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Django il gigante del jazz tzigano
François Billard - Alain Antonietto
Arcanalibri pp. 350, 2003
euro 18


Arcana libri srl
via Isonzo 25, 00198 Roma
tel. 0685357301
fax 0685865742

Arriva finalmente in Italia la biografia di Django Reinhardt, ovvero uno dei più eccentrici e geniali artisti di tutti i tempi di cui ricorre proprio quest'anno il cinquantenario dalla scomparsa.

La sua vita fu un romanzo oltre l'immaginazione, basti pensare che fino ai vent'anni visse senza indossare un abito civile e dentro ad una roulotte essendo di origine zingara, più precisamente era nato in un piccolo accampamento nei pressi di Charleroi nel gennaio del 1910.

Proprio al compimento dei suoi diciotto anni riuscì a salvarsi da un incendio che coinvolse il suo accampamento, con uno strascico apparentemente pesante che invece divenne la sua fortuna. L'anulare e il mignolo della mano destra rimasero paralizzati e questo gli consentì di sviluppare una tecnica particolarissima alla chitarra (il suo primo strumento fu però il banjo), che nessuno riuscì mai ad emulare. Anche le sue origini nomadi finirono col condizionarlo fino alla fine: restò analfabeta e durante i suoi 43 anni di vita rimase anarchico fino in fondo. Aveva ingaggi, doveva registrare o fare interviste? Lui si presentava solo se gli andava di farlo, ma il problema era che non gli andava quasi mai. Grande giocatore d'azzardo, alternava il biliardo e le carte con grande felicità ed era assolutamente incapace di risparmiare denaro nonostante la sua paga, superiore ai 100 franchi al giorno, fosse un'autentica fortuna se consideriamo il periodo (
1931).

A Parigi in quello stesso periodo si esibiva al Cafè "La Croce Del Sud", il cui complesso locale era diretto dal sassofonista Andrè Ekyan. Tra i suoi membri anche un giovane violinista che sarebbe diventato da lì a poco fondamentale per lo sviluppo della sua carriera, il suo nome era Stephane Grappelli. Tramite Ekyan il giovane Django assorbe la poesia di Jean Cocteau e incontra il canzonettista Jean Sablon con il quale inizia a registrare del materiale non propriamente jazzistico.

Nel
1932 viene fondato l'Hot Club De France e da lì a poco nasce la storia diventa leggenda: sia Reinhardt che Grappelli erano impegnati in un tentetto che suonava abitualmente all'hotel Claridge di Parigi. Quando c'erano le pause Django se ne stava per conto suo per fumare o fare dei duetti estemporanei con Grappelli: l'intesa fu immediata e ben presto ai due si aggiunsero il fratello Joseph, Roger Chaput alle chitarre, e Louis Vola al contrabbasso per soddisfare una vecchia ambizione del chitarrista tzigano, quella di dirigere un piccola ensemble di strumenti a corda. Nacque così il Quintette Du Hot Club de France che nonostante un avvio commercialmente stentato finisce con il diventare un successo clamoroso: il gruppo furoreggia tra Parigi e Londra fino a quando non arriva la guerra che spazza via ogni ulteriore ambizione. Il regime nazista fa in fretta a bollare il jazz come "musica ebreo-americana", e Reinhardt è costretto ad esibirsi quasi di nascosto, anche se continua ad inseguire gonnelle e picche, mantenendo la stessa incontrollabile paura per le porte girevoli degli alberghi e repentini conflitti con Grappelli sul modo di intendere la musica. Il conflitto mondiale arriva al termine ma nel frattempo nel jazz c'è aria nuova: sta per irrompere il be-bop, Charlie Parker e Dizzy Gillespie suonano veloci come mai nessuno ha fatto prima e lui stesso prima che siano altri a dirglielo in faccia saluta e si ritira in riva alla Senna, dove passa il suo tempo dipingendo nuvole e nudi di donna. Il 16 maggio del '53 mentre se ne stava tranquillamente seduto a un caffè si sentì male e anche se portato con una certa tempestività all'ospedale nel corso della notte muore.

Nelle oltre trecento pagine del libro che scorrono in un fiato, gli episodi si dilatano, si parla anche del contatto con Duke Ellington e Coleman Hawkins, della sua grandezza e solitudine, di capolavori indimenticabili e viaggi sfortunati come la sua unica tournèe americana. Ma anche del suo più fortunato passaggio in Italia, con l'incisione di più di 70 titoli negli studi della Rai. Inoltre si ipotizzano i suoi discepoli che comprendono Rene Mailhes e Bireli Lagrene, fissando passo dopo passo la sua discografia, estesa anche al jazz tzigano più in generale. Fu proprio Grappelli a ricordarlo nella primavera dell'anno successivo sulle pagine di Melody Maker: "Il suo modo di suonare era completamente diverso rispetto a quello di qualsiasi altro che avessi mai visto prima e dopo, e il bello del jazz sta proprio in questo. Ci saranno molti altri chitarristi di valore forse, ma non ci sarà mai un altro Django Reinhardt, ne sono certo."
Vittorio Pio

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Data pubblicazione: 20/07/2003





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