Il
1948
si aprì con la notizia che Bird era in testa alle classifiche di
Metronome tra i sassofonisti:
finalmente anche la stampa specializzata cominciava ad apprezzare Charlie e con
lui tutto il mondo del Bop (ricordiamo che l'anno prima il riconoscimento era
già stato attribuito, tra i trombettisti, a Dizzy Gillespie). Anche Miles Davis
e Max Roach stavano guadagnando sempre più la stima di tutti e il quintetto era
sicuramente il gruppo con il più alto tasso di classe tra quelli che suonavano
jazz. L'agenzia Moe Gale (Moses Galewski) procurò al complesso una serie di scritture e ingaggi
sempre più interessanti e, in definitiva, Parker era finalmente un
"personaggio". Si cominciò ad ascoltarlo non per divertirsi, ma con la
consapevolezza che le note prodotte dal sassofono di Bird si tramutavano in
«un'esperienza impegnativa, emozionante, spesso agghiacciante...»
[1].
Per la gente di colore urbana della sua generazione, Charlie era un vero e
proprio eroe. Era, a suo modo, un rivoluzionario, per certi aspetti precursore
di Martin Luther King, Malcolm X, Eldridge Cleaver, Angela Davis, Shirley
Chisholm: era riuscito nell'intento di riformare la musica senza alterarne i
suoi significati più profondi.
Purtroppo, però, Parker si rendeva
spesso protagonista di comportamenti poco ortodossi e uno di questi, in
particolare, ebbe conseguenze gravi anche sugli ingaggi del quintetto. Scrive
Ross Russell: «L'Argyle Lounge
di Chicago fu teatro dell'avvenimento più
scandaloso del 1948
nel mondo del jazz. Charlie aveva finito il suo numero.
Appoggiò il suo sax sul piano. Poi scese dalla pedana, attraversò la sala, poi
il foyer, ed entrò nella cabina telefonica, chiuse la porta, e prese a urinare
per terra. Ben presto si vide uscire un ruscelletto giallo che si allargò in
pozzanghera nel foyer. Lui uscì dalla cabina ridendo. Non ci furono spiegazioni
né scuse. Si era liberato in modo del tutto inconscio? Oppure intendeva urinare
sul pubblico, su Billy Shaw, su Dizzy Gillespie, o sul gestore dell'Argyle
Lounge, o magari era troppo sulle spine per aspettare il suo turno alla toilette
inadeguata e piccolissima dell'Argyle? Forse neanche lui lo
sapeva»
[2].
Comunque siano andate le cose, il quintetto dovette far ritorno a New York e
Billy Shaw annullò tutti gli impegni fuori città spedendo il quintetto all'Onyx
Club, sulla Cinquantaduesima Strada. Ma la Strada, in quel periodo, non viveva
certo uno dei suoi momenti migliori e anche i rapporti tra Miles e Bird stavano
gradualmente deteriorandosi. Ricorda Davis: «Più o meno in quel periodo cominciò
il declino della 52° Strada. La gente continuò a venire giù ai club per
ascoltare della buona musica, ma i poliziotti erano dappertutto. C'erano un
mucchio di troie per la strada, così i poliziotti facevano pressione sui
proprietari perché tutto filasse il più liscio possibile. La Polizia iniziò
anche ad arrestare qualche musicista e un mucchio di personaggi lì fuori. La
gente veniva per sentire il gruppo di Bird, ma altri gruppi non erano così
fortunati. Molti di quei club sulla Strada avevano smesso di programmare jazz e
si erano organizzati per degli strip tease. Anche il mondo musicale era ferito
profondamente dal declino della Strada e dal proseguire del blocco delle
registrazioni. La musica non sarebbe stata documentata, se non avete sentito
bene nei club, be', dimenticatevela. Noi suonavamo regolarmente in diversi
posti, come l'Onyx e il Three Deuces. Ma Bird faceva cazzate con i soldi di
tutti quanti e questo stava facendoci andare un po' fuori di testa. Avevo per
lungo tempo guardato Bird come se fosse stato una specie di dio, ma non lo
vedevo più in questo modo. Avevo ventidue anni, una famiglia, avevo vinto da
poco il New Star dell'Esquire per le
trombe nel 1947, e avevo avuto l'ex aequo con Dizzy nel sondaggio dei critici
del Down Beat. Io non mi ero montato
la testa, ma cominciavo a capire che cosa io valessi musicalmente. Il fatto che
Bird non ci pagasse non era giusto. Non ci rispettava e io non avevo intenzione
di sopportarlo ancora»
[3].
