"Jazz". Che nome! Nessuno sa chi l'ha coniato. Sono state fatte molte congetture
al riguardo, che però non hanno mai portato ad alcun risultato certo. Molti, ma
purtroppo non tutti, sanno a quale tipo di musica ci si riferisce quando si parla
di jazz. Il termine rimane comunque indicativo per il genere che rappresenta, anche
se talvolta vengono spacciati per concerti jazz, esibizioni che con il jazz non
hanno niente a che vedere!
E quindi, jazz, questo oggetto misterioso, che
cosa è? Improvvisazione? Adozione di scale inconsuete? Valorizzazione ritmica dei
tempi deboli? Esecuzione effettuata da particolari formazioni strumentali? Armonizzazioni
originali? Etc.etc. Nessuna di queste ipotesi a mio avviso è quella che possa individuare
questo genere musicale. Fatto sta che ciascuno degli elementi summenzionati può
esserne parte integrante, ma senz'altro non caratterizzante di questo stile. Infatti,
si può improvvisare senza fare del jazz. Dicesi che circa 400 anni fa il sig.
Bach improvvisava, sì, ma probabilmente non faceva jazz!
E' sufficiente suonare una scala blues o una superlocria per fare del
jazz? Non credo, perchè, se così fosse, allora forse Camille Saint-Saens
con le sue innovative scale octofoniche sarebbe stato uno dei primi jazzisti!
La valorizzazione dei tempi deboli della misura potrebbe essere una caratteristica
fondamentale. Sì certamente, ma non è sufficiente, anche se può essere ritenuta
uno dei fattori più importanti.
L'adozione di armonizzazioni originali, magari effettuate attraverso la sostituzione
di accordi, è determinante per catalogare se l'esecuzione di un pezzo può essere
definita jazz o no? I grandi della musica colta hanno creato delle bellissime
progressioni armoniche da cui anche la musica jazz ha attinto e si può dire altrettanto!
Ma essi non hanno fatto jazz.
Con il sax o la tromba si può fare del jazz, invece con il violino no
o viceversa? Certamente gli strumenti a fiato sono i più portati verso questo genere
musicale. Infatti le prime jazz-bands erano marching bands che contenevano per lo
più solo strumenti a fiato. Ciò non significa che con il violino non si possa fare
jazz.
I glissati, le timbriche, il growl, le inflessioni del suono possono essere
catalogati per definire se una esecuzione è jazz oppure no? Credo proprio che nessuna
di queste ipotesi possa da sola avere i requisiti per una eventuale classificazione
di questa musica meravigliosa, che si chiama jazz.
"O sole mio" può essere considerato un brano
jazz? Può darsi anche di sì! E "Joy spring"
può essere considerato un brano jazz? Può darsi anche di no!
Molti si scandalizzeranno per queste affermazioni! Ma tutto dipende da
come e non da cosa si suona!!! La forma, il modo con cui si suona, non il contenuto,
è determinante per classificare se un pezzo può essere considerato jazz oppure no.
Ma allora che cosa è il jazz? Speak jazz.
Parla jazz......!
Chiedo: "dire è diverso da parlare?" Penso proprio di sì, altrimenti
si adopererebbe lo stesso verbo! Il "dire" riguarda il concetto, la riflessione,
la mente. Il "parlare" riguarda il sentimento, l'immediatezza, il cuore. La stessa
cosa può essere espressa in molti modi diversi. La stessa parola può produrre sensazioni
diverse, dipendendo ciò dal modo ossia dallo spirito con cui si esteriorizza qui
e ora ciò che abbiamo dentro. La stessa nota può produrre sensazioni molto diverse
nell'ascoltatore: dipende tutto da come l'esecutore si esprime. Egli può aver da
dire molto, ma la sua tecnica strumentale può non permetterglielo. Può darsi invece
che egli abbia da dire poco ed al contrario la sua tecnica evoluta possa impedirglielo.
Quindi la soluzione a questo problema sta nell'equilibrio fra quello che abbiamo
da trasmettere ed i mezzi con cui lo trasmettiamo. La musica esprime sensazioni,
impressioni, stati di animo e non pensieri, idee o concetti. La musica cosiddetta
a programma può darsi che dica, ma certamente non parla. Lo strumento è e deve rimanere
uno strumento, non un fine. E' uno strumento, un mezzo, come dice il termine, che
serve e deve servire solo a trasmettere quello che sentiamo in quel momento. La
tecnica strumentale deve essere proporzionata a ciò che il musicista ha da comunicare
e quindi le dita non devono andare più veloci o più lente rispetto a ciò che egli
vuole esprimere. In questo senso la musica è maestra di vita specialmente al giorno
d'oggi (in cui tutti vogliono arrivare primi), proprio per il motivo che insegna
ad andare a tempo insieme agli altri e non prima o dopo gli altri. E quindi si torna
per forza alla vecchia dicotomia di forma e contenuto. Ma suonare jazz per me significa
attribuire una maggiore importanza alla forma piuttosto che al contenuto. E' la
forma, il "come", ossia il modo di parlare musicalmente, che caratterizza questo
stile, indipendentemente dal contenuto, che, anche se povero, potrà pur sempre essere
classificato jazz. La musica è la lingua ufficiale. Jazz è un dialetto musicale.
