INTERVISTA A
ROBERTO DELLA GROTTA
CiaoJazz:
Roberto, iniziamo con una domanda
classica: come ti sei avvicinato alla musica?
Roberto Della Grotta: Come molti altri coetanei
da ragazzo, a scuola, ero attratto dai gruppi
rock; suonavo già la chitarra e dato che non
c'era nessuno o pochi che suonassero il basso,
decisi di entrare a far parte di uno dei tanti
gruppi rock del quartiere come bassista elettrico.
Suonavamo brani dei Black Sabath, Huraia
Heep, Led Zeppelin e come tutti andavamo ad
ascoltare i concerti rock nei palazzi dello sport.
Le prove avvenivano dentro i ruderi del quartiere di Centocelle a
Roma. Era un modo per stare insieme e sfuggire alla monotonia
della periferia, ma la musica mi attirava molto e mi coinvolgeva
emozionalmente...
Sono sempre stato attratto dalla musica grazie anche a mio
padre che, nonostante facesse l'operaio, quando tornava a casa
amava ascoltare dischi di musica classica o lirica e mi
trasmetteva questa sua grande passione; inoltre non si faceva
mai mancare le ultime novità della tecnologia, che all'epoca
erano il giradischi e il registratore a nastri: infatti a un mio
compleanno mi regalò un registratore Lesa, e così cominciai ad
appassionarmi anche alla registrazione.
Intanto sulla scena musicale del mondo erano apparsi i Beatles
e io non mancai di amare quel nuovo modo di fare musica così
armonico e melodico. Insieme ad alcuni compagni di scuola e
amici che lavoravano e che incontravamo a al bar del quartiere
decidemmo di formare un quartetto che eseguiva la loro musica e
non solo. Il gruppo si chiamava "I Dispersi ". Stampammo dei
manifesti e un sabato vennero affissi a tutti i muri del quartiere;
la mattina dopo mentre la gente andava a messa, tutti parlavano
preoccupati dei 'dispersi'! Devo dire che era stata una pubblicità
molto azzeccata; infatti sul manifesto figuravano soltanto le
facce di noi quattro sotto la scritta "I Dispersi" e la cosa aveva
messo non poco in allarme la gente del quartiere. Capimmo così
l'importanza della pubblicità e dell'immagine e così decidemmo di
vestirci tutti alla stessa maniera secondo la moda del momento:
pantaloni scampanati, camicia dal collo lungo e giacche tutte
dello stesso colore...
Ad ogni modo, così cominciammo a suonare per i locali del
quartiere e dei paesi limitrofi, e un giorno si fece vivo anche un
'manager' che ci propose del lavoro. Noi accettammo,
ritrovandoci in men che non si dica a peregrinare per i paesi
limitrofi di Roma ed in altre città. È inutile raccontarvi che i locali
erano sempre di infimo ordine e la fatica che si faceva a caricare
e scaricare gli strumenti era sempre all'ordine del giorno, e
faceva parte del lavoro e che avevamo scelto, ma la passione ci
faceva superare ogni stanchezza. Devo ringraziare questa
esperienza che mi ha permesso di scoprire quella che era ed è
rimasta la mia più grande passione: la musica, e la realtà del
lavoro legato a questa professione, dato che la nostra era
un'esperienza concreta, non solo la rincorsa di un sogno,
probabilmente, o di un ideale astratto. Inoltre questo ci tenne
lontani da problemi che nascevano all'epoca nel quartiere in
cui vivevamo, come quello molto pesante della droga. Era il
1972, e avevo 18 anni.
CJ: Quindi ti sei avvicinato al jazz solo più tardi...
RDG: Nel 1975 conobbi un trombettista: Gaetano Delfini, il
quale mi fece ascoltare una registrazione di Charles Mingus. Ne
rimasi letteralmente rapito e sconvolto: come era possibile che
fino ad allora non avessi mai ascoltato quel tipo di musica così
libera da schemi e così creativa?
