paolo Birro e con molti musicisti americani in Italia e in Europa: Gerry Mulligan, Lee Konitz, Mel Lewis, Al Grey, Dave Schnitter, Sal Nistico, Steve Grossmann, Larry Schneider, Lew Tabackin e Jimmy Owens. Con quest' ultimo partecipa al festival di Pori (Finlandia).
Dall'84 al 91 fa parte della big band della RAI di Milano, a fianco di jazzisti come Gianluigi Trovesi, Sergio Fanni, Leandro Prete ed altri e suona spesso in Francia con Dado Moroni, Jimmy Woodie e Alvin Queen. Entra poi nel quartetto di Tullio De Piscopo col quale partecipa ai festival jazz di Sanremo e di Roma (ospite Woody Shaw) e a Umbria Jazz. Nel 1987 partecipa al festival jazz di Amiens (F) nella EBU big band, "Keptorchestra” e nella Grande Orchestra Nazionale di Jazz.
Nel gennaio 97 è stato invitato al "Midem" di Cannes a rappresentare l'Italia in un meeting tra i migliori chitarristi europei.
Nel marzo 2000, suona a New York e a Durham nel North Carolina International Jazz Festival. Nel dicembre dello stesso anno viene invitato, insieme al trombettista Fabrizio Bosso, al festival internazionale di jazz dell'Avana (Cuba), dove suona con Kenny Barron, Ronnie Cuber, Giovanni Hidalgo, Chucho Valdez e gli Irakere.
Come insegnante ha tenuto seminari a fianco di musicisti come Carl Anderson, Buster Williams, Ben Riley, Rachel Gould.
Nel campo della musica leggera ha lavorato con Bruno Lauzi, Fabio Concato e ha suonato in diversi dischi di Mina.

MARCELO TONOLO
Nato a Mirano (VE) il 6/1/1955, ha collaborato con alcuni dei migliori musicisti italiani: Gianni Cazzola, Massimo Urbani, Larry Nocella, Giovanni Tommaso, Marco Tamburini, Piero Odorici, Maurizio Caldura, Enrico Rava e con molti musicisti americani tra i quali Chet Baker, Kenny Clarke, Al Cohn, Lee Konitz, Pepper Adams, Steve Grossman, Sal Nistico, Eliot Zigmund.
Ha partecipato ai più importanti festival italiani e ha suonato anche in Europa e negli Stati Uniti.
Ha inciso con Bob Porcelli, Steve Lacy, Curtis Fuller, Paul Jeffrey, Eddie Henderson, Joe Lovano, Slide Hampton, Rachel Gould, Keith Copeland, Sam Most e quattro dischi a suo nome: “D.O.C.” nel 1986 e “On the Wings” (1999) in trio e “Days” e “Seed Journey” con il gruppo “Music on Poetry” di cui è leader. Fa inoltre parte della “Gap Band”, del quintetto di Marco Tamburini, del Massive Groove e dirige la “Thelonious Monk big band” per la quale è anche arrangiatore.
Nel 1997 ha vinto il 10° Concorso Internazionale di Arrangiamento per Orchestra Jazz a Barga.

MARCO MICHELI
Si diploma in contrabbasso al conservatorio di Lucca, sotto la guida del maestro Sergio Grazzini.
Nel 1982 fa parte del gruppo di Ginger Baker, partecipando ad una tournée europea.
In seguito, porta avanti diverse collaborazioni sia con l'orchestra della Rai di Milano sia nell’ambito del Jazz con numerosi musicisti italiani e stranieri, come: Lee Konitz, Enrico Pieranunzi, Kenny Wheeler, Chet Baker, Franco D'andrea, Michele Bozza, Mitchel Forman, Tony Scott, Gianluigi Trovesi, Phil Woods, Bill Elgart, Marilyn Mazur, Massimo Colombo, Gigi Cifarelli, Miroslav Vitous, Norma Winstone, Francesco Sotgiu, Serge Lazarevitch, Dick de Graaf, George Garzone, Luigi Bonafede, Daniel Humair, Jimmy Owens, Franco Ambrosetti, Enrico Rava, John Taylor, Riccardo Zegna, Cedar Walton, Pietro Tonolo, Lew Tabackin, Naco, Christian Meyer, Tino Tracanna, Paolo Birro, Sandro Gibellini, Emanuele Cisi, Dave Liebman, Dado Moroni, Alfred Kramer, Furio di Castri, No smoking band, Farrington band, John Surman etc.
Partecipa ai festivals del Jazz di Parigi, Gerusalemme, Montreal, Berlino, Toronto, Le Mans, Perugia, Vancouver, Zurigo, Madrid, Amsterdam, Avana, etc.
Al suo attivo annovera incisioni anche al di fuori dell'ambito jazzistico, con Luciano Pavarotti ad esempio.
Dal 2000 è titolare della cattedra di Jazz al Conservatorio di Venezia.

FABIO GRANDI
Nasce a Vignola nel 1967. Si avvicina alla musica alla età dieci anni col pianoforte strumento che lascia per passare alla batteria. Nel 1986 partecipa ai seminari della BERKLEE SCHOOL di UMBRIA JAZZ; qui nasce l 'amore per il grande JAZZ e comincia a frequentare musicisti bolognesi e non. Nel 1987 conosce JIMMY VILLOTTI diventando il batterista di tutti i suoi gruppi e registra 3 LP. Ma è nel 1989 che incontrerà il musicista perno della sua crescita musicale: STEVE GROSSMAN.
Per dieci anni suonerà con lui partecipando a tourneè e a tutti i più importanti festival Jazz d' Europa, quello dedicato a MILES DAVIS a Parigi nel 1991 suonando con Reggie Johnson, Renè Utreger. Ha suonato con i più grandi musicisti italiani e tanti americani tra i quali: Sal Nistico, Scott Hamilton, Charles Davis, Eddie Gomez, Ray Mantilla, Dusko Goikovic, Cedar Walton, Slide Hampton, Bobby Watson, Kenny Wheeler, Fred Henke,George Cables.. Ha registrato con Jack Walrath, Charlie Mariano.

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Data pubblicazione: 14/02/2003





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