Parker, dopo la faccenda della cabina
telefonica, si prese un periodo di riposo durante il quale riacquistò una
condizione fisica accettabile e Billy Shaw, pur non recuperando tutte le
scritture che il quintetto aveva perso fuori città, trovò un nuovo ingaggio per
il complesso. Preso atto della crisi della Cinquantaduesima Strada, Shaw dirottò
il gruppo sulla Quarantasettesima Strada, in un locale chiamato
Royal Roost
che
fu il primo posto di Broadway dove si suonò jazz.
Charlie era di nuovo in una forma
musicale smagliante e parve un gran peccato non registrarlo. Teddy Reig
(New York, 23 nov 1918 - Teaneck,
NJ, 29 set 1984)
propose
subito di effettuare due sedute d'incisione, le ultime per la Savoy, realizzate
clandestinamente in quanto era sempre in vigore l'ostracismo sindacale. Il
quintetto si ritrovò nel mese di
settembre negli studi Nola con due sostituti
nella sezione ritmica: il bassista Curly Russell
(New York, 19 mar 1917 - Queens NY, 3
lug 1986)
e il pianista John Lewis
(John Aaron Lewis: La Grange IL, 3 mag
1920 - 29 mar 2001)
(video
di John Lewis: courtesy by IAJE). Furono
registrati
Barbados
(),
Ah-Leu-Cha (),
Constellation
(),
Parker's Mood (),
Perhaps (),
Marmaduke
(),
Klaunstance e
Bird Gets the Worm. Il
risultato di quest'ultimo lavoro per la Savoy fu, ancora una volta, esaltante.
In particolare vanno segnalati
Ah-Leu-Cha
nel quale Bird sperimenta ulteriormente quei modi contrappuntistici già
usati in Chasin' the Bird, e
Parker's Mood
che è assolutamente
all'altezza dei suoi blues classici come Hootie Blues, Slam Slam Blues, Now's the Time, Cool Blues, Relaxin' at Camarillo.
Quando i contrasti tra il sindacato e
le case discografiche si placarono, in novembre, Billy Shaw firmò per Parker un
contratto per la Mercury della durata di un anno. La Mercury era una sussidiaria
della Metro-Goldwin-Mayer per la quale lavorava
Norman Granz
nelle vesti di
curatore del Jazz. Si decise di utilizzare Bird in un contesto differente: visto
che in quel momento la musica afro-cubana stava ottenendo un notevole successo,
Granz ingaggiò per l'occasione la Machito Orchestra
(Frank Raul Grillo: Havana, Cuba 16 feb
1912 - London, 15 apr 1984), band che trionfava al
Palladium Ballroom
(il paradiso della rumba), e utilizzò Charlie come solista
per registrare
No Noise
() e
Mango Mangue
().
I dischi vennero lanciati
sul mercato con la formula «Charlie Parker suona a sud del confine» e riscossero
un buon successo. Le esecuzioni furono sicuramente interessanti, ma molti fan di
Bird rimasero delusi da questa operazione: preferivano il Parker che decideva di
persona i temi da suonare, le persone che componevano i suoi gruppi, gli agenti
con cui lavorare.
Subito dopo l'uscita dei primi dischi
per la Mercury, Norman Granz portò di nuovo Charlie in tournée con Jazz at the Philharmonic. Bird sarebbe tornato al Royal Roost il
10 dicembre, ma il quintetto ormai
era in grossa crisi: Al Haig aveva sostituito Duke Jordan al piano e
Miles Davis non parlava quasi più con Bird. Sarebbero passati solo pochi giorni e, la
settimana di Natale, le tensioni interne del gruppo si scatenarono in maniera
irreversibile. Durante la stessa notte, dopo l'ennesima arrabbiatura, Miles e
Max Roach lasciarono il gruppo per non tornare più. In quel momento cessava di
esistere uno dei gruppi di Bebop più affascinanti, complesso nel quale le grandi
personalità di Parker, Davis e Roach avevano contribuito ad affinare
definitivamente quel linguaggio che, dalle prime jam-session del Minton's, aveva
fatto dei passi da gigante.
