MUSICA JAZZ - Anno 60. n°10. ottobre 2004
Recensione MICHELA LOMBARDI «
SMALL DAY TOMORROW» (Philology W709.2, distr. IRD)
di Luciano Federighi

È stato l'ascolto di Irene Kral, una delle più profonde e raffinate interpreti della canzone in chiave jazzistica (e una delle più sottovalutate, almeno sino a quando Clint Eastwood non la inserì a fianco di Dinah e Hartman nella superba colonna sonora dei Ponti di Madison County), a ispirare a Michela Lombardi questo disco rimarchevole, in massima parte composto da brani che appartengono al repertorio discografico, relativamente scarno ma sempre luminoso e sofisticato, della sfortunata chicagoana.

Ma la giovane cantante versiliese, che ha un variegato retroterra di esperienze musicali tra Italia e Stati Uniti, non si è lasciata tentare dall'emulazione. Ha invece puntato a una rilettura in una luce individuale e moderna, vicina alla parte più nobile della nouvelle vague della vocalità jazz (si sente, semmai, un certo prezioso influsso di Jackie Allen, altra creatura della scena di Chicago, nella scelta dei colori, del clima espressivo), rivelando un respiro melodico libero e una bella musicalità di intonazione, una equilibrata visione interpretativa e – attraverso una dizione rotonda e puntuale – una chiara sensibilità per le qualità letterarie di canzoni i cui testi recano l'autorevole firma di Fran Landesman, Dave Frishberg o Sammy Cahn.

Ben integrata nella sobria, moderna dialettica del gruppo di Frassi, la voce colpisce per la combinazione (a tratti, appunto, jackiealleniana) di una gentile abrasività e di un calore smerigliato e per una fluidità di enunciazione che le permette di muoversi con grazia attraverso le immagini limpide e sorridenti di un movimentato That's All e di distillare con umorismo e swing i versi di It Isn't So Good. Comes Love, brumoso, lento, le suggerisce una lettura sensuale, dalla grana densa e dai filigranati chiaroscuri, mentre le due terse versioni della ballad You Are There (la seconda con il solo pianoforte) e quella (in compagnia di Giovacchini) di Guess I'll Hang My Tears Out To Dry dai riflessi silvani, quasi folk, fanno affiorare una fine vena intima, alternativamente romantica e torchy, controllata da un asciutto gusto colloquiale, da una squisita attenzione per il dettaglio lirico.

Si scopre inoltre nella cantante un palpabile blues feeling, che emerge con eloquenza cauta ma penetrante nel capolavoro di Bobby Troup, The Meaning Of The Blues, giocato tra silenzi e sfumature sulla riverberante trama della chitarra, e nello Small Day Tomorrow di Dorough e Landesman, di cui esalta con grazia una drammaticità ironica e ombrosa, ben coadiuvata dall'armonica. • L.Fe.

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