Esotica leggenda gitana delle blue notes, forse il primo geniale musicista
jazz non americano, Jean-Baptiste Reinhardt inventò una personale fusione
con le tradizioni musicali della gente cui apparteneva: dopo aver perduto tre dita
della mano sinistra, fu costretto ad abbandonare lo studio del violino e si dedicò
alla chitarra, su cui elaborò una tecnica strumentale assolutamente originale.
Forse il maggior interesse delle sue esecuzioni
si incentrò sulle invenzioni liriche e barocche, con rapide volate a note singole
ed episodi ad ottave parallele. Anche nella maturità, influenzato dal nascente
bop e passando dalla chitarra acustica a quella elettrica – pur limitando
molto l'impiego degli accordi - il suo romanticismo continuò a trasparire in modo
quasi irrefrenabile, testimoniato da un corpus di incisioni che avrebbe profondamente
influenzato ed affascinato molti solisti europei ed americani: Bireli Lagrene,
Angelo Debarre, Stochelo Rosenberg, Tchavolo Schmitt, Fapy
Lafertin, Romane, Dorado Schmitt, Martin Taylor, solo per ricordare alcuni
dei nomi più famosi.
Per qualche decennio, in verità, il nome di Django è stato un po'
accantonato; da qualche anno, specie in Italia, la sua lezione è stata riscoperta
e ricollocata nel giusto ambito.
L'omaggio dei nostri cinque musicisti appare in tal senso tanto opportuno
quanto filologicamente corretto, a partire dal brano con cui si apre il CD, "Douce
ambiance", indimenticabile passo melodico del gitano belga.
L'opera è senz'altro distinta da sensibilità esecutiva e da tanta passione
– testimoniata peraltro dalle interessanti composizioni originali ("Vito"
fra tutte) e da un' ottima rilettura di un evergreen che non potrà non essere
gradito al pubblico italiano, "Insieme" di Battisti e Mogol.
Non passano inosservate le doti strumentali dei solisti, che di Django
hanno catturato al meglio lo stile ed il virtuosismo, trasportandone in contesti
sonori attuali il fascino della sonorità lirica, della cesellatura melodica e del
trascinante Swing Manouche.
Un alito di luminosa spiritualità sembra pervadere l'album: musicisti eccellenti
i cinque, paiono destreggiarsi con consapevole abilità tra atmosfere flessuose e
rotonde, malinconiche e delicate, all'occorrenza grintose; una versatilità che pare
aver ben fatto proprie importanti scelte musicali che abbracciano il miglior jazz,
quello che non di rado in tanti dimenticano.
Volentieri testimoniamo questo loro impegno annotando a margine le informazioni
che Corrado Caruana ci ha inviato:
"Il progetto "DJANGO'S FINGERS" nasce dalla passione per lo swing in stile anni
30'per il romanticismo e la classe con la quale si proponeva la musica dell'epoca.
Nell'ambito jazz di quei tempi le orchestre predominavano ed era viva una continua
evoluzione degli stili. Gli strumenti a corda usati fino ad allora per l'accompagnamento
subirono una svolta tale da renderli incredibilmente i principali protagonisti.
Il progetto "DJANGO'S FINGERS" ha come base solida il trio formato da Alessandro
Ricci (chitarra), Corrado Caruana (chitarra) , Emiliano Bozzi (contrabbasso).
Nel 2007 il progetto diventa anche quartetto con l'inserimento di Alejandro Mariangel
Pradenas (violoncello).Nel settembre dello stesso anno il quartetto vince il prestigioso
concorso nazionale "ANTONIO BAREZZI LIVE" con alcune composizioni inedite,vittoria
che li porterà a collaborare con il maestro pianista Alessandro Nidi. L'evoluzione
non si ferma e nel 2008 viene affiancato al trio il
carisma e l'istinto di Alessandro Mori (clarinetto)."
Completa e doverosa la nota documentaria che Caruana aggiunge:
"Nel panorama chitarristico europeo esiste una tradizione strumentale che ha
le sue radici nella cultura dei nomadi Manouches, una delle principali famiglie
zingare del continente. Una tradizione in cui la musica più autenticamente gitana,
già di per sé frutto della fusione di varie culture, assorbe gli elementi ritmico
armonici del jazz americano e che è stata resa nota in tutto il mondo dallo smisurato
talento di Django Reinhardt. Lo Swing Manouche nasce dall'incontro del Jazz americano
degli Anni '30, dal Valzer Musette francese e dalla tradizione tzigana. Tutto questo
impregnato da nomadismo zingaro e dalla contaminazione diretta delle musiche incontrate.
Questa magica fusione è avvenuta come evoluzione personale e percorso naturale di
alcuni musicisti Gitani e Manouches il cui caposcuola, da tutti riconosciuto, fu
il leggendario Django Reinhardt, anch'egli Manouche. Questo grande musicista ha
saputo coniugare la libertà di espressione con il virtuosismo tzigano del fraseggio,
concentrando in lui la sostanza musicale e operando una sintesi innovatrice che
riassume il passato, preparando il futuro. Oggi, a più di 50 anni dalla sua morte,
il Jazz Manouche (Swing Manouche o Gypsy Jazz) continua ad evolversi, con sempre
più persone che l'ascoltano, lo suonano e lo amano."
Fabrizio Ciccarelli per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 26/07/2009
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