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Il 1949 e l'avvento del Cool Jazz (cap. IX)
di Antonio Fraioli
antonio.fraioli@libero.it

Il 1948 si aprì con la notizia che Bird era in testa alle classifiche di Metronome tra i sassofonisti: finalmente anche la stampa specializzata cominciava ad apprezzare Charlie e con lui tutto il mondo del Bop (ricordiamo che l'anno prima il riconoscimento era già stato attribuito, tra i trombettisti, a Dizzy Gillespie). Anche Miles Davis e Max Roach stavano guadagnando sempre più la stima di tutti e il quintetto era sicuramente il gruppo con il più alto tasso di classe tra quelli che suonavano jazz. L'agenzia Moe Gale (Moses Galewski) procurò al complesso una serie di scritture e ingaggi sempre più interessanti e, in definitiva, Parker era finalmente un "personaggio". Si cominciò ad ascoltarlo non per divertirsi, ma con la consapevolezza che le note prodotte dal sassofono di Bird si tramutavano in «un'esperienza impegnativa, emozionante, spesso agghiacciante...» [1]. Per la gente di colore urbana della sua generazione, Charlie era un vero e proprio eroe. Era, a suo modo, un rivoluzionario, per certi aspetti precursore di Martin Luther King, Malcolm X, Eldridge Cleaver, Angela Davis, Shirley Chisholm: era riuscito nell'intento di riformare la musica senza alterarne i suoi significati più profondi.

Purtroppo, però, Parker si rendeva spesso protagonista di comportamenti poco ortodossi e uno di questi, in particolare, ebbe conseguenze gravi anche sugli ingaggi del quintetto. Scrive Ross Russell: «L'Argyle Lounge di Chicago fu teatro dell'avvenimento più scandaloso del 1948 nel mondo del jazz. Charlie aveva finito il suo numero. Appoggiò il suo sax sul piano. Poi scese dalla pedana, attraversò la sala, poi il foyer, ed entrò nella cabina telefonica, chiuse la porta, e prese a urinare per terra. Ben presto si vide uscire un ruscelletto giallo che si allargò in pozzanghera nel foyer. Lui uscì dalla cabina ridendo. Non ci furono spiegazioni né scuse. Si era liberato in modo del tutto inconscio? Oppure intendeva urinare sul pubblico, su Billy Shaw, su Dizzy Gillespie, o sul gestore dell'Argyle Lounge, o magari era troppo sulle spine per aspettare il suo turno alla toilette inadeguata e piccolissima dell'Argyle? Forse neanche lui lo sapeva» [2]. Comunque siano andate le cose, il quintetto dovette far ritorno a New York e Billy Shaw annullò tutti gli impegni fuori città spedendo il quintetto all'Onyx Club, sulla Cinquantaduesima Strada. Ma la Strada, in quel periodo, non viveva certo uno dei suoi momenti migliori e anche i rapporti tra Miles e Bird stavano gradualmente deteriorandosi. Ricorda Davis: «Più o meno in quel periodo cominciò il declino della 52° Strada. La gente continuò a venire giù ai club per ascoltare della buona musica, ma i poliziotti erano dappertutto. C'erano un mucchio di troie per la strada, così i poliziotti facevano pressione sui proprietari perché tutto filasse il più liscio possibile. La Polizia iniziò anche ad arrestare qualche musicista e un mucchio di personaggi lì fuori. La gente veniva per sentire il gruppo di Bird, ma altri gruppi non erano così fortunati. Molti di quei club sulla Strada avevano smesso di programmare jazz e si erano organizzati per degli strip tease. Anche il mondo musicale era ferito profondamente dal declino della Strada e dal proseguire del blocco delle registrazioni. La musica non sarebbe stata documentata, se non avete sentito bene nei club, be', dimenticatevela. Noi suonavamo regolarmente in diversi posti, come l'Onyx e il Three Deuces. Ma Bird faceva cazzate con i soldi di tutti quanti e questo stava facendoci andare un po' fuori di testa. Avevo per lungo tempo guardato Bird come se fosse stato una specie di dio, ma non lo vedevo più in questo modo. Avevo ventidue anni, una famiglia, avevo vinto da poco il New Star dell'Esquire per le trombe nel 1947, e avevo avuto l'ex aequo con Dizzy nel sondaggio dei critici del Down Beat. Io non mi ero montato la testa, ma cominciavo a capire che cosa io valessi musicalmente. Il fatto che Bird non ci pagasse non era giusto. Non ci rispettava e io non avevo intenzione di sopportarlo ancora» [3].