Charlie continuò comunque a suonare in
quintetto sostituendo Miles con McKinley "Kenny" Dorham
(McKinley
Howard Dorham: Fairfield, TX, 30 ago 1924 - New York, 5 dic 1972), trombettista dalla non straordinaria
creatività, ma solido, e Max Roach con Joe Harris
(Detroit, 1926), batterista già
attivo nell'orchestra di Dizzy Gillespie molto più adatto a suonare in big-band
che in un piccolo complesso. La fine dell'anno, però, non portò solo delusioni a
Parker: per il secondo anno consecutivo era in testa alle classifiche di Metronome, a conferma di una credibilità
artistica e di una notorietà ormai indiscutibili. Ultimo evento del
1948, per Bird, fu un ingaggio come primo sax-alto nella orchestra di all-stars che
avrebbe inciso un disco speciale per la RCA Victor il
3 gennaio 1949 con un
organico di primissima qualità:
Dizzy
Gillespie, Miles Davis, Fats Navarro,
trombe
J.J. Johnson, Kai Winding,
tromboni
Buddy de Franco,
clarinetto
Charlie Parker,
sax alto
Charlie Ventura,
sax tenore
Ernie Caceres,
sax baritono
Lennie Tristano,
piano
Billy Bauer,
chitarra
Eddie Safranski,
basso
Shelly Manne,
batteria
Pete Rugolo,
direttore |
La «Metronome All-Stars» incise due
facciate,
Victory Ball
() e
Overtime (), e fu fotografata, per motivi
pubblicitari, con tutti i suoi componenti seduti dietro leggii sui quali erano
scritti i nomi dei musicisti a lettere cubitali: i «rivoluzionari» del Bebop
erano entrati prepotentemente nel mondo della musica commerciale.
La grande orchestra di Dizzy Gillespie nel
1948 varcò l'Atlantico per una
tournée in Europa che se da una parte ebbe un esito disastroso dal punto di
vista economico ed organizzativo, dall'altra offrì a Diz le migliori
soddisfazioni di quel periodo. La prima tappa fu in Svezia, paese dove il Bop
aveva già fatto una prima apparizione con un piccolo complesso guidato da
Chubby
Jackson (Greig Stewart
Jackson: New York, 25 ott 1918), contrabbassista seguace di Oscar Pettiford. La tournée avrebbe dovuto
essere piuttosto lunga, ma una serie di contrattempi stava costringendo i
musicisti a riprendere la strada degli Stati Uniti se non fosse arrivato un
provvidenziale invito per la band dalla Francia. L'orchestra suonò in tre
occasioni alla Salle Pleyel
di Parigi e diede altri concerti nel Sud. Nella
grande sala da concerto parigina la compagine di Gillespie traumatizzò
letteralmente il pubblico, ma i musicisti e gli intenditori esultarono. Scrisse
Hubert Fol: «Dizzy, in abito di gabardine chiaro, coi suoi occhiali cerchiati di
nero sul naso e il famoso ciuffo di peli sul labbro inferiore, è davanti ai suoi
quindici musicisti in giacca granata, pantaloni da smoking e larghe cravatte a
farfalla i cui lembi ricadono sulle camicie. Immediatamente egli attacca un
pezzo veloce, dirigendo l'orchestra con tutto il suo corpo: e la potenza che si
sprigiona dall'orchestra è tale da sbalordire. Voi siete inchiodati sulle vostre
poltrone, ma i musicisti si muovono con una sconcertante disinvoltura in
arrangiamenti difficili, messi a punto in modo ammirevole. Dizzy è sempre in
movimento, e non si ferma neppure quando un solista prende un assolo: Danza,
salta, marcia, e ciascuno dei suoi gesti ha un preciso significato. Dizzy dirige
in modo straordinario, ed è stupefacente vederlo muovere sulla scena, indicando
e sottolineando ogni minimo particolare. Poi, improvvisamente, si arresta: si
esibisce con un'inenarrabile mimica per qualche istante e sparisce fra le
quinte, per tornare a comparire alla fine di un assolo per rilanciare la intera
orchestra in un brano arrangiato; poi solleva le braccia, le lascia ricadere di
colpo e tutto è finito. Allora si avanza verso il microfono e ringrazia gli
spettatori alternativamente in francese e in inglese con una calma incredibile,
sospirando dentro il microfono ed esitando come se non sapesse quale pezzo
suonare. Poi, in un soffio, annunzia il titolo del pezzo seguente, dopo aver
detto una frase come questa: "And now, by
special request from the band and myself..." (Ed ora, a richiesta
particolare mia e della mia orchestra...). Si volta e con un gesto rapido e
molle fa ripartire l'orchestra. Quando prende un chorus resta immobile e suona
delle lunghe frasi spesso ricercatissime ritmicamente e melodicamente, ma
costruite con una logica ed eseguite con una sicurezza veramente ammirevoli. Di
tanto in tanto si posa su una di quelle note bizzarre che sa introdurre con
tanta genialità; tutto questo con una calma e una facilità che stupiscono. Dizzy
interpreta la musica come la sente, e suona molto spesso con grande ispirazione.
Io credo che, a meno di essere in malafede, sia impossibile, dopo averlo visto
suonare e dirigere la sua orchestra, non essere convinti della sua profonda
sincerità»
[4].
