La vita di Ugo Calise
raccontata da Stefano Russo
(BASATA su documenti e ricordi miei e di Ugo)
Ugo Calise
(Oratino, 6 Maggio 1921 - Roma, 6 Agosto 1994)
Na Voce, Na Chitarra E 'O Poco 'E Luna
(MP3 880KB)
Ugo
Calise - chitarra e voce Cicci Santucci -
tromba Pietro Novelli - violino Dario Rosciglione (?) -
contrabbasso Compositore, autore, arrangiatore, cantante e chitarrista, Ugo Calise
nacque il 6 maggio del
1921
ad Oratino, un paesino in provincia di Campobasso in cui il padre, Aniello, nativo di Lacco Ameno d'Ischia, esercitava, negli Anni Venti e Trenta, la professione di medico condotto. Il dottore Aniello Calise aveva la vocazione per la poesia ed una grande sensibilità alla musica.
Umanista - da studente metteva talvolta a disagio gli insegnanti con la sua vasta cultura e la sua memoria eccezionale - e persona generosa e sensibile (curava gratuitamente i malati indigenti e, per questo, arrivò a guadagnarsi, in vita, una Medaglia d'Oro al Valore Professionale), ebbe un ruolo fondamentale nella formazione psicologica del piccolo Ugo che, ad appena sei anni, era rimasto orfano della mamma.
Ugo aveva anche un fratellino, Mario, che diverrà, poi, un insigne professore di Fertologia.
La madre, Luisa Augier, di Casamicciola, era la figlia di un ricco governatore francese della Martinica sbarcato ad Ischia agli inizii del Novecento con il suo veliero a tre alberi ed innamoratosi di una bellissima fanciulla mora isolana.
I nonni di Ugo, dopo un periodo trascorso in Francia, tornarono ad Ischia per prendere dimora facendosi costruire la splendida Villa Augier a Casamicciola, luogo in cui il piccolo Ugo trascorrerà le vacanze nei primi anni della sua vita.
Ugo esaltava spesso la bellezza di Ischia negli anni
'30, i suoi colori e sapori autentici, il profumo inebriante dei fiori (soprattutto di quelli del viale della sua casa!), la bellezza ancora incontaminata delle spiagge e del mare. È all'amenità della sua adorata Ischia, oltre allo stimolante ambiente familiare, che egli attribuiva il merito della sua inclinazione artistica.
Incominciò, quindi, sin da bambino, a nutrire una fervida passione per la musica e per la poesia.
Suo primo maestro fu il chitarrista classico oratinese Giuseppe Garzia.
Subirà l'influenza delle tradizioni musicali etniche locali, in primo luogo della
serenata (come testimonia la forma delle sue prime composizioni) e della
musica bandistica.
Vivrà ad Oratino fino al completamento del corso di studi liceali all'istituto
Mario Pagano di Campobasso.
All'inizio degli Anni Quaranta si trasferirà a Napoli per iscriversi alla Facoltà di Chimica Farmaceutica. Anni dopo, con la benedizione paterna, abbandonerà gli
studi universitari a solo cinque esami dalla laurea - esattamente a cinque esami
e mezzo, come vezzosamente soleva precisare - proprio per poter dedicarsi a
tempo pieno al canto, alla chitarra ed alla composizione. Da giovane fu anche un
valente calciatore della squadra dell'Ischia.
Iniziò il suo apprendistato di cantante-chitarrista accompagnando - in una posteggia di lusso, come lui stesso amava definirla, - Don Edoardo, primo violino del Teatro San Carlo di Napoli e "musicante" per necessità economiche (aveva molti figli da sostentare).
Andavano in giro per i più rinomati ristoranti di Napoli, soprattutto quelli frequentati dagli americani.
Come lo stesso Ugo sottolineava, il loro era un duo di grande effetto sul pubblico: lui giovane, simpatico, esuberante, sempre abbronzato e con camicie sgargianti; l'anziano maestro, invece, canuto, occhi glauchi, aria ieratica e abbigliato con un impeccabile "smoking".
Don Edoardo, eccellente strumentista, suonava i pezzi americani alla maniera di Joe Venuti.