Decisi subito che avrei dovuto imparare quella musica. Mi
attraeva non poco quello strumento gigantesco che suonava
Charles, dal suono così profondo: il contrabbasso. Un giorno
passando da piazza Venezia, a Roma, con mio padre, su un
autobus di fronte alla Ricordi vidi un contrabbasso in vetrina e
chiesi a mio padre di comprarmelo; egli acconsentì subito dato
che mi capiva molto bene e condivideva la mia passione per la
musica e in fondo quella passione era stato proprio lui ad
instillarmela. Io andavo molto bene a scuola, frequentavo l'ITIS
'E. Fermi'; ero per così dire un 'secchione' ma mai il primo della
classe; cercavo sempre di essere il secondo perché essere il
primo ti metteva in cattiva luce con i compagni. Per tutte queste
ragioni mio padre mi comprò il mio primo contrabbasso e cominciai
a suonare con Gaetano nel mio primo gruppo di jazz.
Naturalmente suonavamo brani di Charles Mingus e standards e
cominciai a frequentare i locali di jazz di allora, quali il Music Inn
e il Folk Studio, dove conobbi Massimo Urbani, Mario
Schiano, Tommaso Vittorini e molti altri ragazzi della mia età
che mi sembravano veramente appassionati alla musica che
facevano, per cui decisi di unirmi al loro gruppo di artisti per
continuare la mia avventura musicale.
Al Music Inn di Roma l'allora proprietario Pepito Pignatelli, che
suonava anche la batteria, mi prese in simpatia e mi chiese di
suonare con i musicisti americani che venivano a Roma per i
concerti e che passavano per il suo locale a fare qualche
session, e fu così che, con grande mia paura, mi gettai nella
mischia ed ebbi occasione di suonare con musicisti molto più
anziani di me e di grande levatura. Devo ringraziare Pepito
Pignatelli se ho potuto fare questa esperienza così importante
che mi ha permesso di gettare delle radici profonde nella mia
formazione artistico-musicale. All'epoca suonai con Art Farmer,
Johnny Griffin, Art Taylor, e anche con Kenny Clark con il
quale incisi un disco per l'etichetta 'Horo'; non dimenticherò mai
la sua grande umanità e disponibilità.
Nel locale di Pepito incontravo e avevo occasione di suonare con
musicisti quali Piana, Valdambrini e quasi tutte le sere dalle
2:00 in poi arrivava sempre il grande Tony Scott con cui si
improvvisava fino all'alba. Ne approfittai per prendere delle lezioni
di armonia con Tony Scott e spesso mi recavo a casa sua dove
regnava sempre una grande "armonia", in tutti i sensi; lui mi
insegnava a mettere i 'bassi' giusti sulle 'sigle' e il suo pezzo
preferito ed anche il mio era "The lady is a tramp" sul quale
improvvisava stupendi arrangiamenti estemporanei al pianoforte,
con i quali riusciva a farmi sentire tutte le parti che avrebbero
dovuto eseguire gli strumenti di una ideale 'Big Band'.
Meraviglioso!
La vita musicale era sempre molto attiva a Roma, allora. Mi
ricordo che qualche volta dormivo addirittura sotto il pianoforte
del Music Inn perché era molto tardi e l'indomani avrei dovuto
suonare con qualche musicista che arrivava dall'estero; il locale
si trovava al centro di Roma di fronte al Tevere lungo il quale,
passeggiando, non poche volte ho potuto gustare i colori
stupendi di Roma quando comincia ad albeggiare e Trastevere
mostra tutta la poesia che nasconde quando la gente comincia
ad uscire al mattino per recarsi al lavoro. Io abitavo in periferia
per cui non sempre riuscivo a tornare a casa, inoltre il mio
strumento era molto grande e io non avevo un auto per cui ero
costretto sempre a prendere il taxi da casa mia al locale e per
tornarvi; mi ricordo che cercavo sempre di convincere l'autista,
'er tassinaro' come diciamo noi a Roma, che lo strumento
sicuramente sarebbe entrato in macchina e spesso loro non
volevano caricarlo o lo facevano a malincuore, ma io riuscivo con
abilità ad introdurlo nell'automobile qualsiasi essa fosse, era
diventato un esperto in questo.