Parker, dopo la faccenda della cabina telefonica, si prese un periodo di riposo durante il quale riacquistò una condizione fisica accettabile e Billy Shaw, pur non recuperando tutte le scritture che il quintetto aveva perso fuori città, trovò un nuovo ingaggio per il complesso. Preso atto della crisi della Cinquantaduesima Strada, Shaw dirottò il gruppo sulla Quarantasettesima Strada, in un locale chiamato Royal Roost che fu il primo posto di Broadway dove si suonò jazz.

Charlie era di nuovo in una forma musicale smagliante e parve un gran peccato non registrarlo. Teddy Reig (New York, 23 nov 1918  - Teaneck, NJ, 29 set 1984) propose subito di effettuare due sedute d'incisione, le ultime per la Savoy, realizzate clandestinamente in quanto era sempre in vigore l'ostracismo sindacale. Il quintetto si ritrovò nel mese di settembre negli studi Nola con due sostituti nella sezione ritmica: il bassista Curly Russell (New York, 19 mar 1917 - Queens NY, 3 lug 1986) e il pianista John Lewis (John Aaron Lewis: La Grange IL, 3 mag 1920 - 29 mar 2001) (video di John Lewis: courtesy by IAJE). Furono registrati Barbados (), Ah-Leu-Cha (), Constellation (), Parker's Mood (), Perhaps (), Marmaduke (), Klaunstance e Bird Gets the Worm. Il risultato di quest'ultimo lavoro per la Savoy fu, ancora una volta, esaltante. In particolare vanno segnalati Ah-Leu-Cha nel quale Bird sperimenta ulteriormente quei modi contrappuntistici già usati in Chasin' the Bird, e Parker's Mood che è assolutamente all'altezza dei suoi blues classici come Hootie Blues, Slam Slam Blues, Now's the Time, Cool Blues, Relaxin' at Camarillo.

Quando i contrasti tra il sindacato e le case discografiche si placarono, in novembre, Billy Shaw firmò per Parker un contratto per la Mercury della durata di un anno. La Mercury era una sussidiaria della Metro-Goldwin-Mayer per la quale lavorava Norman Granz nelle vesti di curatore del Jazz. Si decise di utilizzare Bird in un contesto differente: visto che in quel momento la musica afro-cubana stava ottenendo un notevole successo, Granz ingaggiò per l'occasione la Machito Orchestra (Frank Raul Grillo: Havana, Cuba 16 feb 1912 - London, 15 apr 1984), band che trionfava al Palladium Ballroom (il paradiso della rumba), e utilizzò Charlie come solista per registrare No Noise () e Mango Mangue (). I dischi vennero lanciati sul mercato con la formula «Charlie Parker suona a sud del confine» e riscossero un buon successo. Le esecuzioni furono sicuramente interessanti, ma molti fan di Bird rimasero delusi da questa operazione: preferivano il Parker che decideva di persona i temi da suonare, le persone che componevano i suoi gruppi, gli agenti con cui lavorare.

Subito dopo l'uscita dei primi dischi per la Mercury, Norman Granz portò di nuovo Charlie in tournée con Jazz at the Philharmonic. Bird sarebbe tornato al Royal Roost  il 10 dicembre, ma il quintetto ormai era in grossa crisi: Al Haig aveva sostituito Duke Jordan al piano e Miles Davis non parlava quasi più con Bird. Sarebbero passati solo pochi giorni e, la settimana di Natale, le tensioni interne del gruppo si scatenarono in maniera irreversibile. Durante la stessa notte, dopo l'ennesima arrabbiatura, Miles e Max Roach lasciarono il gruppo per non tornare più. In quel momento cessava di esistere uno dei gruppi di Bebop più affascinanti, complesso nel quale le grandi personalità di Parker, Davis e Roach avevano contribuito ad affinare definitivamente quel linguaggio che, dalle prime jam-session del Minton's, aveva fatto dei passi da gigante.