Spesso l'anziano maestro incitava, sui brani nuovi, il giovane chitarrista: "Re Maggiore, Ugo, va' annanze ca tiene 'e 'recchie bone!"
Suonavano un repertorio molto vario che andava dai classici della canzone napoletana
fino agli "standard" jazzistici assai richiesti dal pubblico dell'epoca costituito, spesso, proprio da militari americani in servizio a Napoli (siamo a metà degli anni '40).
È proprio in questa stimolante fucina che si forgerà l'originale stile di
Ugo Calise; è qui che in modo spontaneo avverrà la contaminazione tra la canzone classica napoletana ed il Jazz.
Il duo non era l'unica formazione con cui Calise si esibiva.
Nei locali frequentati dagli americani spesso suonava con complessi che, non potendo avvalersi del pianoforte (raramente disponibile), erano caratterizzati dalla presenza della fisarmonica dello straordinario Ciro Astarita, da un contrabbassista e dal sassofonista Tony Gròttola (poi sax di Renato Carosone).
Il repertorio di Ugo era costituito di brani jazzistici tradizionali e moderni, attinti ad una fonte autorevolissima: i numerosi
V discs (i famosi "Dischi della Vittoria" in dotazione alle forze armate statunitensi) che una sua compagna napoletana dell'epoca, impiegata alla N.A.T.O., costantemente gli procurava.
Inoltre, con il suo grande amico Romano Mussolini, giunto nel
1945
ad Ischia insieme alla mamma Rachele, alla sorella Annamaria e ad una cospicua raccolta di dischi nella valigia, organizzava delle sedute di ascolto e di approfondimento quotidiano del jazz anche di sei ore consecutive. In quel periodo si esibivano con un complessino in un locale di Forio d'Ischia,
La Conchiglia, realizzato a tempo di record da un ex ufficiale del Nord Italia trasferitosi ad Ischia subito dopo la guerra.
L'incontro tra Ugo e Romano avvenne una sera proprio a
La Conchiglia.
Romano si stava esibendo con alcuni amici quando sentì, improvvisamente, dietro di sé, il suono di una chitarra: era Ugo che senza farsi vedere gli era scivolato alle spalle e lo stava accompagnando; Romano esclamò: "Finalmente qualcuno che capisce di jazz!".
Nella band che costituirono, Romano Mussolini suonava la fisarmonica,
Ugo Calise la chitarra, Ugo Corvino (uno studente napoletano che cantava in un curioso americano) il pianoforte; alla batteria sedeva, invece,
Vincenzo Calise.
La paga pro capite era di 200 lire. Ugo guadagnava di più perché, oltre al compenso di "orchestrale", percepiva un supplemento di 150 lire come diaria (proveniva, si sa, da Casamicciola); inoltre, risparmiava sul vitto grazie alla sua ragazza, figlia di un salumiere di Forio, che gli preparava ogni giorno delle succulenti colazioni; spesso, poi, era ospite di Romano a Palazzo Covatta: donna Rachele, grande cuoca, adorava cucinare per Ugo poiché era un'eccellente forchetta!
Nel periodo
1947-48
si recò per la prima volta negli Stati Uniti - in compagnia dell'amico caricaturista
Nino Falanga, che parlava bene l'inglese, - con l'intento soprattutto di avvicinare il grande Count Basie.
Lo incontrerà al mitico Birdland, il "santuario" del Jazz.
"Fu il primo musicista che volli conoscere, giunto negli Stati Uniti" ricordava, spesso, Ugo che nutriva per il grande arrangiatore e direttore del New Jersey un'ammirazione sconfinata (di lui possedeva numerose registrazioni video, la discografia completa e sapeva tutto sugli elementi della sua grande orchestra).
Tra i due nacque una sincera amicizia, rinsaldata da successivi incontri in Italia, che durò per oltre un trentennio, fino alla morte del "Count" (Hollywood, 1984).
Quando l'amico in comune Alberto Alberti annunciava a Basie l'arrivo di Ugo, il grande band-leader lo accoglieva a braccia aperte, con vivaci esternazioni di affetto.
