In principio era l'ascolto. Cominciamo bene, con un inizio pomposo. Sto
parlando di ascolto, quindi di suoni, o anche di rumori, ma comunque in ogni caso
di cose che non si vedono. A volte per tentare di descrivere cose musicali utilizziamo
termini che appartengono al mondo del visibile come "colori" "sfumature", "impasto",
ecc.. E' una bizzarria dovuta alla precarietà del linguaggio.
Ripeto, già dall'inizio, ma poi per sempre, la cosa fondamentale è l'ascolto.
Ascoltando si forma la nostra cultura. Almeno inizialmente. Poi, per approfondire,
sarà anche necessario vedere. Ciò che orienta il nostro ascolto, le nostre scelte,
non lo possiamo sapere. Non è identificabile. Appartiene all'universo che ci è ignoto
ma di cui avvertiamo la presenza.
Per non divagare troppo prendo un sentiero preciso: quello dell'improvvisazione
jazzistica.
Do quindi per scontato che qualche forza oscura ha già orientato la nostra
attenzione verso questo settore.
Rendo meglio l'idea di ciò che voglio dire utilizzando degli pseudo aforismi
e addirittura un componimento poetico.
Mi sembra essenziale innanzitutto, per ciò che ho detto prima, avere la nostra
dispensa della cultura ben fornita di ascolti ai quali inizialmente ci dovremo riferire.
Fare un discorso improvvisato sull'improvvisazione, cioè non ragionato prima,
serve solo a stancarci e non ci fa arrivare a niente.
Soltanto una cosa dovremmo cercare di ricordare sempre:
La ricerca dell'equilibrio è il nostro obiettivo principale.
Si gioca tutto su questo terreno.
A parte il giochino che vuole ricordare l'inno
di San Giovanni musicato da Guido d'Arezzo con il quale si diede nome alle note
(dove UT stava per DO e non c'era inizialmente il SI che nel medioevo non veniva
usato, forse perché troppo"sensibile"), anche noi nella pratica dell'improvvisazione
jazzistica cerchiamo di dare nome a qualche cosa che tentiamo di creare. Ma questa
mania di catalogare e di trovare una collocazione riconoscibile per ogni cosa teniamocela
per dopo.
Ripeto, in principio era l'ascolto. Ed ora aggiungo, anche l'ascolto di ciò
che produciamo. Quante volte ci capita di ascoltare un assolo jazz che ci affascina.
Il problema è che se vogliamo passare dal mondo degli affascinati a quello degli
"emanatori di fascino" dobbiamo cambiare atteggiamento, diventare più "tecnici",
e quindi più cinici.
Suggerisco durante l'ascolto di canticchiare insieme al solista, qualunque
strumento egli suoni. Non dico di imparare perfettamente l'assolo e saperlo riprodurre,
che è roba per "specialisti", ma tenere in memoria le frequenze che in qualche modo
ci attraggono e ascoltare come queste si integrano nel complesso, come queste riescono
ad evocare atmosfere.
A questo punto, restringendo il campo, per chi decide di intraprendere lo
studio dell'improvvisazione comincia il duro cammino. "L'arte è un guizzo inaspettato".
Noi possiamo solo lasciarci sorprendere da una scintilla che si accende nella nostra
testa, ci è concesso solo un gradevole stupore, ma poi, se vogliamo dar corpo a
quel lampo, farlo diventare un fuoco, inizia la fase dell'artigianato, la fase del
duro lavoro che comprende anche la realizzazione di opportune contromisure per tenere
sotto controllo quel fuoco.
Se, a titolo di esempio, siete pratici di uno strumento a fiato, nel senso
che soffiandoci dentro riuscite a produrre suoni identificabili (ricordate l'inno
di San Giovanni?), risuonate quelle frequenze canticchiate prima e attribuitegli
una identità.
L'altra coordinata che ora vi occorre per definire il tutto è il ritmo, cioè
come collocate le vostre note/frequenze nel tempo. E qui dovete andare nella vostra
cascina e scegliere tra il fieno immagazzinato quello in grado di nutrirvi meglio.
In tutti gli stili ci sono delle figurazioni ritmiche ricorrenti. Un ascolto mirato
ci consentirà di riconoscerle e di rapportarle con la pulsazione.