Da questa corrispondenza di Hubert Fol
emerge una delle caratteristiche che differenzia Gillespie dagli altri alfieri
del Bebop: Dizzy era un vero showman, un personaggio che sapeva accattivarsi le
simpatie del pubblico, bianchi o neri che fossero, era il musicista ideale per
far conoscere la «nuova musica» anche alle platee più prevenute. Ricorda Arrigo Polillo
(Pavullo nel Frignano
MO, 12 lug 1919 - 1984): «Anche coloro che, fino da allora, avevano capito che il più dotato
esponente di quel nuovo jazz a cui era stato dato il nome di Bebop era Charlie
Parker, e non Dizzy, consideravano quest'ultimo il pubblico portabandiera,
l'uomo che meglio li rappresentava all'esterno del loro gruppo, che
simboleggiava il "bop cult", per usare un'espressione allora corrente. I
giornalisti, poi, per cui il Bebop era soprattutto, o soltanto, un divertente e
bizzarro fatto di costume, non conoscevano altri che lui. Parker, lunatico,
aggressivo, non era altrettanto simpatico, e non faceva notizia. Furono proprio
il carattere fondamentalmente allegro, l'esuberanza vitale, il senso
dell'umorismo, l'intelligenza vivace e realistica, che permisero a Dizzy di
superare meglio di ogni altro musicista del suo entourage le difficoltà che il
Bebop, di cui era stato uno dei creatori, incontrò lungo il suo cammino, e di
evitare poi la sorte tutt'altro che lieta, e in qualche caso tragica, di molti
di loro» [5].
Nel corso dei sopracitati concerti
parigini l'orchestra di Gillespie presentò il meglio del suo repertorio e molti
brani vennero incisi proprio durante la permanenza in Francia e pubblicati dalla
Vogue e, dopo ventitré anni, dalla Prestige. Tra i pezzi più significativi della
big-band di Dizzy in quel periodo vanno segnalati:
Toccata for Trumpet and orchestra,
Two bass hit
(entrambe composizioni di
John Lewis),
Stay on it,
Good bait
(ambedue di Tadd Dameron),
'Round about midnight,
All the things you are,
Groovin' high
e due divertenti brani
adatti per il vocalizzo scat:
Oop-pop-a-da
e
Ool-ya-koo.
Al ritorno dalla tournée europea
(importante anche perché diede il via a una serie di viaggi di musicisti di Bop
in Europa che consentirono lo sviluppo di questa musica anche dall'altra parte
dell'Atlantico), la compagine di Gillespie trovò ad attenderla, sulla banchina
del porto di New York, più di cento fans, tutti muniti di berretto, occhiali e
di un ciuffetto di peli sul labbro inferiore, in onore di Mister Bebop.
I due pianisti "storici" del Bebop vissero nel
1948 momenti non brillantissimi. Thelonious Monk proseguì ad incidere per la
Blue Note, ma la sua
musica continuava ad essere capita da pochi. In questo contesto Monk si trovò,
ancora una volta, ad avere gravi difficoltà dal punto di vista lavorativo, tanto
che proseguì a suonare saltuariamente in locali di quart'ordine. Bud Powell
trascorse quasi tutto l'anno
in ospedale, a Long Island. Ricoverato alla fine del
1947, fu sottoposto ad una
cura di elettroshock che non gli giovò molto, procurando quei problemi alla
memoria che mineranno definitivamente la sua salute e che non gli consentiranno,
negli anni a venire, di suonare sempre ai livelli straordinari dei quali era
capace.