Conobbi allora Bruno Tommaso e decisi di iniziare studiare
seriamente il contrabbasso con lui; mi fece conoscere Giorgio
Gaslini ed entrai così a far parte come uditore, del suo corso di
jazz che teneva al conservatorio di Santa Cecilia dove
frequentava anche Patrizia Scascitelli. Giorgio Gaslini mi fece
suonare nel gruppo dei musicisti del suo corso, ma io conoscevo
molto poco lo strumento e la musica in generale; però Giorgio
decise che avrei dovuto suonare col suo quartetto e così fece e
facemmo dei concerti in Sardegna e nel sud d'Italia con
Massimo Urbani al Sax Alto e Bruno Biriaco o Nicola Raffone
alla batteria. Fu un'esperienza stupenda e grandemente
formativa per me: si stava avverando quello che avevo sempre
desiderato, cioè che quella dovesse essere la mia professione;
inoltre suonavo con i migliori musicisti, ero molto contento.
CJ: Quando hai deciso di studiare formalmente la musica?
RDG: Devo ringraziare mio zio se sviluppai una grande
determinazione nello studiare fino in fondo la musica e lo
strumento che avevo scelto; vi racconto un aneddoto: a casa
studiavo il contrabbasso per sette, otto ore al giorno e all'inizio
facevo soltanto 'note lunghe' con l'arco; ogni tanto entrava mio
zio in camera e mi diceva " Roberto, cosa fai con quella sega...?
". E' inutile dire che ci rimanessi molto male ma dentro di me
nasceva forte l'orgoglio e una vocina dentro mi diceva
"vedrai
zio, vedrai cosa sono capace di fare"'.
Così feci e un giorno decisi di andare al conservatorio di
Frosinone e di propormi come allievo al corso del maestro
Franco Petracchi, il più grande Contrabbassista e concertista
sulla scena musicale dell'epoca, il quale mi disse che se avessi
voluto studiare con lui avrei dovuto ricominciare tutto da capo!
Io accettai, e lì iniziò la mia avventura musicale all'interno dei
conservatori. Frosinone prima e Santa Cecilia poi.
Per un certo periodo scomparvi dai locali di jazz e poi feci anche
il militare nella Banda dell'Esercito dove ero riuscito a farmi
trasferire (ma questa esperienza la racconto solo quando sono a
tavola con i miei amici più stretti, scusate se salto…). I 'critici'
o meglio i giornalisti si dovrebbe dire, che fino ad allora avevano
scritto di me sui giornali immaginarono che come molti altri
giovani della mia età avessi smesso di suonare. Questa è
un'esperienza che ho provato molte volte, se sei sempre nei
locali esisti altrimenti hai smesso di suonare! Non fai più notizia.
Non esiste una via di mezzo e in fondo non importa molto...
Avevo intrapreso uno studio molto serio e profondo dello
strumento e questo assorbiva tutte le mie energie ma non avevo
smesso di suonare e continuavo ad andare in giro con i musicisti
di jazz molto in gamba. Allora suonavo con Patrizia Scascitelli,
con la quale avevo inciso un disco per la RCA che si
intitola
'Ballata', e con i musicisti di Rocky Roberts che avevano deciso
di fermarsi in Italia: grandi musicisti quali Larry Dinwiddie (Sax
tenore), purtroppo scomparso, Marvin (Boogaloo) Smith
(batterista, o meglio una tempesta di ritmo e mai fuori tempo)
devo a lui se ho capito l'importanza del 'tempo' nella musica, ora
tornato a New York, e Karl Potter, che tutti credo conoscono
molto bene in Italia. Karl e Marvin erano il meglio che si potesse
chiedere ad una sezione ritmica, la spinta, l'allegria, l'energia
senza limite, la creatività sempre e ad ogni costo. Con loro e con
me suonava anche Giancarlo Maurino al Sax Alto, che Charles
Mingus scelse in Italia per registrare la colonna sonora del film
'Toto Moto' (spero che si scriva così).