Secondo me tutti possono arrivare ad avere una coscienza della pulsazione
abbastanza sicura. Sono le propensioni personali che a questo punto determinano
quanto tempo occorre affinché tale assimilazione avvenga. Diciamo che, essendo ottimisti,
possiamo pensare ad una forbice che va da un minuto a venti anni. Una volta interiorizzata
la pulsazione, possiamo permetterci il lusso di giocare con il tempo, girarci intorno,
stare davanti o dietro senza mai tradirlo o "perderlo d'ascolto".
Questa assimilazione profonda ci mette in relazione con la pulsazione ritmica
(il "beat") come se fosse un secondo cuore che ci permette di dare vita ad un doppione
di noi stessi. Questo clone ci affianca osservandoci mentre "l'originale", tenendo
conto della sua presenza, cerca di sviluppare costruzioni melodiche in tempo reale.
Essere padroni del tempo significa anche rendersi conto di non essere in
grado razionalmente di riportare su carta perfettamente ciò che ascoltiamo. Ad esempio
non siamo capaci di scrivere tutte le sfumature (ecco un termine preso in prestito)
di uno swing. Anche se ciò fosse possibile il miglior lettore di musica di questo
mondo non riuscirebbe a ricreare con la sua esecuzione la spontaneità ed il relax
percepito dall'ascolto. Limitiamoci a fidarci dell'orecchio, a imitare ed usare
indicazioni generiche all'inizio del foglio.
Dovete poi concentrare la vostra attenzione sul fraseggio, sul modo di "parlare"
dei musicisti di riferimento. In pratica dovete familiarizzare con le loro " inflessioni
dialettali", e capire come "stanno sul tempo".
Questa è una situazione "border line". Il confine tra razionalità e istinto
qui non si vede, e nemmeno si sente. Come avviene l'assimilazione della capacità
di stare sul tempo non è facile da spiegare. Anche questo aspetto appartiene all'universo
che ci è ignoto ma di cui avvertiamo la presenza.
Ci sono stati talenti eccezionali nel jazz che sono stati capaci di fornire
prodotti altamente raffinati pur fermandosi solo alla fase "dell'orecchio", cioè
dell'ascolto, senza la necessità di acquisire quelle conoscenze teoriche che consentono
di articolare meglio il discorso. Il talento, quello che prima ho chiamato "propensioni
personali", sta nel saper cogliere immediatamente l'essenza delle cose, andare dritto
al cuore del problema senza inutili giochi di parole o di note, in questo caso.
Il talento aiuta ad avvicinarsi speditamente ad una idea di rassicurante equilibrio,
che, come dicevo prima, è l'obiettivo di tutta una vita. "Talento" è un termine
che usiamo quando non sappiamo definire bene una dotazione umana perché anche questa
appartiene all'universo che ci è ignoto ma di cui avvertiamo la presenza.
In principio era l'ascolto. Ora diamo una identità a questo ascolto e diamogli
anche una collocazione sociale. Sfruttiamolo e ingabbiamolo in una struttura teorica.
E' una delle direzioni in cui ci spinge la ragione. Ecco quindi che per noi normali
occorre conoscere l'armonia. Non rinneghiamo il nostro materiale grezzo, la nostra
melodia primitiva, soprattutto se ci ha favorevolmente colpito. Le costruzioni razionali
e l'analisi ci mettono a disposizione ulteriori punti di riferimento. A questo punto
trascriviamo il materiale tematico sulla griglia degli accordi del brano prescelto
e cominciamo ad analizzare: "qui la nota in melodia è la terza dell'accordo, qui
è la nona, qui non c'entra niente, ecc.". Cominciamo a fare ora un lavoro di associazione
tra la nostra memoria uditiva e l'identità dei suoni che abbiamo attribuita. Avremo
ulteriori elementi per capire meglio in seguito come mettere i percorsi musicali
al servizio della nostra sensibilità.
Nei riguardi dell'improvvisazione conoscere l'armonia significa quindi avere
a disposizione maggiori strumenti per poter articolare con più varietà il discorso
musicale. Se ad esempio ci poniamo nell'ambito della musica tonale, quella che fa
riferimento ad un centro gravitazionale intorno al quale gira tutto, dobbiamo sapere
che ci sono scale (o tonalità) maggiori e minori, che ogni tonalità genera anche
degli accordi e che questi si relazionano tra loro.