Se il contenuto sarà molto evoluto, ma non espresso in forma corretta, potrà essere
considerato una ottima esecuzione da non poter però essere classificata jazz. Se
poi questi due aspetti saranno espressi con equilibrio, si potrà ottenere il massimo
risultato. Ecco quindi il corretto rapporto tra forma e contenuto!
E allora parliamo jazz. Il periodo d'oro nella storia del jazz è stato
il be-bop. Inutile dirlo: Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Miles
Davis, Bud
Powell, Curley Russell, Max Roach etc. etc., per citarne
solo alcuni, seguiti successivamente dai vari Clifford Brown, "Cannonball"
Adderley,
Sonny Rollins,
Ray Brown,
Dexter Gordon etc.etc. che hanno continuato a parlare questo dialetto, che
purtroppo ormai al giorno d'oggi si sta perdendo.
Ma perchè il be-bop viene universalmente riconosciuto come il periodo
d'oro del jazz? Per il semplice motivo che in questo stile le frasi venivano dizionate,
ossia pronunciate in modo tale da evidenziare certe note e sottintenderne certe
altre, creando così quel particolare dialetto musicale, che a buona ragione è ritenuto
il più rappresentativo del jazz. Si parla di Parker e di Gillespie,
che andavano per strada cantando in "scat" i motivi che avevano in testa per riprodurre
poi questo modo di esprimersi sullo strumento. Ed allora tentiamo di fare una analisi
di come si possa cantare correttamente "scat".
Tutti sappiamo benissimo che le vocali sono cinque: "a" "e" "i" "o" "u"
e che si alternano alle consonanti nella formazione dei termini linguistici. Il
canto "scat" non necessita di termini linguistici consolidati perchè non ha da esprimere
significati, bensì solo sensazioni, quindi, sensitivamente adopera solo alcune delle
cinque vocali e solo alcune delle consonanti. Parte dalla "a", salta la "e", usa
la "i", salta la "o" ed usa la "u". Per quanto riguarda le consonanti lo "scat"
adopera quelle che terminano nella pronuncia per "i", ossia (b, c, d, g, p, t).
Però, in conformità con lo spirito dell'anima nera, normalmente vengono adoperate
le consonanti più dolci e delicate tipo la "b" e la "d". La "p", un poco più raramente
usata, viene adoperata per lo più nel caso di note accentuate, oppure all'inizio
della frase. E così, come nelle vocali, anche nelle consonanti vale il principio
taoista "once yes once no" = "una volta sì, una volta no". Una vocale sì
e una no, una consonante sì e una no. Delle vocali ne abbiamo parlato. Riguardo
alle consonanti vale lo stesso principio. Quindi si parte dalla "b", si salta la
"c", si usa la "d", si salta la "g", per terminare con la "p". Evidentemente quindi
il risultato è la sola adozione delle consonanti "b" "d" "p".
Ricapitolando, le lettere dell'alfabeto, comprese le consonanti e le vocali
normalmente usate, sono la "b", la "d", la "p", la "a", la "i", la "u". Ciò non
esclude che qualcuno adoperi o in passato abbia adoperato altre vocali o consonanti,
ma, anche se ciò può essere vero, normalmente l'adozione delle lettere più comunemente
usata è quella sopracitata.
E allora andiamo ad analizzare secondo quali regole vengono mischiate
queste vocali e queste consonanti al fine di pronunciare le frasi musicali in linguaggio
jazzistico. Solo così, credo, che si possa parlare di linguaggio, dipendendo ciò
dal modo con cui si pronunciano le frasi e non dal loro contenuto strettamente musicale.
Dunque la cosa non è così facile ad essere chiarita, e forse non si chiarirà mai,
nel senso che ognuno poi alla fine possiede il suo modo personale di pronunciare
le frasi e non intende parlare il dialetto musicale che gli possa essere proposto
da qualcun altro a meno che non l'abbia acquisito attraverso ore ed ore di ascolto.