Charlie continuò comunque a suonare in quintetto sostituendo Miles con McKinley "Kenny" Dorham (McKinley Howard Dorham: Fairfield, TX, 30 ago 1924 - New York, 5 dic 1972), trombettista dalla non straordinaria creatività, ma solido, e Max Roach con Joe Harris (Detroit, 1926), batterista già attivo nell'orchestra di Dizzy Gillespie molto più adatto a suonare in big-band che in un piccolo complesso. La fine dell'anno, però, non portò solo delusioni a Parker: per il secondo anno consecutivo era in testa alle classifiche di Metronome, a conferma di una credibilità artistica e di una notorietà ormai indiscutibili. Ultimo evento del 1948, per Bird, fu un ingaggio come primo sax-alto nella orchestra di all-stars che avrebbe inciso un disco speciale per la RCA Victor il 3 gennaio 1949 con un organico di primissima qualità:

Dizzy Gillespie, Miles Davis, Fats Navarro, trombe
J.J. Johnson
, Kai Winding, tromboni
Buddy de Franco
, clarinetto
Charlie Parker
, sax alto
Charlie Ventura
, sax tenore
Ernie Caceres
, sax baritono
Lennie Tristano
, piano
Billy Bauer
, chitarra
Eddie Safranski
, basso
Shelly Manne
, batteria
Pete Rugolo
, direttore

La «Metronome All-Stars» incise due facciate, Victory Ball () e Overtime (), e fu fotografata, per motivi pubblicitari, con tutti i suoi componenti seduti dietro leggii sui quali erano scritti i nomi dei musicisti a lettere cubitali: i «rivoluzionari» del Bebop erano entrati prepotentemente nel mondo della musica commerciale.

La grande orchestra di Dizzy Gillespie nel 1948 varcò l'Atlantico per una tournée in Europa che se da una parte ebbe un esito disastroso dal punto di vista economico ed organizzativo, dall'altra offrì a Diz le migliori soddisfazioni di quel periodo. La prima tappa fu in Svezia, paese dove il Bop aveva già fatto una prima apparizione con un piccolo complesso guidato da Chubby Jackson (Greig Stewart Jackson: New York, 25 ott 1918), contrabbassista seguace di Oscar Pettiford. La tournée avrebbe dovuto essere piuttosto lunga, ma una serie di contrattempi stava costringendo i musicisti a riprendere la strada degli Stati Uniti se non fosse arrivato un provvidenziale invito per la band dalla Francia. L'orchestra suonò in tre occasioni alla Salle Pleyel di Parigi e diede altri concerti nel Sud. Nella grande sala da concerto parigina la compagine di Gillespie traumatizzò letteralmente il pubblico, ma i musicisti e gli intenditori esultarono. Scrisse Hubert Fol: «Dizzy, in abito di gabardine chiaro, coi suoi occhiali cerchiati di nero sul naso e il famoso ciuffo di peli sul labbro inferiore, è davanti ai suoi quindici musicisti in giacca granata, pantaloni da smoking e larghe cravatte a farfalla i cui lembi ricadono sulle camicie. Immediatamente egli attacca un pezzo veloce, dirigendo l'orchestra con tutto il suo corpo: e la potenza che si sprigiona dall'orchestra è tale da sbalordire. Voi siete inchiodati sulle vostre poltrone, ma i musicisti si muovono con una sconcertante disinvoltura in arrangiamenti difficili, messi a punto in modo ammirevole. Dizzy è sempre in movimento, e non si ferma neppure quando un solista prende un assolo: Danza, salta, marcia, e ciascuno dei suoi gesti ha un preciso significato. Dizzy dirige in modo straordinario, ed è stupefacente vederlo muovere sulla scena, indicando e sottolineando ogni minimo particolare. Poi, improvvisamente, si arresta: si esibisce con un'inenarrabile mimica per qualche istante e sparisce fra le quinte, per tornare a comparire alla fine di un assolo per rilanciare la intera orchestra in un brano arrangiato; poi solleva le braccia, le lascia ricadere di colpo e tutto è finito. Allora si avanza verso il microfono e ringrazia gli spettatori alternativamente in francese e in inglese con una calma incredibile, sospirando dentro il microfono ed esitando come se non sapesse quale pezzo suonare. Poi, in un soffio, annunzia il titolo del pezzo seguente, dopo aver detto una frase come questa: "And now, by special request from the band and myself..." (Ed ora, a richiesta particolare mia e della mia orchestra...). Si volta e con un gesto rapido e molle fa ripartire l'orchestra. Quando prende un chorus resta immobile e suona delle lunghe frasi spesso ricercatissime ritmicamente e melodicamente, ma costruite con una logica ed eseguite con una sicurezza veramente ammirevoli. Di tanto in tanto si posa su una di quelle note bizzarre che sa introdurre con tanta genialità; tutto questo con una calma e una facilità che stupiscono. Dizzy interpreta la musica come la sente, e suona molto spesso con grande ispirazione. Io credo che, a meno di essere in malafede, sia impossibile, dopo averlo visto suonare e dirigere la sua orchestra, non essere convinti della sua profonda sincerità» [4].