Miles Davis, in concomitanza con la sempre più frammentaria attività del
quintetto di Parker, nel
1948 inizia realmente la sua attività di leader che lo
porterà, nel giro dello stesso anno, a dare una svolta a tutto il mondo del
jazz. Miles organizzò un altro gruppo da portare al Royal Roost, un complesso
composto da musicisti "moderni" che in breve si sarebbe allontanato dal puro
Bop, ormai di casa nel locale di Broadway, andando alla ricerca di nuove
sonorità. Scrive Davis: «C'erano con me Max Roach, John Lewis,
Lee
Konitz (Chicago, 1
ott 1927)
[6],
Gerry Mulligan
(Gerald Joseph Mulligan: New York, 6 apr 1927 - Darien, CT, 20 gen 1996)
[7],
Al McKibbon
(1919)
al basso e Kenny "Pancho" Hagood come vocalist. C'erano anche Michael Zwerin
al
trombone, Junior Collins al corno francese e Bill Barber alla tuba. Avevo
cominciato a lavorare con
Gil Evans
qualche tempo prima di questo fatto e lui mi aveva messo in piedi dei buoni
arrangiamenti. Gil aveva smesso di arrangiare per il gruppo di Claude Thorhill
nell'estate del 1948. Aveva sperato di poter scrivere e arrangiare per Bird. Ma
Bird non aveva mai tempo di ascoltare quello che Gil faceva, perché, per Bird,
Gil era semplicemente il tipo che riusciva a procurargli un buon posto dove
mangiare, bere, cagare ed essere soprattutto vicino alla 52° Strada, almeno
fintanto che Gil tenne l'appartamento che aveva proprio lì. Finalmente Bird
sentì la musica di Gil, l'apprezzò molto. Ma a quel punto era Gil che non voleva
più lavorare con Bird. Gil e io avevamo ormai cominciato a lavorare assieme e tutto ci stava
andando davvero bene. Io stavo cercando un modo in cui poter fare i miei assolo
in uno stile che mi si confacesse di più. La mia musica infatti era un po' più
lenta e non intensa come quella di Bird. Ero molto eccitato dalle mie
conversazioni con Gil su come sperimentare una voce più sottile dello strumento.
Così Gerry Mulligan, Gil e il sottoscritto cominciammo a vedere come si poteva
mettere insieme quel nuovo gruppo. Noi pensavamo che il numero giusto fosse
nove. Gil e Gerry avevano già deciso quali dovessero essere gli strumenti della
band prima che io entrassi veramente nell'idea di discutere operativamente la
questione. Però la prima idea, il senso della musica, bene, quella era mia.
Affittai un posto per provare, organizzai le sessioni e feci in modo che
tutto funzionasse. Mettevo insieme queste stronzate con Gil e Gerry dall'estate
del 1948 fino a quando non arrivammo a registrare in gennaio e nell'aprile del
1949 e poi ancora nel marzo del
1950. Riuscii a tirar su anche qualche lavoro
per noi e stabilii contatti con la Capitol Records per le registrazioni.
Ma
lavorare con Gil mi spingeva a darmi da fare pesantemente con la composizione.
Suonavo i miei pezzi a Gil al pianoforte nel suo appartamento.
Mi ricordo di quando cominciammo a mettere insieme il gruppo e io volli Sonny Stitt
(Edward Stitt:
Boston, 2 feb 1924 - Washington, 22 lug 1982)
al sax alto. Sonny aveva delle sonorità molto simili a quelle di
Bird, così pensai immediatamente a lui. Ma Gerry Mulligan voleva Lee Konitz
perché aveva un suono più leggero di quello che era il Bebop duro. Lui si
sentiva sicuro che questo tipo di suono sarebbe stato quello che ci avrebbe reso
diversi dagli altri e avrebbe reso diverso anche il nostro album. Gerry era
sicuro che con me, Al McKibbon, Max Roach e John Lewis nello stesso gruppo,
tutti quanti arrivati dal Bebop, c'era il rischio che ci trovassimo a fare la
solita vecchia roba ripetendoci ancora, così fui d'accordo con lui e presi Lee
Konitz.
Max si trovava bene con Gil, con Gerry
e con me lì da Gil, doveva venire anche John Lewis, così tutti sapevano che cosa
volevamo fare. Anche Al McKibbon. Volevamo prendere con noi pure J.J. Johnson,
ma era a zonzo con la band di Illinois Jacquet, così pensai di prendere
Ted
Kelly che stava suonando il trombone con la band di Dizzy. Ma era troppo
occupato e non poteva. Così ci arrangiammo con un tizio bianco, Michael Zwerin,
che era più giovane di me. L'avevo incontrato al Minton's una notte: stava lì a
suonare in jam con noi e gli chiesi se voleva fare una prova con noi il giorno
dopo allo studio Nola. Lui venne, fece bene e lo prendemmo nella band.
Vedete, tutta questa idea iniziò come
una specie di esperimento, un esperimento di collaborazione fra musicisti. Poi
un mucchio di musicisti neri cominciò ad arrivarmi lì a dirmi di non avere
lavoro, e mentre loro non avevano lavoro, io andavo ad assumere tizi bianchi per
la mia band. E io cosa potevo dirgli? Che se qualcuno di loro suonava bene come Lee Konitz (perché era per lui che si incazzavano di più, visto che c'erano
parecchi suonatori neri di sax alto che non avevano lavoro in quel periodo)
l'avrei preso immediatamente e non me ne sarebbe fottuto un cazzo se fosse stato
verde con il petto rosso. Io assumevo qualsiasi figlio di puttana per suonare e
non per vedere di che colore fosse. Quando dissi loro questo, la maggior parte
smise di rompermi i coglioni. Ma ce ne furono alcuni che rimasero molto
incazzati con me.