Infatti io sto solo tentando di riferire la mia esperienza, che può benissimo non
essere condivisa, ma che però può essere utile a chi è interessato verso queste
problematiche.
La vocale più comunemente usata è la "a". Le frasi, normalmente, ma non
sempre (come cercherò di spiegare successivamente) iniziano, partendo dal grave,
da "da", cui viene alternato "bu". A volte al posto del "da" viene
adoperato, ma solo all'inizio "sha" o "pa". "Pa", come precedentemente
espresso, viene usato anche successivamente, quando si tratta di accentuare certe
note.
Ma la cosa più interessante nella pronuncia jazzistica è l'adozione del "bu".
E che cosa è il "bu"??? Il "bu" è rappresentato dalle "mezze note", le cosiddette
"half-tones", ossia da quelle note, eseguite a metà volume rispetto alle
altre, che si sentono e non si sentono nello stesso tempo, ma si intuiscono. Queste
"mezze note", alternate a quelle espresse normalmente, generano una specie di poliritmia
che è proprio quella che caratterizza la musica jazz. Le tecniche per produrre le
"mezze note" si differenziano da strumento a strumento. Personalmente, da saxofonista,
posso riferire il modo con cui produco queste "half tones". Il sistema è quello
di attaccare la prima nota con "da", ossia con un colpo di lingua non secco. La
seconda nota, per essere sottintesa, deve essere prodotta appoggiando la lingua
solo sotto la metà dell'ancia. In questo modo il suono della seconda nota risulta
essere più afono rispetto a quello della prima. "Da""bu". Chiaramente al "bu" deve
seguire un altro "da" per la legge che regola il mondo, ossia quella dell'alternanza.
Si prospetta così una forma di risparmio, nel senso che il primo "da" è eseguito
con il colpo di lingua. Il "bu" viene eseguito appoggiando la lingua a metà ancia,
mentre il secondo "da" viene prodotto staccando la lingua dall'ancia. In questo
modo vengono eseguite tre note con due soli colpi di lingua.
Ora evidentemente non si possono pronunciare tutte le frasi solo con il
"da" e il "bu" ad esclusivo vantaggio della monotonia. Ecco quindi l'introduzione
della "i". Infatti la "i" viene normalmente usata al culmine della frase o del frammento
di frase. Prendiamo ad esempio (partendo dal grave verso l'acuto) una frase costruita
sugli accordi di Re-7 e Sol7, ossia Re Fa La Do La La# Si.
Secondo quanto espresso in precedenza la pronuncia in proposito sarà: "Da bu da
bi a bu di". Infatti si parte con "da"(Re), cui segue la mezza nota "bu"(Fa) e quindi
ancora "da"(La), per poi usare "bi" sulla nota Do che risulta essere culmine del
frammento di frase, per poi scendere ad "a" sul La e quindi salire a "bu" sul La#
per terminare poi in "di" sulla nota Si, dove si trova l'accordo di Sol7. La "a"
sostituisce il "da" perchè è legata a "bi", ossia in frasi discendenti la nota più
acuta viene espressa con "bi", cui segue solamente "a", se la nota è legata, e "da",
se la nota non è legata.
Evidentemente la spiegazione teorica di un fatto istintivo risulta essere
molto contorta e distante dallo spirito del fatto. Per chi legge sarebbe molto più
facile ascoltare senza troppo analizzare, ma purtroppo l'ascolto normalmente è rivolto
di più verso i contenuti musicali che non verso i modi di espressione. Quindi, a
parte queste mie precedenti considerazioni, il mio invito a chi legge è di rivolgersi
verso l'ascolto, affinchè tramite di esso venga colto lo spirito di chi suona mentre
l'esecutore sta parlando jazz.
Spero che questo articolo sia accessibile ai più nella comprensione di
ciò che ho tentato di esprimere e non sia snobbato perchè espresso con parole povere.
D'altro canto non vedo come queste problematiche potrebbero essere espresse con
un linguaggio più aulico. Personalmente ho cercato nel mio piccolo di trasmettere
la mia esperienza. Se non ci sono riuscito, invito chi non ha captato il messaggio
ad aprire di più le sue orecchie verso l'aspetto formale della musica jazz. Solo
in questo modo si potrà dialogare con l'anima più profonda di questo dialetto musicale
ed apprendere questo linguaggio istintivamente dal vivo così come fanno i bambini
in famiglia prima di andare a scuola!
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COMMENTI | Inserito il 27/5/2018 alle 10:17:54 da "cristianoanichini" Commento: Gran bell'articolo, maestro! Sempre interessante leggere ciò che scrivi! | |
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Data pubblicazione: 13/04/2009
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