Sculture
di chiarezza
Vorrei dirvi tanto - tutto - di
Stefano D'Anna ma non ne ho lo spazio. Vorrei suonare come lui ma i
tempi d'apprendistato sarebbero interminabili e troppo dure le frustrazioni. Rimango
qui e ascolto - cos'altro potrei fare, d'altronde? - "Carousel".
Vivo con profondità d'animo le venature moderne del suo tenore, i suoi
gorgoglii, i fremiti cool, i grandi disgeli dei fraseggi lunghi, distesi con
notine che sembrano stiracchiarsi: le testine rotonde e la gambetta affusolata
in ordinata processione. Mi convinco che è sempre il vecchio Stefano. Quello
omaggiato dalla guida Penguin con quattro stellette per il suo "Leapin'
in" datato
1991
e firmato Splasc(h) Records (CDH
374.2): affezionato a Sonny Rollins e che pensa che i brani debbano essere
sculture di chiarezza.
Sento in Stefano il prosecutore di una tradizione musicale di quando il
jazz era meraviglia e curiosità. Anche, però, tanta paura.
Risuona in questo suo lavoro quella sensazione di continua scoperta, la
voglia di muoversi su un piano stabile ancorandosi a quelle poche (reali?)
certezze che offre l'astrattismo musicale. Ma si coglie anche lo sguardo fiero
di chi non ha paura d'esagerare perché sa di approfittare di un'abilità che gli
consente di controllare anche quella dismisura: il sorpasso del livello di
guardia. S'apprende da Stefano una forte carica di spontaneità e una percentuale
- controllatissima e non troppo alta - di pionierismo che elettrizza.
D'Anna
porta sul tenore una brillantezza che non è comune e rivela uno stile
inconfondibile: chiaro, netto, levigato. Non è un perditempo, non confonde l'oro
con il bronzo e sembra tenere un piede in due scarpe: è vivace il suo
attaccamento nell'affrontare lo strumento con spirito d'oltreoceano così come
l'attenzione - tutta italiana - per accendere la melodia. E per farlo gli basta
un cerino: un veloce colpo di mano e si è già al centro della musica. Nel
salotto del suono. Cattura, della sua timbrica, la trasparenza. L'essere immediato
- ma quanto gli piace, a volte, prendersi gioco della pazienza dell'ascoltatore
- deciso, infervorato da una simpatica follia. Ammiro, nel suo modo di comporre,
la priorità ritmica e il senso di elasticità che avvolgono la melodia. La
cristallina evoluzione che prevede sfere sonore a volte distanti fra loro
catalogabili nei generi di cui s'imbeve il jazz, dall'hardbop ad una forma di
pseudo-free caramellato (in "Southern
Comfort") e i
guizzi dai
vertici della sua ancia con una particolare misura negli arrangiamenti: spazi
aperti e preghiere al vento.
Stefano
scandisce gli assoli con una tipica regolarità che - gira e rigira - avvicina
costantemente chi ascolta a chi suona. La musica è selvaggia, libera,
orgogliosa: vorrebbe fuggire e nascondersi. Vivere non solo intensamente ma
anche un pochino più a lungo. È tutto un gioco: il musicista lo sa e giocando
aumenta la sua creatività regalandone - tanta, tantissima - a chi ne apprezza la
bravura.
"Carousel"
è così: rafforza e consuma i muscoli con una serietà mascherata. E gioca,
Stefano, sempre all'attacco: in "H.a.n.d."
(Have a nice day) si viene ipnotizzati da un istrione che corre a fronte alta,
controvento, in un moto continuo che non prevede mai lunghe pause di riflessione
ma solo respiri fisiologici.
È lui che dà il "la" e che trascina il quartetto alzando, con il suo scalpitare,
nuvole di polvere per andare di nuovo all'arrembaggio.
Fabio Zeppetella lo marca a zona; a volte lo segue e sorride quando
riesce a superarlo. Sfodera dagli effetti della sei corde tutto ciò che la sua
fantasia gli permette di modellare. Suoni aerei e una spolverata d'elettronica
per accordi d'atmosfera sono il bussare alla porta del silenzio. Un bussare che
evita il fragore e diventa conciliante con la trama sonora nella quale si trova
a dover operare. Parentesi soffici, suoni pneumatici, brontolii leggeri,
arrabbiature celesti fanno parte del bagaglio di Fabio che si divide la torta
con Stefano accomunati da un'intesa fraterna che non è mai un duello. Quando si
è in formazione con Stefano tutto - è una caratteristica del personaggio - viene
sottoposto ad un cambiamento "morfologico" immediato. Ogni singolo movimento
deve seguire una logica caratteristica che è la sola a poter offrire la
possibilità al resto dei musicisti di essere "in linea". È una regola, questa,
che vale per tutte le formazioni dove ci sia un leader forte, dinamico ma non
dittatoriale. Così anche il bumping di Ciancaglini - originale quanto
vogliamo - sottostà ad un impulso - forte, tremendo - di nuova regolazione dove
si arriva ad organizzare la stessa fantasia. Roberto Gatto non viola le
regole, anzi le fa sue riproponendole in scatti elegantissimi, in balletti
raffinati, in sussurri cerebrali: suoni quasi mimati. E il senso di libertà che
si respira ad inalazioni costanti in questo carosello di suoni è più che mai
vivo. Più che mai, raro. Più che mai, bello.
Davide lelmini - Aprile 1998
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Data pubblicazione: 17/08/2002
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