E poi c'erano tutti i musicisti di Casal Palocco, a cui rivolgo un
caloroso abbraccio fraterno, con cui ci si incontrava a casa di
Peppe Caporello (contrabbassista). C'erano poi i festival nelle
borgate romane con il grande Danilo Terenzi al trombone,
Tommaso Vittorini al Sax Tenore e l'immancabile Massimo
Urbani e molti altri ancora. Un'epoca incredibile a ripensarci.
Cominciai anche a fare qualche esperienza di musica classica,
sinfonica e teatro lirico ma non accettai mai di entrare a far
parte di un'orchestra in modo stabile. Feci comunque dei
concorsi, e stavo per entrare nell'orchestra dell'Arena di Verona
se la commissione, per mia fortuna, non avesse deciso alla fine
un pari merito tra me e un altro contrabbassista che già era
introdotto nell'ambiente, e che vinse per il suo punteggio
artistico. Già, perché il jazz in Italia, allora, non faceva alcun
punteggio artistico, ora le cose sembra che stiano cambiando,
ma sarà poi vero?
CJ: Riuscivi a vivere solo di musica jazz?
RDG: Per me la musica è sempre stata veramente una passione
e io volevo suonare la 'mia' musica, liberamente, senza
costrizioni di sorta, ero quello che si può dire un anarchico della
musica, e con me molti altri lo erano, e quindi ho preferito fare
altri lavori che mi facessero guadagnare piuttosto che smettere
di suonare jazz.
Dall'80 in poi il lavoro nel mondo del jazz cominciò a calare, e
questo è stato un fenomeno culturale che ha coinvolto tutti i
musicisti italiani dell'epoca: molti hanno smesso di suonare a
causa di questo, la politica non è che ci abbia mai aiutato molto
non è vero? Molti, come me, hanno fatto altri lavori... Ma la mia
passione non è mai diminuita, anzi, è sempre andata
aumentando e nel mio cuore continuo a mantenere una grande
determinazione nel continuare a fare della musica una delle
ragioni più importanti della mia vita.
Il jazz è ricerca e oltre ad essere musica libera, mi ha permesso
di scrivere da me la musica che volevo suonare, e di poterlo fare
attivamente, non solo teoricamente come spesso avviene. Così
cominciai a scrivere fin dall'inizio delle mie lezioni con Bruno
Tommaso, a studiare composizione privatamente, a comprare
libri e manuali d'armonia italiani e soprattutto libri americani.
Cominciai a scrivere per quegli strumenti che mi erano più
congeniali: la tromba, il sassofono, il trombone e così il nacquero
le mie composizione per sestetto. Decisi anche di formare il
mio sestetto, con il quale feci dei concerti in giro per l'Italia, con
grandi difficoltà per l'organizzazione dei musicisti e delle serate.
Questo però mi permise di sperimentare sul campo quello che
scrivevo, e di perfezionare il mio modo di scrivere, il
contrappunto, la melodia, l'armonia, affondando sempre più le
radici nella materia musicale o meglio alla maniera di Mingus:
potrei dire "Blues & Roots".
CJ: E le tue più importanti esperienze jazzistiche?
RDG: Fra le tante esperienze che ricordo, quelle più importanti
per me sono state i concerti con Johnny Griffin e Art Taylor,
con Enrico Pierannunzi oppure Franco D'Andrea al pianoforte,
con Patrizia Scascitelli, Massimo Urbani, Enrico Rava,
Danilo Terenzi, Tommaso Vittorini, Mario Schiano e molti
altri che voi tutti conoscete e che fanno parte della storia del
jazz italiano di allora.
Nel frattempo ho formato una famiglia, ho quattro figli e sono
molto felice delle scelte che ho fatto; la musica e la famiglia
sono sempre state molto importanti per me, come mi hanno
insegnato mio padre e mia madre. A mia madre particolare devo
la mia evoluzione dal punto di vista spirituale anche se non si può
mai scindere la materia dallo spirito e soprattutto devo a mia
madre la comprensione dell'importanza della preghiera nella vita.
