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Ropa 11
Amazing Stories
Pus(h)in Records 2010
1. London's Diary
2. Pygmy Twylyte
3. Vacuum
4. My Favorite Things
5. Deira
6. Mandala Bay
7. Eternal Hate
8. Riders on the Storm
9. And So Do I
10. Cristallo
11. November in Vegas
Eugenio Mirti - chitarra acustica
Andrea Quaglino - chitarra elettrica
Paolo Inserra - batteria
Michele Anelli - contrabbasso
Ale Muner - tromba
Chiara Onida - voce
Ivan Nirta - chitarra elettrica
Terzo album e nuove storie per i torinesi Rope 11: che si tratti di "amazing
stories" probabilmente è vero, nel senso di mirabolanti, sbalorditive, sorprendenti,
forse più stranianti che sconcertanti.
L'estetica prefigurata è decisamente non omogenea, per scelta improntata ad uno
stile retrò: jazz rock in libertà, una ventata energica di atmosfere anni 70-80,
dove la tromba di Ale Muner ripercorre la carica emozionale certamente del Miles
Davis elettrico, ma anche di Walt Fowler, Malcom McNabb, Gary Barone, Tom Malone,
Sal Marquez, e le chitarre di Ivan Nirta e Andrea Quaglino incedono acide e distorte,
in una deriva tutta alla Frank Zappa.
Proprio la struttura inventiva del mago di Baltimora sembra grintosamente
prendere il sopravvento nelle evoluzioni della band, nelle suggestioni di un linguaggio
jazzistico teso, vibrante, carico di simboli freak e di sfumature d'un hard funk
tecnicamente funambolico. Il groove è delineato da variazioni armoniche dal piglio
rapido e volutamente eccessivo e graffiante, così come da timbri ritmici sostenuti,
tachicardici, eccentrici quanto avrebbe garbato non solo a Frank Zappa ma anche
a certo Grunge, a certa New Wave, a certa "fusion modale" di cui non
si sono fortunatamente perse le tracce.
Questo dinamismo gutturale nelle progressioni emotive sposta il centro dell'attenzione
dalla melodia alla fluttuazione iconoclasta del percepire le note, secondo una forza
espressiva poliedrica e destrutturante, in linea con lo styling di Robert Fripp,
Adrian Belew, John Abercrombie,
Hiram Bullock,
Larry Coryell, Bill
Frisell, ad esempio.
Allora può essere logico (o alogico, fa poca differenza nel contesto) proporre una
sconnessa "My Favourite Things", dimentica del fatto che fu scritta
da Rogers ed Hammerstein (ma quanti di noi non la direbbero composta da
John Coltrane?)
e riletta in modo oscuro ed inquieto; oppure reinventare in maniera tutt'altro che
ossequiosa "Riders on the Storm", note dilaniate ma riconoscibili dal giro di basso,
secondo una linea melodica resa ancor più lunare di quanto non abbiano fatto i Doors
stessi, sostenuta dall'improvvisazione (molto bella, in verità) della tromba acida
e percossa negli acuti e dalle flessioni jazzy, antropofaghe e stravolte, della
chitarra.
Forse il testo di "Eternal hate" ("Smetti di parlare, non posso sopportare ancora
le tue chiacchiere invadenti…voglio dare spazio alla mia mente e dimenticare"),
agilmente cantato da Chiara Onida, può essere la dichiarazione di un intento nemmeno
tanto nascosto di lanciare energia cinetica tormentata? Forse no, a noi piace pensare
che vi sia qualcosa di più intrigante e seriamente cialtronesco, di più furioso
col rapporto col mondo musicale (e non solo).
Come Zappa avrebbe detto: " parlare di musica è come ballare di architettura".
Ed infatti mentre passava dal rock alla serissima parodia del jazz, da Boulez all'oltraggio
tanto minaccioso quanto divertito della "classica", dalla trasgressione futurista
degli arrangiamenti orchestrali alla citazione di Coltrane e Monk, con fare ironico
e stralunato sezionava straordinarie citazioni di Varèse, Webern e Stockhausen…
Fabrizio Ciccarelli per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 06/02/2011
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