La mancata simmetria delle scale maggiori e minori, cioè il fatto che tra
le note non ci sia sempre la medesima distanza, o differenza di frequenza, genera
delle micro esigenze, fa avvertire la necessità di placare in qualche modo qualcosa,
di passare da situazioni "stressanti" a situazioni più "tranquillizzanti", per usare
termini di uso comune.
I vari modi in cui gli accordi si relazionano tra loro vengono chiamati "cadenze",
cioè percorsi, che poi si possono sviluppare creando delle "progressioni". Tutti
questi percorsi vengono poi inseriti in strutture che, nel caso ad esempio della
canzone americana della prima metà del Novecento, diventano abbastanza definite
fino a determinare uno stile.
Vediamo come procedere con la "costruzione" di un nostro assolo. Abbiamo
identificato e trascritto su carta il nostro frammento melodico. Ora sviluppiamolo
confezionandolo su misura per farlo entrare nella struttura (ad esempio nelle prime
otto battute). E' un esercizio di presa di coscienza, serve solo per capire. E'
chiaro che l'assolo resta e sarà sempre una composizione istantanea. Le trascrizioni
di soli di grandi jazzisti sono ottimi strumenti per analizzare e misurare il loro
grande talento che gli permetteva di creare istantaneamente musiche "affascinanti",
come già detto. Ma questo ora lasciamolo agli "specialisti" di cui sopra.
Torniamo alla vostra trascrizione. Quello che avete appena prodotto rappresenta
la traccia, la materia grezza, la spina dorsale del vostro assolo. Le successive
fasi di lavorazione vi porteranno pian piano al prodotto "infinito", cioè ad una
versione pulita e levigata legata ad un momento e quindi parziale, dato che nell'improvvisazione
non esiste il prodotto finito.
Se per assurdo vi capitasse di ascoltare lo stesso solista improvvisare sullo
stesso brano per dieci volte di seguito, con lo stesso arrangiamento, probabilmente
sentireste dieci versioni diverse. Stilisticamente simili ma con la ricerca e la
proposta di soluzioni diverse.
Una cosa fondamentale per chi improvvisa è "saper ascoltare la struttura"
(ritorniamo all'inizio) che, in altre parole, significa sapere sempre dove si è,
non perdere l'orientamento. Ci sono innumerevoli compilations di basi musicali su
CD con spartiti annessi per poter sperimentare.
Ho parlato di cadenze, percorsi, progressioni. Potrei aggiungere "modulazioni"
ed altri termini. Tutti questi "arnesi da lavoro" ci servono per arrivare ad avere
la capacità di rappresentare le innumerevoli situazioni di tensione e di riposo
che si alternano e si compenetrano durante il discorso musicale. E' questo il nocciolo
della questione. Lo dicevo all'inizio con il giochino dell'inno di S. Giovanni.
Siamo qui per rappresentare l'eterno contrapporsi dei concetti del bene e
del male e per farla meno drammatica, parlando di musica, ci occupiamo del confrontarsi
dei concetti di consonanza e dissonanza.
Sono stati scritti fiumi di parole e di note al riguardo. La consonanza e
la dissonanza non sono due rocce indistruttibili. Semmai il contrario. Sono situazioni
che non presentano alcuna rigidità e subiscono incessantemente le "ingiurie del
tempo", come direbbe un famoso cantautore. Quello che per noi oggi suona come consonante,
cioè ci dà sollievo, magari nel Settecento era dissonante, metteva in agitazione,
ad esempio.
Se prendiamo due suoni non troppo distanti tra loro e li facciamo risuonare
simultaneamente eseguiamo un "intervallo armonico". A seconda di come il nostro
cervello assorbe il segnale arrivato dall'orecchio abbiamo realizzato uno dei tanti
gradi di consonanza o dissonanza, di riposo o tensione. Imparare a gestire con padronanza
il movimento e la stasi è come imparare il lavoro di pasticciere: capiti i dosaggi,
le temperature di cottura e di conservazione e sapendo come lavorare si possono
raggiungere risultati sorprendenti.
La tensione ed il riposo, il loro alternarsi ed il loro interagire sempre
diverso rappresentano pertanto il nostro campo di azione. Le "cadenze" e le "modulazioni",
come dicevo, sono alcuni degli strumenti di cui ci siamo dotati per organizzare
il materiale. Si può anche scegliere di "ingannare" l'orecchio facendogli credere
di andare in una determinata direzione e poi magari prenderne improvvisamente un'altra,
per creare una novità inaspettata.