Ad ogni modo Monte Kay ci assunse per
due settimane al Royal Roost. Quando cominciammo lì al Roost, convinsi il club a
mettere fuori un cartello che diceva: "Nonetto di Miles Davis; arrangiamenti di
Gerry Mulligan, Gil Evans e John Lewis". Dovetti litigare disperatamente con il
proprietario del Roost, Ralph Watkins, per convincerlo. Non voleva fare una cosa
del genere perché diceva che era troppo per lui pagare nove figli di puttana
quando poteva pagarne cinque. Ma Monte Kay gli spiegò la faccenda. Non mi
piaceva troppo Watkins, ma lo rispettavo per averci dato la chance che ci diede.
Suonammo al Royal Roost per due settimane verso la fine di agosto e poi nel
settembre del 1948, prendendo il secondo set dopo l'orchestra di Count
Basie.
C'era un mucchio di gente che pensava
che le cazzate che suonavamo fossero davvero strane. Mi ricordo Barry Ulanov
della rivista Metronome: lui era un
po' confuso dalla musica che suonavamo. Count Basie ci ascoltava tutte le notti
quando ci alternavamo io e lui e gli piaceva quella musica. Lui mi disse che era
"lenta e strana, ma buona, davvero buona". C'erano anche parecchi altri
musicisti che venivano a sentirci e che apprezzavano quello che facevamo e fra
questi c'era anche Bird. Soprattutto ci fu Pete Rugolo della Capitol Records che
apprezzò moltissimo quello che gli facemmo ascoltare e mi domandò se volevamo
suonare per lui per la Capitol quando fosse terminata la protesta contro le
registrazioni.
Verso la fine di settembre portai
ancora un altro gruppo al Roost, con Lee Konitz, Al McKibbon, John Lewis, Kenny
Hagood e Max Roach. Symphony Sid trasmise quella serata e la registrò, così ci
fu finalmente una prova registrata di quello che suonavamo. Era un gruppo
davvero forte. Ci andammo giù duro quell'unica volta in cui suonammo assieme,
capite? Max soprattutto diede moltissimo.
Ma più o meno in quel periodo, Gil si
spense musicalmente, non riusciva a scrivere più di otto battute la settimana.
Finalmente si riprese, scrisse un pezzo che si chiamò
Moon Dreams e qualcosa per
Boplicity, un tema finito poi nel disco
Birth of the Cool. L'album
Birth of the Cool saltò fuori da alcune
delle session che avevamo fatto per provare a suonare come la band di
Claude
Thornhill (Terre
Haute, IN, 10 ago 1909 - New York, 1 lug 1965).
Volevamo quelle sonorità, ma la differenza era che noi la volevamo
più piccola possibile. Io dicevo che doveva essere il suono di un quartetto, con
soprano, alto, baritono e basso. Noi avevamo invece tenore, mezzo alto e mezzo
basso. Io ero la voce soprano e Lee Konitz era l'alto. Avevamo un'altra voce con
un corno francese e poi il baritono che era un basso tuba. Avevamo un alto e un
soprano, io e Lee Konitz. Ogni tanto usavamo anche il corno francese per i toni
alti e il sax baritono e il basso tuba per il basso. Io consideravo il gruppo
come se fosse un coro, un coro che era e doveva essere un quartetto. C'era un
mucchio di gente che metteva il sax baritono come basso nella parte più bassa
della partitura, ma non è uno strumento basso come lo è una tuba. Io volevo che
gli strumenti suonassero come le voci umane e lo facevano.
Gerry Mulligan ogni tanto doveva
raddoppiare con Lee o altre volte con me o Bill Barber, che era sempre nella
parte più bassa della basso tuba. Qualche volta saliva di registro e qualche
volta facevamo in modo che fosse lui a portare su il sound. E funzionava
[...].
Birth of the Cool divenne presto un
pezzo da collezionisti, credo che sia stata una sorta di reazione alla musica di
Bird e Diz. Bird e Dizzy suonavano queste stronzate velocissime, e se voi non
eravate tanto rapidi ad ascoltare non potevate sentire gli umori e i feeling
della loro musica. Il loro sound non era dolce e non avevano delle linee
armoniche da poter canticchiare facilmente per la strada a passeggio con la
vostra ragazza mentre cercavate di baciarla. Il Bebop non aveva la stessa
umanità di Duke Ellington. E non era nemmeno così riconoscibile. Bird e Diz
erano grandi, fantastici, però non erano dolci. Ma Birth of the Cool era differente perché
potevate sentire tutto quello che succedeva e canticchiarlo anche.