Frequentò anche i jazz-club di Chicago dove spesso ingaggiava divertenti "jam-session" con i musicisti locali improvvisando, quando non conosceva i testi dei blues, in dialetto napoletano!
Alla fine degli anni
'40
diede il suo primo recital in un cinema-teatro di Roma.
Nella capitale si esibirà anche nei più famosi locali notturni: La Rupe Tarpea, il
Kit Kat, l'Open Gate, l'84 ed Il Capriccio. Tra il suo pubblico femminile si ritroveranno le più grandi attrici dell'epoca: Zsa Zsa Gabor, Ava Gardner, Ester Williams, Anita Ekberg, Martine Caroll.
Anche nei locali alla moda di Milano, l'Astoria, Il Capriccio ed
Il Piccolo Bar, il successo riscosso fu grandissimo.
Negli anni
'50
tornerà nella sua adorata Ischia per costruirvi e gestire, insieme all'amico architetto Sandro Petti, il
Rangio Fellone; esso sarà, per oltre un decennio, il ritrovo notturno preferito del jet-set internazionale in vacanza sull'isola. Tra i suoi più assidui e prestigiosi avventori si ricordano l'imprenditore e produttore cinematografico Angelo Rizzoli (con il suo folto corteggio di attori), il principe D'Assia, Luchino Visconti, il grande compositore inglese Sir William
Walton, l'ambasciatore italiano a Londra Manlio Brosio.
Fu proprio quest'ultimo ad intravedere nella figura artistica di Ugo Calise
un'eccellente opportunità di disgelo diplomatico tra l'Italia e l'Inghilterra dopo i tragici avvenimenti della Seconda Guerra Mondiale. Decise di organizzare, pertanto, nell'Ambasciata Italiana a Londra, un alto ricevimento in onore della regina Elisabetta II D'Inghilterra e pochi rappresentanti del mondo politico ed artistico dell'epoca, coronato da un recital di Ugo Calise.
Era il 1954 e, in concomitanza, si svolgeva il VII Festival di Cannes in cui la pellicola di Ettore Giannini
Carosello Napoletano
(con Sofia Loren, Paolo Stoppa e Vittorio Caprioli), sarebbe stata insignita del
Premio Internazionale.
Nel novero dei prestigiosi trentatré invitati entrarono Laurence Olivier, Vivien Leigh (la mitica protagonista di Via Col Vento), Anthony Eden (l'allora Ministro degli Esteri inglese), Vittorio De Sica, Peter Ustinof.
La festa culminò nel concerto di Ugo, che, mentre suonava, con la coda dell'occhio incrociava lo sguardo complice di De Sica a rassicurarsi sul buon andamento dell'esibizione.
Al termine della "performance", mentre Calise lasciava la sala tra gli applausi degli ospiti, accadde un fatto straordinario: la dama di compagnia della regina gli corse dietro pregandolo di tornare in sala perché sua maestà aveva chiesto il bis; il nostro lo concesse a patto che ella accettasse in cambio il regalo che le aveva portato ma che il protocollo di corte le vietava di ricevere: un album di fotografie di Ischia che facevano da busta ai dischi dei più importanti cantanti napoletani dell'epoca.
Sposò una ballerina delle Blue Bells, Daphne Wallanstone, una graziosa inglesina dagli occhi azzurri presentatagli - si racconta - dal solito Brosio, alla quale dedicò molte delle sue canzoni d'amore, prima fra tutte la splendida
Occhi di mare (1970).
Il legame con l'Inghilterra gli diede l'opportunità di frequentare ed esibirsi anche in diversi locali londinesi, primo fra tutti l'Embrace Club.
Al Rangio Fellone - così denominato per la sua collocazione arretrata rispetto alla linea del mare, simile a quella del granchio ('o rangio) nascosto nelle fessure degli scogli - Ugo darà alla luce alcune tra le sue canzoni più belle:
L'ammore mio è frangese
(1955),
Non lasciarmi! (1955),
Na voce, na chitarra e 'o poco 'e luna
(1955),
Chitarra mia napulitana
(1956),
Nun è peccato!
(1959),
Comm'aggia fa'? (1964).