Questo si può verificare anche in altre attività culturali come quella dello
scrivere. C'è ad esempio una stupendo componimento poetico di Aldo Buzzi intitolato
"La pace" contenuta nel suo libro "Parliamo d'altro" edito da Ponte alle Grazie
che riassume stupendamente questo nostro dimenarsi e ve lo propongo:
Vedi: questa è la goccia
che fa traboccare il cammello,
la paglia
che fa stramazzare il vaso.
La goccia che fa stramazzare il vaso,
la paglia che fa traboccare il cammello,
il vaso che fa stramazzare la goccia,
la goccia che fa traboccare la paglia,
la paglia,
che traboccando sulla goccia,
non riesce a far stramazzare
il maledetto cammello.
Ma ecco, ora, finalmente,
la pace.
Cade la goccia benedetta,
e fa traboccare il vaso.
E tu, paglia benedetta,
ti posi sullo stracarico, stramaledetto cammello
e lo fai stramazzare.
La tensione ed il riposo, lo squilibrio e l'equilibrio, il movimento e la
stasi. I termini possono essere tanti, ma tutti cercano di descrivere le stesse
situazioni. La loro rappresentazione in musica non è comunque compito esclusivo
dell'armonia. Tutti i parametri musicali sui quali possiamo agire concorrono e ci
possono essere utili.
L'uso ad esempio di note più o meno acute può evocare situazione più o meno
di tensione. Così come suonare ad un volume più o meno alto. Su questo punto mi
fermerei un attimo. Il saper padroneggiare le dinamiche, cioè i cambiamenti di volume,
è indice di grande capacità tecnica, oltre che di notevole sensibilità artistica.
Anche il timbro dei vari strumenti, il loro "colore sonoro" (ci risiamo con
i termini presi in prestito) può essere molto importante. Se una chitarra elettrica
con distorsore ed un fagotto amplificato con un buon microfono emettessero la stessa
nota lunga a volume normale, il nostro orecchio probabilmente tenderebbe a mettere
la chitarra dalla parte della tensione ed il fagotto dalla parte del riposo.
Ho parlato di altezza, intensità e timbro, gli elementi base del suono. E'
importante ora mettere a fuoco la capacità di gestire il suono, cioè il modo di
articolare la proposta musicale. In altre parole come costruire il proprio fraseggio.
Usare frasi musicali veloci, cioè composte da molte note di breve durata nell'unità
di tempo concorre a descrivere una situazione di tensione. Così come minime variazioni
di frequenza tra note contigue che in musica si chiamano "cromatismi". Andando nella
direzione opposta si va verso il mondo della stasi (apparente). Anche ripetere ostinatamente
un frammento melodico (in gergo viene chiamato riff) per un certo periodo di tempo
può creare la necessità di trovare una soluzione tranquillizzante.
Fare un assolo equivale a raccontare una storia. O almeno dire la propria
opinione su un argomento.
Ci sono delle analogie evidenti tra il modo di costruire un assolo e quello,
ad esempio, di articolare un discorso a parole. Stiamo parlando sempre di linguaggi
che hanno lo stesso scopo, quello di permettere la comunicazione, solo che usano
strumenti diversi. Ripropongo un giochino che ho già usato in un'altra occasione
perché mi sembra ancora efficace per chiarire ulteriormente. Si tratta di definire
le analogie tra discorso e assolo musicale.
Definizione di discorso:
"In un discorso, parlato o scritto, occorre creare una
preparazione che porti verso il punto principale della questione e tale preparazione
scaturisce dalla articolazione e dal collegamento delle frasi e dei
loro significati".
Definizione di assolo:
"In un assolo, improvvisato o scritto, occorre creare
una preparazione che porti verso il punto principale della questione e tale preparazione
scaturisce dalla articolazione e dal collegamento delle melodie e
dei loro significati".
Come si può intuire, a parte i termini intercambiabili, che mettono in risalto
le analogie, la parola "preparazione" presuppone la gestione del passaggio da una
situazione blanda che preannuncia l'arrivo di una situazione di tensione che poi
si placherà in una situazione di quiete.
Qualcuno potrebbe fraintendere e chiedersi se è congruo parlare di assolo
scritto. Ebbene, si può. Esistono gli assoli scritti. A parte le trascrizioni e
i nostri tentativi di trascrivere frammenti melodici nella fase di apprendistato,
ci sono numerosi brani concepiti per medie e grandi formazioni (big combos, big
bands) dove l'arrangiamento prevede dei soli collettivi scritti (vengono chiamati
"specials") eseguiti da gruppi o famiglie di strumenti.