Da questa corrispondenza di Hubert Fol emerge una delle caratteristiche che differenzia Gillespie dagli altri alfieri del Bebop: Dizzy era un vero showman, un personaggio che sapeva accattivarsi le simpatie del pubblico, bianchi o neri che fossero, era il musicista ideale per far conoscere la «nuova musica» anche alle platee più prevenute. Ricorda Arrigo Polillo (Pavullo nel Frignano MO, 12 lug 1919 - 1984): «Anche coloro che, fino da allora, avevano capito che il più dotato esponente di quel nuovo jazz a cui era stato dato il nome di Bebop era Charlie Parker, e non Dizzy, consideravano quest'ultimo il pubblico portabandiera, l'uomo che meglio li rappresentava all'esterno del loro gruppo, che simboleggiava il "bop cult", per usare un'espressione allora corrente. I giornalisti, poi, per cui il Bebop era soprattutto, o soltanto, un divertente e bizzarro fatto di costume, non conoscevano altri che lui. Parker, lunatico, aggressivo, non era altrettanto simpatico, e non faceva notizia. Furono proprio il carattere fondamentalmente allegro, l'esuberanza vitale, il senso dell'umorismo, l'intelligenza vivace e realistica, che permisero a Dizzy di superare meglio di ogni altro musicista del suo entourage le difficoltà che il Bebop, di cui era stato uno dei creatori, incontrò lungo il suo cammino, e di evitare poi la sorte tutt'altro che lieta, e in qualche caso tragica, di molti di loro» [5].

Nel corso dei sopracitati concerti parigini l'orchestra di Gillespie presentò il meglio del suo repertorio e molti brani vennero incisi proprio durante la permanenza in Francia e pubblicati dalla Vogue e, dopo ventitré anni, dalla Prestige. Tra i pezzi più significativi della big-band di Dizzy in quel periodo vanno segnalati: Toccata for Trumpet and orchestra, Two bass hit (entrambe composizioni di John Lewis), Stay on it, Good bait (ambedue di Tadd Dameron), 'Round about midnight, All the things you are, Groovin' high e due divertenti brani adatti per il vocalizzo scat: Oop-pop-a-da e Ool-ya-koo.

Al ritorno dalla tournée europea (importante anche perché diede il via a una serie di viaggi di musicisti di Bop in Europa che consentirono lo sviluppo di questa musica anche dall'altra parte dell'Atlantico), la compagine di Gillespie trovò ad attenderla, sulla banchina del porto di New York, più di cento fans, tutti muniti di berretto, occhiali e di un ciuffetto di peli sul labbro inferiore, in onore di Mister Bebop.

I due pianisti "storici" del Bebop vissero nel 1948 momenti non brillantissimi. Thelonious Monk proseguì ad incidere per la Blue Note, ma la sua musica continuava ad essere capita da pochi. In questo contesto Monk si trovò, ancora una volta, ad avere gravi difficoltà dal punto di vista lavorativo, tanto che proseguì a suonare saltuariamente in locali di quart'ordine. Bud Powell trascorse quasi tutto l'anno in ospedale, a Long Island. Ricoverato alla fine del 1947, fu sottoposto ad una cura di elettroshock che non gli giovò molto, procurando quei problemi alla memoria che mineranno definitivamente la sua salute e che non gli consentiranno, negli anni a venire, di suonare sempre ai livelli straordinari dei quali era capace.

