Il concetto di "jazz" è difficile da definire: come qualsiasi altro termine vago può significare tutto e il contrario di tutto; tanti grandi musicisti hanno cambiato idea più volte nel corso della loro carriera e hanno ridefinito questo termine ogni volta in maniera diversa, trasfigurando - basti pensare a Davis - quello che fino a poco prima era dato per certo. Ascoltare il nuovo lavoro di Mimmo Langella costringe l’ascoltatore a sorridere per almeno due buoni motivi: il primo è che si tratta di musica capace di coinvolgere, il secondo, strettamente dipendente dal primo, è che il chitarrista riesce a far dimenticare tutte le diatribe terminologiche, lasciando posto, nelle orecchie di chi ascolta, solo per le sue note. Langella prosegue il cammino musicale cominciato anni addietro con The Other Side: le influenze jazz/blues assorbite nel corso degli anni s’incontrano per mescolarsi nuovamente su un territorio ritmico di matrice black (con piacevoli accenni alle moderne tendenze elettro-lounge), colorato da timbri "retro" talmente caldi che, chiudendo gli occhi, sembra di stare in sala durante le session di registrazione. Il leader dimostra grande maturità nel dirigere il combo, lasciando spazio ai partner e relegando l’ottima tecnica strumentale al servizio della propria musica: il feeling che emerge tra i musicisti è il risultato di un progetto artistico perseguito con l’impegno sincero e quotidiano di chi ama profondamente ciò che fa. Dal punto di vista compositivo la musica di Langella risulta ancora una volta personale, fresca, melodicamente accattivante: le frasi del chitarrista partenopeo si articolano sul ritmo con la naturalezza di chi conosce perfettamente la lingua che parla e non ha bisogno di confondere chi ascolta con parole prese in prestito da altri. Le tracce cantate da Marcello Coleman lasceranno a bocca aperta chi si ostina a sostenere che un brano orecchiabile non possa trasportare messaggi importanti o essere musicalmente interessante; coerentemente con il resto del progetto, i duetti con Scott Henderson non hanno il respiro del duello all’ultima nota tra virtuosi, ma quello ben più godibile del dialogo tra amici che si raccontano le ultime novità. Un disco insomma che, grazie alla - apparente - semplicità può essere ascoltato a più livelli: la cantabilità dei brani è tale da conquistare anche chi non si è mai avvicinato al genere, la raffinatezza delle soluzioni armoniche e delle improvvisazioni colpiscono dritto al cuore chi ama questa musica.
Simone Salvatore (Chitarrista e collaboratore del periodico per chitarristi Axe)
|