Spirito e materia esistono anche nella musica come nella vita:
queste due componenti non sono mai una staccata dall'altra
come è vero che non si può estrarre lo spirito di Beethoven dalla
sua musica, o di Ravel, o di Stravinski, perché esso vive ogni
volta nella successione dei suoni che sono la materia e il veicolo
attraverso il quale il messaggio musicale si trasmette, l'uno trae
alimento dall'altro, e senza spirito o materia non esiste la vita e
non esiste neanche la musica.
Insomma quella che è la mia esperienza è che non avrei potuto
realizzare nulla di tutto ciò se non avessi incontrato, riconosciuto
e seguito sempre dei grandi maestri ed esempi. Il musicista è
un artigiano e la sua materia è invisibile. Tra tutti i maestri che
ho avuto il più grande è certamente il presidente della Soka
Gakkai Internazionale Daisaku Ikeda il quale finalmente sta
iniziando ad essere riconosciuto anche in Italia quale un grande
ispiratore per tutto il genere umano e soprattutto per le giovani
generazioni: devo a lui se sono riuscito ad affrontare e superare
grandi difficoltà, senza le quali non è possibile crescere
veramente come essere umano e diventare veramente adulto nel
vero senso della parola. Beethoven ha fatto della grande musica
perché era soprattutto un grande essere umano e così ogni
grande artista; io voglio essere prima di tutto un buon cittadino.
Con ciò non crediate che io voglia insegnarvi qualcosa,
assolutamente no! Anzi devo ringraziare CiaoJazz se posso, e lo
faccio volentieri, per la prima volta raccontare la mia esperienza
sulle pagine di un giornale di musica.
CJ: E' arrivato il momento di chiederti dei tuoi progetti futuri.
RDG: Ebbene, sento che mi devo sforzare ancora di più, e che
devo crescere in mezzo alla gente comune come me, che devo
continuare a collaborare con tanti musicisti trasmettendo loro
se posso qualcosa della mia esperienza mentre imparo dalla loro.
L'unica cosa che un po' mi dispiace e che vi siano veramente
pochi giovani che decidono le studiare il contrabbasso come ho
fatto io.
Ultimamente ho composto la musica per un cortometraggio di
Roberto Palmieri, giovane promessa del cinema, continuo a
registrare musica nel mio studio da solo e insieme ad altri
musicisti con cui collaborò; tra questi devo fare il nome di Mario
Fragiacomo in particolare che è stato uno dei pochi musicisti
italiani, triestino lui, con il quale ho lavorato per tanti anni grazie
soprattutto alla sua grande disponibilità e al grande clima di
amicizia che regna nel suo gruppo: il Mitteleuropa Ensemble.
Con lui ho fatto molte registrazioni in studio. E' mia intenzione
continuare a scrivere musica a suonare jazz nei locali e nei
concerti, come ho sempre fatto.
Alla fine di questa lunga chiacchierata vorrei dire, come si fa in
tutte le favole, che l'insegnamento più importante che posso
trarre dalla mia esperienza è che nella vita è importante avere
degli ideali e delle passioni e lottare per realizzarli ad ogni costo
fino alla fine: solo così la vita assume il suo vero significato, e
come un albero non si chiede perché debba dare dei frutti,
oppure il sole non decide una mattina di non nascere, è naturale
che questi frutti vengano al momento giusto per chiunque
persegua quella che crede essere la propria ragione di vita.
Purtroppo la nostra è una società in cui molti giovani non hanno
ideali propri; non esiste un modo facile per vivere una vita che
abbia valore vero... molto importante è la filosofia che una
persona abbraccia e direi la fede che lo guida nelle sue scelte
momento per momento. Senza questi e senza una vera guida è
impossibile realizzare la propria rivoluzione umana e lasciare
comunque agli altri un messaggio di semplice umanità, senza
tante complicazioni.
Roberto Della Grotta
Musicista di Jazz ma non solo!
Elfio Nicolosi