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Davide Scagno
Countdown
Autoprodotto 2011
1. Don't Forget
2. Walking in N.Y.
3. Intervista a Cappuccetto Rosso
4. Autogigarock
5. Right Time (To Begin)
6. The Land
7. Rebus / Countdown
8. As You Want
Davide Scagno - pianoforte
Davide Scagno è un fine dicitore di musica, che ha portato avanti, con
coraggio, le sue idee, senza compromessi. Due album precedono Countdown:
Triosphera
(con Sergio Pescara e Stefano Profeta) e About Us, in duo con il sassofonista Antonello Monni. Chi ascolterà "Countdown" - solipsistico viaggio del quarantaduenne
pianista di Borgosesia -, avrà la sorpresa di ascoltare la musica classica, la narrazione
filmica, e l'improvvisazione jazzistica, messe nello stesso crogiolo, e che fruttano
intelligenti e vitali sonorità.
QUATTRO CHIACCHIERE CON Davide Scagno
Countdown, il suo ultimo lavoro, è in piano solo. Un approdo impegnativo,
soprattutto per il fatto che le composizioni sono tutte originali ed a sua firma.
Come è nata l'idea?
L'idea è arrivata da sola, direi nel momento "giusto" (vedasi il brano ‘Right Time
To Begin'). Le spiego: un progetto in piano solo penso sia un punto d'approdo molto
importante per ogni pianista che fa della creazione artistica il punto focale della
sua attività. Un approdo importante e delicato e quindi, c'è qualcosa dentro di
te che ti dice: "questo è il momento giusto, muovi le mani!"…
Raramente si riesce ad ascoltare lavori che fondono con naturalezza il jazz
con la musica classica. Era un suo intendimento preciso, oppure hanno giocato un
ruolo importante e, direi, spontaneo i suoi studi accademici?
Come in ogni creazione artistica, il risultato non può essere troppo ‘studiato'
e ‘mediato' da intendimenti eccessivamente precostituiti, si perderebbe la naturalezza
e la spontaneità della comunicazione tra il compositore e l'ascoltatore. Le dicevo
prima, era semplicemente arrivato il momento ‘giusto' per far uscire tutto quello
che ho studiato, che ascolto, praticamente tutto quello che sono.
Esemplare mi sembra "Intervista a Cappuccetto Rosso", il cui titolo meriterebbe
una spiegazione…
Di solito è molto più facile dare un titolo ad un brano cantato perché l'ascoltatore
ha una storia da seguire e che di solito viene appunto riassunta nel titolo; in
questo caso, si tratta di composizioni strumentali basate su sensazioni, emozioni,
ritmi, dinamiche; alcune volte vere e proprie evasioni oniriche, insomma delle narrazioni!
Per esempio, ascoltando ‘Walking in NY' si sentono delle voci e le dinamiche della
città fremente; ascoltando "Intervista a Cappuccetto Rosso" si possono ascoltare
la voce della protagonista di una favola che ne ha passate di tutti i colori, prima
di arrivare al suo lieto fine e mi divertiva l'idea a inserirla in un contesto più
‘moderno' come potrebbe essere quello di un racconto-intervista in un talk show,
in cui, oltre alla "cronaca" degli avvenimenti, traspaiono anche le sensazioni e
le emozioni di chi ha vissuto il fatto e lo racconta con trasporto.
Uno spiccato senso per la melodia pervade tutto il lavoro, così come è evidente
il senso narrativo. Quale è il fil rouge del disco?
Appunto, l'ha appena detto lei: il fil rouge è dato proprio dalla commistione di
almeno tre codici di comunicazione: quello musicale ovviamente, quello letterario
e quello visionario, il racconto e le varie tinte che questo può assumere. Spesso
mi hanno detto che le mie composizioni potrebbero essere colonne sonore di film.
Beh, forse non a torto! Sicuramente, la mia voluta, quasi ossessiva, ricerca melodica,
riesce a stimolare molto l'immaginazione dell'ascoltatore. Se un tema si può cantare
senza pensarci troppo, allora è un buon tema e facilmente arriverà a far vibrare
le giuste corde dell'ascoltatore: questa è comunicazione, ovvero lo scopo principale,
a mio avviso, dell'espressione artistica in genere.