Farà esibire nel suo locale un giovane e promettente cantante caprese - un certo
Giuseppe Faiella - che raggiungerà il successo proprio incidendo, nel suo 45 giri di esordio, un pezzo di Calise (Nun
è peccato!) e diventerà famoso con lo pseudonimo di Peppino di Capri.
Nel 1960 Angelo Rizzoli e Peppino Amato vollero Ugo come "vedette" a
Il Pignattiello, il famoso ritrovo notturno di Lacco Ameno d'Ischia.
Durante gli anni '60 si esibì in Francia, Germania, Austria, Grecia, Spagna e Portogallo.
In Portogallo resterà incantato dal Fado ed in Lisbona, durante una serata memorabile, dedicherà al pubblico di
La Viela (il locale della sorella di Amalia Rodriguez) ed al grande Alfredo Duarte in persona, Na Voce, Na Chitarra E 'O Poco 'E Luna, ormai successo internazionale.
Dopo il concerto, Alfredo Duarte andò a complimentarsi con lui e, abbracciandolo affettuosamente, gli annunciò: "Da questo momento in poi, caro Ugo, sei nostro prigioniero!".
Infatti, il soggiorno portoghese di Calise si prolungò più del previsto, ed il nostro "chansonnier" partecipò anche ad un importante programma televisivo locale, condotto proprio da Duarte.
Nel corso della sua permanenza in Portogallo, si esibì, a Cascais, per l'ex re in esilio Umberto II di Savoia.
Sempre negli anni '60, grazie ad un importante impresario americano che aveva avuto occasione di ascoltarlo al
Rangio Fellone, fu invitato negli Stati Uniti ad incidere per la prestigiosa etichetta
Angel - nella collana
Songs for Latin Lovers
- insieme ai più grandi artisti europei del momento. Lo stesso impresario gli organizzò una serie di concerti negli States ed in Canada.
Partecipò, inoltre, a diversi programmi televisivi locali come il celebre
Perry Como Show in cui lo stesso Perry Como interpretò la splendida
È Lei
(To You nella versione inglese con testo di Ray Charles).
Ugo mi raccontò nei dettagli l'incontro con il grande Perry, avvenuto, precedentemente, nella sua casa di Via Filippo Nicolai in Roma, alla presenza dell'arrangiatore e direttore d'orchestra Nick
Perito.
Il celebre crooner americano si trovava in Italia per scegliere i brani del suo prossimo disco che avrebbe contenuto alcune tra le più belle e rappresentative canzoni italiane di tutti i tempi (Perry Como In Italy,
del 1964). Aveva già pensato alle mitiche Maria, Mari' ed a 'O Marenariello, alla deliziosa Souvenir d'Italie di Lelio Luttazzi, al tema del film La Strada di Nino Rota, ad Anema E Core e ad Un Giorno Dopo L'Altro del geniale Luigi Tenco; cercava, però, anche un pezzo inedito, una canzone che si adattasse perfettamente al suo stile vocale.
Ugo gli fece ascoltare, "voce e chitarra", alcuni brani cui stava lavorando in quel periodo ed appena intonò il motivo di È Lei, Perry Como saltò letteralmente dalla poltrona esclamando: "Ecco la mia canzone!".
In quegli anni Calise scrisse pezzi anche per altri artisti americani, tra cui Lola Falana, e molti interpreti ed orchestre dell'epoca incisero i suoi brani di maggiore successo: l'arrangiatore e direttore d'orchestra Enoch Light, il gruppo vocale The Ray Charles Singers, la cantante Tony Arden, Don Marino Barreto Junior, i nostri Fausto Papetti, Nino Manfredi, Marino Marini, Nicola Arigliano, Bruno Martino, Peppino Gagliardi, Paola Neri, Roberto Murolo, Fausto Cigliano e Teddy Reno.
A Mosca partecipò ad alcuni spettacoli con Armando Romeo e Tito Schipa e pare essere stato il primo artista italiano ad apparire, in una "performance" napoletana, alla televisione russa. Si esibì, in privato anche per Federica di Grecia, per la Regina d'Olanda e per la First Lady Jacqueline Kennedy; ciò gli procurò la definizione di "cantante che piace alle regine".
