CONTRO L'APARTHEID, ANCHE MUSICALE

L'apartheid è un dramma sociale di notevole entità che si verifica in tutte quelle società dove sia presente un qualsiasi genere di discriminazione. Il termine una volta usato per indicare la segregazione razziale in Sud Africa, diviene oggi sinonimo di una serie di pregiudizi che si riscontrano un po' ovunque e che non si limitano a questioni... di colore.
E' questa una delle interpretazioni che della parola "apartheid" è stata offerta dagli organizzatori del concerto svoltosi nei giorni scorsi al Piccinni auspice l'Altra Radio, un'emittente privata molto attiva nella diffusione della musica non commerciale, e con il patrocinio dell'Assessorato alla Cultura del Comune di Bari.

Accanto al fine umanitario di manifestare una concreta solidarietà verso il popolo sudafricano, il concerto intendeva offrire una panoramica del sottobosco jazzistico barese già da qualche anno attivo nei circuiti alternativi, ma - a detta degli organizzatori - vittima di una sorta di apartheid musicale da parte dei sodalizi musicali.
Una posizione polemica giustificabile soltanto in parte, ma che risente senza dubbio di qualche inquietudine figlia del momento.
In ogni modo, il panorama offerto al pubblico, pur non essendo di livello omogeneo, presentava qualche indubbio motivo di interesse.
Una buona impressione hanno suscitato gli Stage, un quartetto formato da alcuni validi elementi locali fra cui emergono senza dubbio il pianista Gino Palmisano e il sassofonista Rocco Ventrella. Le intenzioni del gruppo non sono ancora molto chiare, si oscilla da qualche ammiccamento alla "fusione" a un lessico meno contaminato, ma le qualità potrebbero emergere se ben coltivate. Completavano il quartetto Maurizio Quintavalle al contrabbasso e Piero Di Bari alla batteria.
Meno stimolante invece è apparsa la prestazione del Jazz Workshop di Molfetta, un sestetto che ha presentato esclusivamente proprie composizioni, senza brillare per originalità. Il livello medio dei suoi componenti era discreto, ma la maturazione musicale è ancora abbastanza lontana.
Simpatico ed interessante invece la performance di Luciano Federighi collaboratore della rivista "Musica Jazz" e fra i pochi specialisti di jazz vocale annoverabili in Europa. Federighi si è esibito in veste di "blues singer" facendosi apprezzare per la sonorità "growl" della voce e per un blues feeling degno veramente di un artista di colore.
E da blues di Federighi, si è passati alla "saudade" degli Jacarè, un quartetto che si dedica alla musica sudamericana. In questo gruppo, spicca senza dubbio il bassista Vito Di Modugno, un figlio d'arte dotato di ottima qualità.
Vigoroso è poi il pianista Claudio Colasazza che sa rivelare una grinta a momenti inaspettata. Completa il quartetto alla batteria Aldo Bagnoni, che nella rassegna era impegnato nella molteplice veste di organizzatore e membro di varie formazioni.
La migliore prestazione della serata ci è parsa quella fornita da un quartetto che vedeva impegnata in prima fila la vocalist Lucia Jacovelli.
Questa cantante ha senza dubbio una voce interessante, anche se le serve ancora un po' di tempo per maturare; in particolare per vincere una certa timidezza che talvolta puo' rivelarsi controproducente. Ma i timori si dissipano subito se si ha un buon trio alle spalle ed in particolare un buon pianista. E' il caso di Nico Marziliano, un musicista dotato di buon gusto e di una grande sensibilità che farebbe bene a suonare qualche volta di più in pubblico. Grandi progressi ha poi fatto il contrabbassista Michele Zonno che lascia sperare in una buona evoluzione. Leggero nel tocco, ma talvolta poco fantasioso il batterista Franco Guarnieri.
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