Da un punto di vista più propriamente tecnico, ciò che lega tutto quanto è il "suono",
infatti i miei studi pianistici da sempre vertono sulla ricerca e sul controllo
del suono che lo strumento e lo strumentista sono in grado di dare (cosa non del
tutto immediata e semplice sul pianoforte, vista la poca "compromissione" fisica
del musicista sulla produzione timbrica del suono stesso): forse questo è l'elemento
più importante da tenere presente nel proprio lavoro artistico. Questo aspetto ha,
infatti, anche determinato la ricerca che mi ha portato a scegliere la sala di registrazione
e il pianoforte da utilizzare.
Chi è stato il suo mentore o, comunque, chi o cosa l'ha condotta verso la
musica, prima ed il jazz, dopo?
Come ho riportato nei credits: mio padre (Vittorio, grande appassionato di musica)
e i miei primi due maestri di quando ero ragazzino! (Franco Bognetti e Luigi
Ranghino), e da li in avanti tutte le esperienze e gli incontri, diretti ed
indiretti, di carattere musicale. Nessuno escluso. Nello specifico, ho deciso di
cominciare ad approfondire il linguaggio jazz, dopo aver ascoltato per radio le
note del "Koln Concert" di Jarrett: avevo 17 anni ed è stato come andare a sbattere
con la faccia contro un treno in corsa. Non credevo alle mie orecchie, non capivo
cosa stesse succedendo, sapevo solo che non riuscivo a credere a tanta bellezza.
Ne ero letteralmente rapito, sbalordito: in totale balìa. Senza scampo, insomma!
Quel disco ha qualcosa di magico e non occorre essere musicisti, o musicofili per
rendersene conto, basta ascoltarlo. Poi, è venuto naturalmente tutto il resto…e
la lista è infinita.
Come lei stesso dice nelle note di copertina, il suo primo progetto è stato
in trio, il secondo in duo e quest'ultimo in solo. Il prossimo invece?
Anche se ancora in fase embrionale, sto portando avanti un ambizioso – direi - progetto
per due pianoforti, che ancora una volta approfondisce la commistione (contaminazione)fra
le mie passioni: il jazz e la classica. Però questa volta appunto non sarò da solo:
mi avvarrò della preziosa collaborazione della bravissima pianista Daniela Novaretto.
Non vi svelo oltre per non rovinare la sorpresa, anche a me stesso!
Secondo lei jazz e classica possono convivere senza troppo disturbare gli
estremisti di entrambe le fazioni?
Ciò che penso in merito alle "contaminazioni" stilistiche è chiaramente testimoniato
dalla direzione artistica che prende il mio impegno musicale: come sempre, un aspetto
primario è quanto questa scelta possa essere recepita dal pubblico prima e da chi
si occupa della direzione artistica nell'organizzazione dei concerti poi. Non nascondo
che con "Countdown" (proposto sia al circuito jazz che a quello classico,
perché a mio avviso per entrambi si presta ad essere presentato; però, troppo jazz
per il classico e troppo classico per il jazz) ho trovato qualche "diffidenza":
sempre in fase di proposta ed organizzazione, il pubblico mi ha finora, invece,
molto gratificato ed incoraggiato.
Lei svolge anche attività didattica. Quale è l'approccio dei giovani verso
il jazz? E quanto è cambiato il rapporto con la musica nell'universo giovanile nel
tempo?
Questa domanda è molto impegnativa, ma risponderò sulla base appunto della mia personale
esperienza di didatta. Molto è il fermento giovanile in tutti i sensi e verso tutti
i generi, e per fortuna, perché dovrebbero cessare queste barriere che impediscono
un ascolto scevro da ogni pregiudizio di genere, ecco cosa è cambiato: tutti a pensare
al loro "piccolo" mondo e alla fine ci troviamo in un Paese, che è stato la culla
della grande musica classica e operistica e che ora non lascia spazio all'ascolto,
al proliferare di progetti e non sostiene neanche nella scuole la musica. Indubbiamente
resta il fatto che ci siano tantissimi giovani talenti di valore che hanno voglia
di credere nel loro sogno e nonostante le difficoltà decidono di perseguirlo: c'è
solo da sperare che possano trovare gli spazi adatti alle loro proposte; opera assai
ardua, di questi tempi in cui il "monopolio" la fa da padrone.
Cosa è scritto nell'agenda di Davide Scagno?
…in caso di smarrimento…non perdersi d'animo, che è il momento buono per trovare
e sperimentare nuove strade! Ci vuole solo un po' di coraggio.
Alceste Ayroldi per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 26/06/2011
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