...John Lewis
di
Claudio Lo Cascio
foto di Salvo Fundarotto
Il mio primo incontro con
John Lewis risale al novembre del
1961
in occasione del primo dei due concerti
del Modern Jazz Quartet a Palermo (il secondo avvenne nel novembre del
1965).
Poichè Lewis arrivò un paio
di giorni prima dei suoi colleghi, organizzammo in suo onore un meeting notturno
al Circolo del Tennis che ci mise a disposizione una saloncino dotato di
un discreto pianoforte; qui suonai in suo onore col mio trio alcuni pezzi suoi (a
cominciare dal favoloso "Django").
Dopo un po' chiese di potere ascoltare dei pezzi nostri, ed eseguimmo alcuni
brani di folk-jazz di mia composizione fra cui la mia "Suite siciliana in do
minore" che ascoltò molto concentrato per poi esprimerci il suo compiacimento.
Poiché il mio inglese era - e rimane - quello della sopravvivenza, pensai
autocriticamente che le sue erano cortesi espressioni di circostanza, ma dovetti
ricredermi perché all'indomani di quell'incontro, nel corso di un'intervista che
andò a rendere in RAI, alla domanda del redattore rispose in questi termini:
D. Lei sapeva che proprio a Palermo, da diversi anni, ha qui la sua più
anziana scuola italiana, cioè dei musicisti che si ispirano al suo stile?
R. Ho avuto occasione di ascoltare dei giovani musicisti palermitani, e devo
dire che sono rimasto molto, molto, molto sorpreso per il loro beat, swing e feeling.
Ma, soprattutto, sono rimasto impressionato dal loro jazz così diverso. Ho sentito
del jazz in tutto il mondo, Europa, Australia, Giappone, e spesso era buon jazz.
Qui, invece, per la prima volta nella mia vita ho trovato del jazz basato su di
un'esperienza locale ed originale, risuonante delle melodie tradizionali e con caratteri
ereditari del posto. Penso che ciò sia molto importante, e non solo per i musicisti
siciliani. Il jazz per essere sentito deve portare l'impronta dei problemi e delle
situazioni che sono alla base. Ho provato un immenso piacere ascoltando questi giovani,
e particolarmente ho apprezzato due composizioni, una ispirata al folklore della
Sardegna (era il mio pezzo "Nuraghi" n.d.A.) ed un'altra era la "Suite
siciliana". Seduto in poltrona, mentre li seguivo, ho provato la medesima gioia
che provo quando suono per me solo, e questa gioia è stata tanto più grande perché
completamente inaspettata."
Il testo integrale dell'intervista venne successivamente pubblicato sulla
rivista "Tempo di jazz".
Nell 'autunno del
1983
il Sovrintendente del Teatro Massimo
di Palermo Prof. Ubaldo Mirabelli mi convoca improvvisamente e appena
arrivo da lui, ancora all'impiedi, mi fa: "Quel suo sogno é sempre nel cassetto?"
lo capisco al volo e mi siedo senza ancora esserne invitato perché mi si afflosciano
le gambe: già prima del suo insediamento ufficiale, Mirabelli aveva avviato una
serie di incontri con i principali operatori musicali della città; quando era arrivato
il mio turno gli avevo illustrato alcune proposte (fra cui il mio "New Jazz Quartet"
con cui fin dal 1956
suonavo le musiche del Modern
Jazz Quartet di John Lewis); ad un certo punto mi interruppe: "Lei
avrà, immagino, un sogno nel cassetto?". Confessai che per me il top sarebbe
stato suonare col mio "New Jazz Quartet" assieme all'orchestra sinfonica del Teatro
sotto la direzione di John Lewis, e spiegai che questo tipo di matrimonio musicale
avveniva già da alcuni anni in America, mentre in Europa era accaduto una sola volta
nel 1958
con un concerto per quartetto jazz
e orchestra sinfonica diretto da John Lewis a Stoccarda testimoniato da un
rarissimo LP della RCA americana, al che Mirabelli mi interruppe ancora e, con un
sorriso leggermente ironico, mi fa: "European Windows, nevvero?" lasciandomi
letteralmente di stucco.
E così il grande momento
era proprio arrivato: "Le musiche di John Lewis sono in quel pacco; le prenda
e cominci a preparare il quartetto. Peccato che John Lewis abbia in tutto dieci
giorni disponibili e almeno cinque se ne vanno per le prove, poi c'é il lunedì di
riposo obbligatorio degli enti lirici: insomma, si possono fare solo quattro concerti,
meglio di niente, no?"
Mi misi subito al lavoro con Enzo Randisi (vibrafono), Giuseppe
Costa (contrabbasso) e Pippo Cataldo (batteria), che in quel periodo
suonava come percussionista nell'orchestra del Massimo; scelta obbligata quest'ultima
in quanto il difficile matrimonio esigeva la presenza di un batterista lettore con
sdoppiamento della personalità così da conciliare l'"andare a tempo" dell'orchestra
sinfonica con lo "swing" del quartetto jazz.
