Ed. Infracom 2006
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Jhelisa
A Primitive Guide To Being There
1. Freedom’s Land
2. Flute Band In Gauteng
3. Culture Of Silence Part 1
4. Culture Of Silence Part 2
5. Journey Of Life In 9 Minutes
6. Love Is State Of Mind
7. Walking On Air
8. Far I Have Come, Far I Must Go
9. Survivin’ In The Key Of Eflat
James Singleton - Bass (Acoustic) Michael Skinkus - Percussion Dinesh - Percussion Sagat Guirey - Bass, Guitar Raj Gupta - Percussion, Arranger, Drum Programming, Drums Pete Z. - Keyboards Andy Waterworth - Bass Kendrick Marshall - Keyboards, Fender Rhodes Terence Higgins - Drums Jackie Pickett - Bass (Acoustic) Julian Crampton - Bass Phil Hudson - Guitar Remi Kabaka - Drum Programming
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Il titolo è cambiato dopo che Jhelisa ha avuto a che fare con l'uragano
Katrina. Un'esperienza che le ha fatto ridisegnare alcune liriche come quelle di
Journey of life in 9 minutes o
Survivin' in the key of E flat. Jhelisa Anderson
ha alle spalle trascorsi vitali che traggono le loro origini dalla cultura "Dirty
Dozens" ed attraversano, naturalmente, il rap e le frange estreme hip hop.
Le zigzaganti sonorità l'hanno portata all'acid jazz (conio lessical-musicale
d'estrazione più giornalistica che non acustica) e l'hanno immortalata al successo
discografico con "Friendly Pressure". Un lavoro che evidenzia le influenze
blues e gospel che l'artista del Missisipi ha costantemente fagocitato nel corso
del tempo e che evocano i fasti del passato.
Nove brani, però, che non lasciano il segno. Assolutamente. Carichi di
suoni ben equilibrati e ben costruiti ma ineluttabilmente già sentiti.
Freedom's land è una sorta d'arco musicale tra
il gospel ed il blues ben poco strutturato e che al secondo passaggio uditivo crolla
senza ulteriore ausilio.
Flute Band in Gauteng, invece, capitola grazie
al tentativo di edulcorare le gentilezze elettroniche (di per se già cementate)
con tornite celtiche che ammansiscono la voce di Jhelisa fino a renderla
pressoché inutile.
Culture of silence è in due parti: quella
d'apertura, tanto ostinatamente elettronica quanto superflua e la seconda che apre
ad un caleidoscopico ventaglio di colori black, ma del tutto smorzati.
Un country-world-blues avvolge Journey of life
in 9 minutes. Lì dove traspaiono alcune considerevoli lacune timbriche
della nostra.
Gli accenti mutano in Love is a State of mind.
Jhelisa riprende il suo ruolo, ma lo conduce in un brano già ascoltato un
milione di volte. O forse di più.
Un tentativo di vitalità tribale sommessamente miscelato ad un gospel
post moderno è l'identità di Walking on air.
Far I have come, Far I must go vorrebbe evocare
le traditional songs ma con una povertà di linguaggio che in pochi casi si sono
udite anche perché arricchite da uno stucchevole ausilio elettronico.
Si chiude con uno pseudo spiritual.
Jhelisa ha tentato di riportarsi alle radici ed al suo vissuto. Ma siamo
certi che il suo vissuto fosse questo?
Alceste Ayroldi per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 12/02/2007
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