Tutto questo discorso parte dal presupposto che stabilire una connessione
tra chi lancia un segnale e chi lo riceve è l'obiettivo da raggiungere. E' pertanto
opportuno che il messaggio sia confezionato in modo da essere agevolmente ricevuto
e compreso da chi ascolta. L'efficacia del messaggio si misura con la sua capacità
di mettersi al servizio della sensibilità del "ricevente", riuscendo ad evocare
in lui immagini e sensazioni.
Si può anche scegliere di non comunicare, o di comunicare l'incomunicabilità.
Sono altri ambiti che ci porterebbero in altre direzioni dove, se volete, potete
andare ma io non vengo, vi lascio soli perché ho altro da fare.
Tornando all'improvvisazione che mira al coinvolgimento emotivo tra chi trasmette
e chi riceve. Risulta evidente che è essenziale per l'improvvisatore sviluppare
la capacità di "saper controllare la situazione". Sono tante le cose a cui si deve
badare. Non dimentichiamo che il tutto avviene all'istante e che quindi all'inizio
si spenderanno parecchie energie per "ridurre i tempi morti", quelli cioè che destiniamo
alla comprensione, classificazione e trasformazione di tutte le informazioni.
"Improvvisare significa anche sapere cosa non fare". Scusate la brutalità, ma ho
deciso di creare un momento di "tensione". Una volta acquisita quella sicurezza
che ci permette di aggirarci meno goffamente tra scale, arpeggi, ritmi e quant'altro,
ci troveremo di fronte il problema di operare delle scelte. Sono tante le strade
che potremmo percorrere ed il tempo è uno solo. Dovremmo pertanto sviluppare anche
la capacità di scartare subito le soluzioni che riteniamo più deboli.
Un improvvisatore esperto sa già che quello che si accinge a fare non lo
soddisferà mai completamente. Dopo l'esecuzione penserà sempre che avrebbe potuto
fare meglio. Ma l'esperienza gli insegna che questo non deve rappresentare un momento
di sconforto. Semmai il contrario: deve essere un impulso a continuare, a cercare
sempre di migliorarsi. Kierkegaard diceva che "La verità nella sua purezza è solo
per Dio; ciò che è dato all'uomo è la ricerca della verità".
Improvvisare è un terreno di conquista che non si finirà mai di esplorare.
Basta essere "prudenti", come in tutte le situazioni estreme. Non si rischia la
vita ma c'è da camminare molto ed essere adeguatamente equipaggiati aiuta.
Sto scrivendo queste righe mentre un muratore sta rimettendo la guaina sul
mio balcone per eliminare le infiltrazioni di acqua piovana segnalate dal vicino
al piano di sotto. Dopo la guaina, che sta mettendo "a regola d'arte", come direbbe
un tecnico del settore, rimetterà il pavimento ed il problema delle infiltrazioni
sarà risolto (spero).
Lui ed io stiamo facendo la stessa cosa.
Lui sta costruendo qualcosa la cui efficacia si vedrà nel tempo.
Io sto scrivendo, ma in realtà sto improvvisando cercando di catturare i
miei pensieri e trasmetterli a chi legge sul brano "Improvvisazione jazzistica".
L'efficacia di questo scritto si "sentirà" nel tempo (spero).
Ci solo assoli di grandi jazzisti costruiti a "regola d'arte" che non mi
stancherò mai di ascoltare. Ora posso anche avere una visione chiara di quello che
hanno fatto, alla luce delle mie attuali conoscenze. Ma come hanno fatto a concepirli,
e per di più all'istante, non lo so. Anche questo appartiene all'universo che ci
è ignoto ma di cui avvertiamo la presenza.
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COMMENTI | Inserito il 11/6/2010 alle 21.11.17 da "Nonna_amelia" Commento: Bellissimo articolo! La passione dell'autore traspare dalle righe... E contamina chi legge. Emilio Longombardo | | Inserito il 13/6/2010 alle 11.39.23 da "giovanni.monteforte" Commento: Premesso che l'articolo è condivisibile su tutto, è veramente ammirevole la capacità dell'autore di comunicare concetti complessi con semplicità, efficacia e squisitezza letteraria! Giovanni Monteforte. | |
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Data pubblicazione: 31/05/2010
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