Miles Davis, in concomitanza con la sempre più frammentaria attività del quintetto di Parker, nel 1948 inizia realmente la sua attività di leader che lo porterà, nel giro dello stesso anno, a dare una svolta a tutto il mondo del jazz. Miles organizzò un altro gruppo da portare al Royal Roost, un complesso composto da musicisti "moderni" che in breve si sarebbe allontanato dal puro Bop, ormai di casa nel locale di Broadway, andando alla ricerca di nuove sonorità. Scrive Davis: «C'erano con me Max Roach, John Lewis, Lee Konitz (Chicago, 1 ott 1927) [6], Gerry Mulligan (Gerald Joseph Mulligan: New York, 6 apr 1927 - Darien, CT, 20 gen 1996) [7], Al McKibbon (1919) al basso e Kenny "Pancho" Hagood come vocalist. C'erano anche Michael Zwerin al trombone, Junior Collins al corno francese e Bill Barber alla tuba. Avevo cominciato a lavorare con Gil Evans qualche tempo prima di questo fatto e lui mi aveva messo in piedi dei buoni arrangiamenti. Gil aveva smesso di arrangiare per il gruppo di Claude Thorhill nell'estate del 1948. Aveva sperato di poter scrivere e arrangiare per Bird. Ma Bird non aveva mai tempo di ascoltare quello che Gil faceva, perché, per Bird, Gil era semplicemente il tipo che riusciva a procurargli un buon posto dove mangiare, bere, cagare ed essere soprattutto vicino alla 52° Strada, almeno fintanto che Gil tenne l'appartamento che aveva proprio lì. Finalmente Bird sentì la musica di Gil, l'apprezzò molto. Ma a quel punto era Gil che non voleva più lavorare con Bird. Gil e io avevamo ormai cominciato a lavorare assieme e tutto ci stava andando davvero bene. Io stavo cercando un modo in cui poter fare i miei assolo in uno stile che mi si confacesse di più. La mia musica infatti era un po' più lenta e non intensa come quella di Bird. Ero molto eccitato dalle mie conversazioni con Gil su come sperimentare una voce più sottile dello strumento. Così Gerry Mulligan, Gil e il sottoscritto cominciammo a vedere come si poteva mettere insieme quel nuovo gruppo. Noi pensavamo che il numero giusto fosse nove. Gil e Gerry avevano già deciso quali dovessero essere gli strumenti della band prima che io entrassi veramente nell'idea di discutere operativamente la questione. Però la prima idea, il senso della musica, bene, quella era mia. Affittai un posto per provare, organizzai le sessioni e feci in modo che tutto funzionasse. Mettevo insieme queste stronzate con Gil e Gerry dall'estate del 1948 fino a quando non arrivammo a registrare in gennaio e nell'aprile del 1949 e poi ancora nel marzo del 1950. Riuscii a tirar su anche qualche lavoro per noi e stabilii contatti con la Capitol Records per le registrazioni. Ma lavorare con Gil mi spingeva a darmi da fare pesantemente con la composizione. Suonavo i miei pezzi a Gil al pianoforte nel suo appartamento. Mi ricordo di quando cominciammo a mettere insieme il gruppo e io volli Sonny Stitt (Edward Stitt: Boston, 2 feb 1924 - Washington, 22 lug 1982) al sax alto. Sonny aveva delle sonorità molto simili a quelle di Bird, così pensai immediatamente a lui. Ma Gerry Mulligan voleva Lee Konitz perché aveva un suono più leggero di quello che era il Bebop duro. Lui si sentiva sicuro che questo tipo di suono sarebbe stato quello che ci avrebbe reso diversi dagli altri e avrebbe reso diverso anche il nostro album. Gerry era sicuro che con me, Al McKibbon, Max Roach e John Lewis nello stesso gruppo, tutti quanti arrivati dal Bebop, c'era il rischio che ci trovassimo a fare la solita vecchia roba ripetendoci ancora, così fui d'accordo con lui e presi Lee Konitz.
Max si trovava bene con Gil, con Gerry e con me lì da Gil, doveva venire anche John Lewis, così tutti sapevano che cosa volevamo fare. Anche Al McKibbon. Volevamo prendere con noi pure J.J. Johnson, ma era a zonzo con la band di Illinois Jacquet, così pensai di prendere Ted Kelly che stava suonando il trombone con la band di Dizzy. Ma era troppo occupato e non poteva. Così ci arrangiammo con un tizio bianco, Michael Zwerin, che era più giovane di me. L'avevo incontrato al Minton's una notte: stava lì a suonare in jam con noi e gli chiesi se voleva fare una prova con noi il giorno dopo allo studio Nola. Lui venne, fece bene e lo prendemmo nella band.
Vedete, tutta questa idea iniziò come una specie di esperimento, un esperimento di collaborazione fra musicisti. Poi un mucchio di musicisti neri cominciò ad arrivarmi lì a dirmi di non avere lavoro, e mentre loro non avevano lavoro, io andavo ad assumere tizi bianchi per la mia band. E io cosa potevo dirgli? Che se qualcuno di loro suonava bene come Lee Konitz (perché era per lui che si incazzavano di più, visto che c'erano parecchi suonatori neri di sax alto che non avevano lavoro in quel periodo) l'avrei preso immediatamente e non me ne sarebbe fottuto un cazzo se fosse stato verde con il petto rosso. Io assumevo qualsiasi figlio di puttana per suonare e non per vedere di che colore fosse. Quando dissi loro questo, la maggior parte smise di rompermi i coglioni. Ma ce ne furono alcuni che rimasero molto incazzati con me.
Ad ogni modo Monte Kay ci assunse per due settimane al Royal Roost. Quando cominciammo lì al Roost, convinsi il club a mettere fuori un cartello che diceva:
