Ho da poco finito di leggere il libro:
“William Parker. Conversazioni sul jazz”
di Marcello Lorrai
E’ un libro scritto sotto forma di intervista, nella quale viene percorsa la carriera di William Parker, contrabbassista esponente dell’avanguardia jazzistica newyorkese.
Oltre alla parte autobiografica, Parker analizza la scena del Jazz di improvvisazione free ed i suoi maggiori esponenti.
L’ho letto con molto interesse perché, qualche anno fa, avevo assistito a due ore di concerto di solo contrabbasso di William Parker al teatro studio dell’Auditorium di Roma (penso fossimo in 20…): ne ero uscito, si sconvolto, ma con una forte sensazione di avere ascoltato un momento di forte tensione emotiva e di libera connessione tra sentimento ed esecuzione; insomma le pulsioni passionali si traducevano direttamente nell’esecuzione, senza l’intermediazione di sovrastrutture culturali o empiriche.
Raramente mi era capitata una simile sensazione e credo che Parker volesse esprimere proprio questo (e questo si evince nel libro).
Non credo che ascolterei mai un pezzo free a casa, penso che questi momenti possano essere condivisi solo dal vivo, però mi chiedo: riuscirei ad improvvisare in un quartetto free? Nel senso: riuscirei ad essere veramente libero? Penso che sarei sempre e comunque alla ricerca di appigli tonali, frasi o riff ai quali aggrapparmi di volta in volta e non credo che riuscirei facilmente a liberarmi dalle sovrastrutture mentali.
Credo che bisogna esercitarsi anche per raggiungere una vera improvvisazione collettiva…
yeah s