Le radici di Birth of the Cool sono quelle della
musica nera, da Duke Ellington. Stavamo cercando di avere il suono di Claude
Thornhill, ma lui a sua volta aveva preso da Duke Ellington e Fletcher
Henderson. Anche Gil Evans era un grande ammiratore di Duke e di Billy
Strayhorn [8]
e
Gil era l'arrangiatore di Birth of the
Cool. Sia Duke sia Billy facevano quegli sdoppiamenti sopra gli accordi come
facevamo noi in Birth. Sentivi sempre
Duke farlo e lui costringeva i suoi ragazzi a realizzare quel suono che era
inevitabile riconoscere. Se suonavano da soli nella band di Duke, potevi
immediatamente riconoscerli e dire chi fossero dal suono che producevano. E se
erano in sezione potevi ancora capire chi fossero dal timbro della voce.
Mettevano la loro personalità negli accordi che realizzavano.
E questo è quello che noi facemmo in Birth. E penso sia per questo che ebbe
successo. Anche la gente bianca poteva apprezzare la musica che riusciva a
capire, quella musica che potevano ascoltare senza diventare scemi. Il
Bebop non arrivava da qualcosa a loro familiare e così era molto difficile per
la maggior parte di loro ascoltare quel che si faceva suonando. Era una musica
completamente nera. Ma Birth non era
soltanto orecchiabile, c'erano anche dei bianchi che suonavano e avevano anzi
dei ruoli importanti. E questo ai critici bianchi piaceva molto. Piaceva l'idea
che sembrasse importante che avessero un ruolo preminente in quello che si stava
facendo. E' un po' come se qualcuno ti stringeva la mano con più convinzione.
Colpivamo l'orecchio di chi ci ascoltava in un modo un po' più leggero di Diz e
Bird, tenevamo la musica un po' più sui binari principali e questo era
tutto» [9].
Con il suo linguaggio colorito, Miles
ci racconta la nascita del suo nonetto e, di conseguenza, del Cool-jazz, «ovvero
jazz freddo, anzi fresco, calmo, distaccato, imperturbabile. (Cool è un
aggettivo dai molti significati nel gergo del jazz: può voler dire anche
"ottimo", e persino "tutto bene". Non per niente era stato era stato introdotto
fra i jazzman da Lester Young, a cui il gergo degli hipster deve alcune colorite
espressioni» [10].
Per rintracciare le prime manifestazioni di questa nuova corrente jazzistica
bisogna risalire al 1946
e prestare attenzione all'opera di tre differenti
gruppi di musicisti facenti capo, rispettivamente, a Lennie Tristano,
all'arrangiatore Gene Roland
(Dallas, TX, 15 set 1921 - New
York, 11 ago 1982) ed al pianista e compositore
Dave Brubeck (allievo
di Darius Milhaud attivo a San Francisco), ma Miles, insieme ai suoi
collaboratori, fu colui che nel 1948 diede una reale scossa al mondo del jazz
con il suo nonetto.
L'avvento del Cool-jazz è la
dimostrazione che in quel momento certi esperimenti erano necessari per andare
alla ricerca di nuove strade. Il linguaggio del Bebop, come già detto nel
capitolo precedente, era ormai codificato e per i musicisti non restava che
sfruttare questo patrimonio nel miglior modo possibile , ma l'esigenza di
trovare sonorità e fraseggi diversi, l'intervento in quegli anni più
determinante dei bianchi per le sorti del jazz moderno, portarono agli
esperimenti che ci ha descritto Miles.
I musicisti "storici" del Bebop
continueranno ad offrirci anche negli anni successivi esecuzioni straordinarie
nel loro stile, ma qualcosa nel contesto che li circondava era cambiato. Ricorda
Arrigo Polillo: «La musica dei boppers era difficile e, passato il primo momento
di curiosità, la gente smise di seguirla. Neppure i bianchi che si dedicarono al
nuovo jazz riuscirono a farsi accettare dal grosso pubblico: non ci riuscirono
Boyd Raeburn e George Auld, le cui grosse orchestre furono le prime bianche a
fare del Bebop, e non ci riuscì nemmeno il tenorsassofonista
Charlie Ventura
(Charles Venturo: Philadelphia, PA, 2
dic 1916 - Pleasantville, NJ, 17 gen 1992),
che pure tentò di fare un "Bop for the people" (questo era lo slogan),
sperimentando un'ingegnosa formula in cui le parti strumentali si fondevano
piacevolmente con le parti vocali affidate a Roy Kral e a Jackie Cain. A conti
fatti, quello che ottenne il miglior successo e anche i risultati più brillanti,
fra i bianchi, fu Woody Herman, con quella grande orchestra che sarebbe passata
alla storia del jazz come il "secondo gregge" (il "primo" fu la formazione del
1945-46). Anche Herman comunque dovette sciogliere la sua formazione, nel
1949:
i tempi erano davvero grami.