"Nonetto di Miles Davis; arrangiamenti di Gerry Mulligan, Gil Evans e John Lewis". Dovetti litigare disperatamente con il proprietario del Roost, Ralph Watkins, per convincerlo. Non voleva fare una cosa del genere perché diceva che era troppo per lui pagare nove figli di puttana quando poteva pagarne cinque. Ma Monte Kay gli spiegò la faccenda. Non mi piaceva troppo Watkins, ma lo rispettavo per averci dato la chance che ci diede. Suonammo al Royal Roost per due settimane verso la fine di agosto e poi nel settembre del 1948, prendendo il secondo set dopo l'orchestra di Count Basie.
C'era un mucchio di gente che pensava che le cazzate che suonavamo fossero davvero strane. Mi ricordo Barry Ulanov della rivista Metronome: lui era un po' confuso dalla musica che suonavamo. Count Basie ci ascoltava tutte le notti quando ci alternavamo io e lui e gli piaceva quella musica. Lui mi disse che era
"lenta e strana, ma buona, davvero buona". C'erano anche parecchi altri musicisti che venivano a sentirci e che apprezzavano quello che facevamo e fra questi c'era anche Bird. Soprattutto ci fu Pete Rugolo della Capitol Records che apprezzò moltissimo quello che gli facemmo ascoltare e mi domandò se volevamo suonare per lui per la Capitol quando fosse terminata la protesta contro le registrazioni.
Verso la fine di settembre portai ancora un altro gruppo al Roost, con Lee Konitz, Al McKibbon, John Lewis, Kenny Hagood e Max Roach. Symphony Sid trasmise quella serata e la registrò, così ci fu finalmente una prova registrata di quello che suonavamo. Era un gruppo davvero forte. Ci andammo giù duro quell'unica volta in cui suonammo assieme, capite? Max soprattutto diede moltissimo.
Ma più o meno in quel periodo, Gil si spense musicalmente, non riusciva a scrivere più di otto battute la settimana. Finalmente si riprese, scrisse un pezzo che si chiamò Moon Dreams e qualcosa per Boplicity, un tema finito poi nel disco Birth of the Cool. L'album Birth of the Cool saltò fuori da alcune delle session che avevamo fatto per provare a suonare come la band di Claude Thornhill (Terre Haute, IN, 10 ago 1909 - New York, 1 lug 1965). Volevamo quelle sonorità, ma la differenza era che noi la volevamo più piccola possibile. Io dicevo che doveva essere il suono di un quartetto, con soprano, alto, baritono e basso. Noi avevamo invece tenore, mezzo alto e mezzo basso. Io ero la voce soprano e Lee Konitz era l'alto. Avevamo un'altra voce con un corno francese e poi il baritono che era un basso tuba. Avevamo un alto e un soprano, io e Lee Konitz. Ogni tanto usavamo anche il corno francese per i toni alti e il sax baritono e il basso tuba per il basso. Io consideravo il gruppo come se fosse un coro, un coro che era e doveva essere un quartetto. C'era un mucchio di gente che metteva il sax baritono come basso nella parte più bassa della partitura, ma non è uno strumento basso come lo è una tuba. Io volevo che gli strumenti suonassero come le voci umane e lo facevano.
Gerry Mulligan ogni tanto doveva raddoppiare con Lee o altre volte con me o Bill Barber, che era sempre nella parte più bassa della basso tuba. Qualche volta saliva di registro e qualche volta facevamo in modo che fosse lui a portare su il sound. E funzionava [...].
Birth of the Cool divenne presto un pezzo da collezionisti, credo che sia stata una sorta di reazione alla musica di Bird e Diz. Bird e Dizzy suonavano queste stronzate velocissime, e se voi non eravate tanto rapidi ad ascoltare non potevate sentire gli umori e i feeling della loro musica. Il loro sound non era dolce e non avevano delle linee armoniche da poter canticchiare facilmente per la strada a passeggio con la vostra ragazza mentre cercavate di baciarla. Il Bebop non aveva la stessa umanità di Duke Ellington. E non era nemmeno così riconoscibile. Bird e Diz erano grandi, fantastici, però non erano dolci. Ma Birth of the Cool era differente perché potevate sentire tutto quello che succedeva e canticchiarlo anche.
Le radici di
Birth of the Cool sono quelle della musica nera, da Duke Ellington. Stavamo cercando di avere il suono di Claude Thornhill, ma lui a sua volta aveva preso da Duke Ellington e Fletcher Henderson. Anche Gil Evans era un grande ammiratore di Duke e di Billy Strayhorn
[8] e Gil era l'arrangiatore di Birth of the Cool. Sia Duke sia Billy facevano quegli sdoppiamenti sopra gli accordi come facevamo noi in Birth. Sentivi sempre Duke farlo e lui costringeva i suoi ragazzi a realizzare quel suono che era inevitabile riconoscere. Se suonavano da soli nella band di Duke, potevi immediatamente riconoscerli e dire chi fossero dal suono che producevano. E se erano in sezione potevi ancora capire chi fossero dal timbro della voce. Mettevano la loro personalità negli accordi che realizzavano.
E questo è quello che noi facemmo in
Birth. E penso sia per questo che ebbe successo. Anche la gente bianca poteva apprezzare la musica che riusciva a capire, quella musica che potevano ascoltare senza diventare scemi. Il Bebop non arrivava da qualcosa a loro familiare e così era molto difficile per la maggior parte di loro ascoltare quel che si faceva suonando. Era una musica completamente nera. Ma Birth non era soltanto orecchiabile, c'erano anche dei bianchi che suonavano e avevano anzi dei ruoli importanti. E questo ai critici bianchi piaceva molto. Piaceva l'idea che sembrasse importante che avessero un ruolo preminente in quello che si stava facendo. E' un po' come se qualcuno ti stringeva la mano con più convinzione. Colpivamo l'orecchio di chi ci ascoltava in un modo un po' più leggero di Diz e Bird, tenevamo la musica un po' più sui binari principali e questo era tutto»
[9].