Le prove si fecero in un fine novembre eccezionalmente gelido, con i monti
che circondano Palermo tutti bianchi di neve.
L'atmosfera, freddo polare a parte, era molto strana e senza precedenti per
tutti, eccetto ovviamente che per John Lewis il quale si rivolse all'orchestra
con un largo sorriso e un inchino: "Signore e signori, io non sono un direttore
d'orchestra, ma credo che se ci rimboccheremo tutti le maniche, faremo un buon lavoro
insieme".
Applausi, che arrivarono
alle pacche sulle spalle dopo che in una delle prime pause l'orchestra, rinunciando
ad andare al bar (evento storico), si raccolse attorno a Lewis che si era messo
a suonare al pianoforte "Tea for two" in jam-session con Luigi Antico
(uno dei violinisti dell'orchestra oggi scomparso) e con la sezione ritmica
del mio quartetto.
In tanta gioia, un unico cruccio: impossibile in quel periodo trovare libero
un teatro a Palermo capace di ospitare quell'enorme organico (58 professori d'orchestra
più il quartetto jazz); così suonammo a Termini Imerese (2 dicembre),
Gibellina (3 dicembre), Vita (4 dicembre) e Caltanissetta (6 dicembre).
A Vita un bambino piccolissimo portò un enorme mazzo di rose rosse
a John Lewis, che subito si mise ad offrirle a sua volta con un inchino alle
numerose musiciste componenti l'orchestra, ormai tutta innamorata di lui; al punto
che sul palcoscenico del Teatro Trieste di Caltanissetta, al termine dell'ultimo
concerto, l'arpista dell'orchestra, Mara Galassi, offrì al Maestro assieme
ad un mazzo di fiori un prezioso libro sull'arte italiana, risultato di una colletta
fatta da tutti i professori d'orchestra.
Claudio Lo Cascio
The Queen's Fancy
John Lewis annuncia il brano
solo di Enzo Randisi
solo di Claudio Lo Cascio
Three Windows
John Lewis annuncia il brano
tema e solo di Enzo Randisi
solo di Claudio Lo Cascio
finale orchestrale
Two Degrees East,
Three Degrees West
John Lewis annuncia il brano
solo di Claudio Lo Cascio
ed Enzo Randisi
John Lewis solo piano
Invia un commento
COMMENTI | Inserito il 21/4/2003 alle 0.16.18 da "aterzo" Commento: Per chi, come me, ama il jazz e, indegnamente, cerca talvolta di scriverne, è davvero emozionante leggere simili bellissime pagine di esperienza vissuta per il jazz... Grazie, Mo LoCascio, per permetterci di condividere con lei, attraverso questo sito, le sue esperienze musicali più significative. Antonio Terzo | | Inserito il 14/10/2005 alle 23.40.50 da "danmd1" Commento: Cosa dire? Solo, grazie Lo Cascio. | | Inserito il 19/11/2005 alle 16.37.44 da "anhto" Commento: Esiste qualcuno nella Vostra associazione che mi possa far avere il cofanetto o i 4 cd relativi ai preludi e fughe tratte da J.S.Bach che John Lewis rivisitò, oppure come fare per acquistarli. Grazie infinite. Antonio | | Inserito il 9/6/2006 alle 16.11.31 da "marinogian" Commento: E' una grande possibilità quella di poter sentire un pò di John Lewis e degli altri jazzisti in quel concerto! L' unico neo è l'audio che non è nelle migliori condizioni. Giudizio generale ottimo
| | Inserito il 5/11/2006 alle 22.59.53 da "kaabe" Commento: che bel racconto! | | Inserito il 3/7/2008 alle 22.50.18 da "terrazzini_angela" Commento: Ubaldo Mirabelli, così deliziosamente qui raccontato, se n'è andato ieri. Siamo tutti più poveri. | | Inserito il 22/10/2010 alle 9.31.57 da "fattolini" Commento: La Tarantella Siciliana del Maestro Locascio è sempre stata per me, sin dagli anni '80, il seme che ha ispirato la mia espressione musicale. Una luce che mi ha stimolato alla ricerca ed alla creazione. Questo brano, capitatomi tra le mani su un vecchio nastro registrato, mi ha tracciato una strada che dalla musica popolare tradizionale incrocia il linguaggio jazzistico e, muovendosi su un piano più elevato, mi ha indicato la via che conduce a cercare una propria espressione, frutto dell'insieme delle esperienze musicali fatte. Una strada senza fine che si arricchisce di curve, salite e discese ogni volta che si imbraccia uno strumento e ci si lascia andare tra le note. Grazie Maestro Lo Cascio per questo dono. | |
Questa pagina è stata visitata 9.515 volte
Data pubblicazione: 20/04/2003
|
|