Intorno al
1950
il piccolo mondo dei boppers negri era quasi alla disperazione. Si salvava Dizzy Gillespie, un uomo
equilibrato che ha trovato il modo di comunicare col pubblico e di divertirlo
pur facendo quasi sempre della musica eccellente, si salvò, ancora per breve
tempo, Parker, che cominciò a esibirsi con un'orchestra d'archi, e si salvarono
pochi altri, ma i più conducevano una vita misera. Non solo a causa
dell'indigenza e della frustrazione che derivava dall'incomprensione del
pubblico per la loro musica, ma anche per colpa delle droghe - quelle "dure",
che sconvolgono la mente e uccidono -, che fra loro erano molto diffuse. Per
causa delle droghe i migliori talenti del nuovo jazz bruciarono la loro
esistenza nel giro di pochi anni: Parker, che morirà meno che trentacinquenne
nel
1955; Bud Powell che fu internato per la prima volta in manicomio nel
1947
a
ventitré anni, iniziando così un calvario che si sarebbe concluso soltanto con
la sua morte; Fats Navarro, ucciso dall'eroina a ventisette anni; Tadd Dameron
e
Gene Ammons, che trascorsero lunghi anni in carcere dopo essere stati condannati
più volte per uso di stupefacenti, e l'elenco potrebbe continuare a lungo.
Molti anni di carcere dovettero
scontare, a causa della droga, anche un paio di notevoli solisti bianchi
affermatisi nella stagione d'oro del Bebop: l'altosassofonista Art Pepper (che
sarebbe stato restituito alla musica in forma sorprendentemente brillante alla
fine degli anni Settanta, ma che sarebbe morto dopo breve tempo, nel 1982) e il
trombettista Red Rodney, già compagno di lavoro di Charlie Parker (anch'egli
risorto anni dopo).
Nessuno di loro fu un delinquente,
anche se molti furono degli uomini deboli. Il maggior torto di molti fra loro fu
quello di avvertire con l'acuta sensibilità degli artisti la loro tragica
condizione di figli del ghetto nel particolare momento della storia degli
americani di pelle scura in cui il mondo intorno a loro cambiò. Dal 1940, da
quando cioè molti di loro si erano incontrati per la prima volta al Minton's, al
1950, quando la loro musica fu spazzata via dalle crudeli leggi del mercato, la
popolazione negra di New York era aumentata del 63%. Ora, nella più grande città
degli Stati Uniti, i negri erano circa 750.000. La maggior parte di loro viveva
a Harlem, che non era più la "Parigi nera" che la Café Society di Manhattan
aveva scelto come meta per le proprie notti brave, ai tempi del Cotton Club, non
la Mecca del Nuovo Negro vagheggiata da Alain Locke, ma una bolgia infernale. Un
paradiso, tuttavia, per i trafficanti, per i ruffiani e per gli spacciatori di
droga all'ingrosso»
[11].
[1] Da Charlie Parker di ROSS RUSSELL, op.
cit.
[2] Da Charlie Parker di ROSS RUSSELL, op.
cit.
[3] Da Miles. L'autobiografia di un mito del jazz di MILES DAVIS e QUINCY TROUPE, op. cit.
[4] HUBERT FOL, Dizzy Gillespie a Parigi, in Musica Jazz, aprile
1948.
[5] Da Jazz di ARRIGO POLILLO, op.
cit.
[6] Al sax
alto.
[7] Al sax
baritono.
[8] L'arrangiatore di Duke
Ellington.
[9] Da Miles. L'autobiografia di un mito del jazz di MILES DAVIS e QUINCY TROUPE, op. cit.
[10] Da Jazz di ARRIGO POLILLO, op.
cit.
[11] Da Jazz di ARRIGO POLILLO, op.
cit.
Inserisci un commento
©
2001, 2002 Jazzitalia.net - Antonio Fraioli - i diritti riservati
© 2000 - 2024 Tutto il materiale pubblicato su Jazzitalia è di esclusiva proprietà dell'autore ed è coperto da Copyright internazionale, pertanto non è consentito alcun utilizzo che non sia preventivamente concordato con chi ne detiene i diritti.
|
Questa pagina è stata visitata 20.172 volte
Data pubblicazione: 11/08/2002
|
|