Con il suo linguaggio colorito, Miles ci racconta la nascita del suo nonetto e, di conseguenza, del Cool-jazz, «ovvero jazz freddo, anzi fresco, calmo, distaccato, imperturbabile. (Cool è un aggettivo dai molti significati nel gergo del jazz: può voler dire anche "ottimo", e persino "tutto bene". Non per niente era stato era stato introdotto fra i jazzman da Lester Young, a cui il gergo degli hipster deve alcune colorite espressioni»
[10]. Per rintracciare le prime manifestazioni di questa nuova corrente jazzistica bisogna risalire al 1946 e prestare attenzione all'opera di tre differenti gruppi di musicisti facenti capo, rispettivamente, a Lennie Tristano, all'arrangiatore Gene Roland (Dallas, TX, 15 set 1921 - New York, 11 ago 1982) ed al pianista e compositore Dave Brubeck (allievo di Darius Milhaud attivo a San Francisco), ma Miles, insieme ai suoi collaboratori, fu colui che nel 1948 diede una reale scossa al mondo del jazz con il suo nonetto.

L'avvento del Cool-jazz è la dimostrazione che in quel momento certi esperimenti erano necessari per andare alla ricerca di nuove strade. Il linguaggio del Bebop, come già detto nel capitolo precedente, era ormai codificato e per i musicisti non restava che sfruttare questo patrimonio nel miglior modo possibile , ma l'esigenza di trovare sonorità e fraseggi diversi, l'intervento in quegli anni più determinante dei bianchi per le sorti del jazz moderno, portarono agli esperimenti che ci ha descritto Miles.

I musicisti "storici" del Bebop continueranno ad offrirci anche negli anni successivi esecuzioni straordinarie nel loro stile, ma qualcosa nel contesto che li circondava era cambiato. Ricorda Arrigo Polillo: «La musica dei boppers era difficile e, passato il primo momento di curiosità, la gente smise di seguirla. Neppure i bianchi che si dedicarono al nuovo jazz riuscirono a farsi accettare dal grosso pubblico: non ci riuscirono Boyd Raeburn e George Auld, le cui grosse orchestre furono le prime bianche a fare del Bebop, e non ci riuscì nemmeno il tenorsassofonista Charlie Ventura (Charles Venturo: Philadelphia, PA, 2 dic 1916  - Pleasantville, NJ, 17 gen 1992), che pure tentò di fare un "Bop for the people" (questo era lo slogan), sperimentando un'ingegnosa formula in cui le parti strumentali si fondevano piacevolmente con le parti vocali affidate a Roy Kral e a Jackie Cain. A conti fatti, quello che ottenne il miglior successo e anche i risultati più brillanti, fra i bianchi, fu Woody Herman, con quella grande orchestra che sarebbe passata alla storia del jazz come il "secondo gregge" (il "primo" fu la formazione del 1945-46). Anche Herman comunque dovette sciogliere la sua formazione, nel 1949: i tempi erano davvero grami.
Intorno al
1950 il piccolo mondo dei boppers negri era quasi alla disperazione. Si salvava Dizzy Gillespie, un uomo equilibrato che ha trovato il modo di comunicare col pubblico e di divertirlo pur facendo quasi sempre della musica eccellente, si salvò, ancora per breve tempo, Parker, che cominciò a esibirsi con un'orchestra d'archi, e si salvarono pochi altri, ma i più conducevano una vita misera. Non solo a causa dell'indigenza e della frustrazione che derivava dall'incomprensione del pubblico per la loro musica, ma anche per colpa delle droghe - quelle "dure", che sconvolgono la mente e uccidono -, che fra loro erano molto diffuse. Per causa delle droghe i migliori talenti del nuovo jazz bruciarono la loro esistenza nel giro di pochi anni: Parker, che morirà meno che trentacinquenne nel 1955; Bud Powell che fu internato per la prima volta in manicomio nel 1947 a ventitré anni, iniziando così un calvario che si sarebbe concluso soltanto con la sua morte; Fats Navarro, ucciso dall'eroina a ventisette anni; Tadd Dameron e Gene Ammons, che trascorsero lunghi anni in carcere dopo essere stati condannati più volte per uso di stupefacenti, e l'elenco potrebbe continuare a lungo.
Molti anni di carcere dovettero scontare, a causa della droga, anche un paio di notevoli solisti bianchi affermatisi nella stagione d'oro del Bebop: l'altosassofonista Art Pepper (che sarebbe stato restituito alla musica in forma sorprendentemente brillante alla fine degli anni Settanta, ma che sarebbe morto dopo breve tempo, nel 1982) e il trombettista Red Rodney, già compagno di lavoro di Charlie Parker (anch'egli risorto anni dopo).
Nessuno di loro fu un delinquente, anche se molti furono degli uomini deboli. Il maggior torto di molti fra loro fu quello di avvertire con l'acuta sensibilità degli artisti la loro tragica condizione di figli del ghetto nel particolare momento della storia degli americani di pelle scura in cui il mondo intorno a loro cambiò. Dal 1940, da quando cioè molti di loro si erano incontrati per la prima volta al Minton's, al 1950, quando la loro musica fu spazzata via dalle crudeli leggi del mercato, la popolazione negra di New York era aumentata del 63%. Ora, nella più grande città degli Stati Uniti, i negri erano circa 750.000. La maggior parte di loro viveva a Harlem, che non era più la "Parigi nera" che la Café Society di Manhattan aveva scelto come meta per le proprie notti brave, ai tempi del Cotton Club, non la Mecca del Nuovo Negro vagheggiata da Alain Locke, ma una bolgia infernale. Un paradiso, tuttavia, per i trafficanti, per i ruffiani e per gli spacciatori di droga all'ingrosso»
[11].


[1] Da Charlie Parker di ROSS RUSSELL, op. cit.
[2] Da Charlie Parker di ROSS RUSSELL, op. cit.
[3] Da Miles. L'autobiografia di un mito del jazz di MILES DAVIS e QUINCY TROUPE, op. cit.
[4] HUBERT FOL, Dizzy Gillespie a Parigi, in Musica Jazz, aprile 1948.
[5] Da Jazz di ARRIGO POLILLO, op. cit.
[6] Al sax alto.
[7] Al sax baritono.
[8] L'arrangiatore di Duke Ellington.
[9] Da Miles. L'autobiografia di un mito del jazz di MILES DAVIS e QUINCY TROUPE, op. cit.
[10] Da Jazz di ARRIGO POLILLO, op. cit.
[11] Da Jazz di ARRIGO POLILLO, op. cit.

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Data pubblicazione: 11/08/2002





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