Nell'ambiente jazzistico internazionale cominciò ad essere noto anche come "Calais", pronuncia storpiata, all'americana, del suo cognome italiano.
Amici di "Calais" furono il pianista Teddy Wilson,che nel 1974 inciderà un pregevole disco di solo piano - giudicato miglior disco dell'anno dalla rivista tedesca Jazz Freund - con pezzi di Gershwin, Ellington e Calise (Horo
- n. 12 di "Jazz a Confronto"), il batterista Kenny Clarke che registrò - con Cicci Santucci alla tromba - il brano
I'm Louis Armstrong, il trombettista Dizzy Gillespie e, soprattutto,
Chet Baker - conosciuto tramite l'amico Pepito Pignatelli, batterista e proprietario del Music In di Roma - che, dopo aver ascoltato il 33 giri
Ugo Plays Calise
(Fly's Record 1979), manifestò il desiderio di incidere anch'egli un disco di canzoni di Calise, magari cantandone qualcuna in dialetto napoletano!
Purtroppo Chet morì tragicamente alcuni mesi dopo, nel 1988, senza riuscire a realizzare il progetto...
L'attività del Calise compositore crebbe ulteriormente a cavallo tra la fine degli anni '60 ed i primi anni '70, forse a compensare il suo diminuito impegno come interprete, dopo l'avvento della musica "beat".
Ugo detestava i Beatles non tanto perché ne disprezzasse la produzione musicale, ma in quanto li considerava il simbolo del mutamento dei costumi (la musica Rock - con il suono dell'amata chitarra orribilmente "distorto", i capelli lunghi, gli atteggiamenti androgini, il cantare in falsetto, i jeans - una cosa che contestava pure a me! -) e, quindi, in un certo senso, i responsabili del suo declino artistico.
Scrisse colonne sonore per alcune serie televisive (Sette Mari
del 1969 di Bruno Vailati, La Nuova
Enciclopedia del Mare), per un film (le due canzoni di
Pane E Cioccolata di Franco Brusati con Nino Manfredi) e collaborò con Michele Galdieri a diversi spettacoli radiofonici.
Di grandissimo valore artistico sono le sue
Musiche di terra e di mare
(pezzi di vario genere ed ambientazione, ad uso della R.A.I), raccolte in tre long playing degli anni 1973-'74 editi dalla C.A.M., in cui Calise mostra una straordinaria capacità di abbinare i suoni alle immagini; tra i vari brani, dietro titoli bizzarri, figurano anche dei "blues" (Preferisce
l'aragosta?,
Squalo's Blues,
Ti conviene dartela a gambe), degli "swing" (Spostati
in là!,
Buon giorno Mr. Benny!,
Irrangiungibile) e degli "slow" (Vita
grama di un granchio,
Tante cose come
noi) di pregevole fattura.
Ugo mi confessava l'entusiasmo con cui gli orchestrali della C.A.M. accoglievano la notizia di dover incidere per lui, perché sapevano che, quasi sempre, si trattava di suonare jazz...
Cultore dei grandi "song writer" statunitensi (Porter, Kern, Berlin, Gershwin), Calise aveva la capacità di fondere la tradizione melodica partenopea, rivisitata in chiave intimistica (da perfetto "crooner"), con gli stilemi ritmici, armonici ed improvvisativi della musica jazz.
Il suo massimo contributo alla musica americana si concretizzerà nel già citato 33 giri
Ugo Plays Calise
(Fly's Record, 1979) tutto basato su sue composizioni, da lui cantato e suonato con il sostegno di una jazz-band diretta da Cicci Santucci, autore anche degli arrangiamenti.
Nel 1981 incise in proprio, su 45 giri,
Ischia, ammore mio!
(lato B: Sto cercanno nu
mutivo), un omaggio alla sua isola che non ebbe, da parte degli amministratori e politici locali, l'accoglienza sperata.
Nel 1982, lo ricordo bene perché ero tra il pubblico dei giovani, Calise fu tra i promotori ed il presentatore del festival
Ischia Jazz 1982 che portò sull'isola artisti del calibro di Barney Kessel, Herb Ellis, Charlie Byrd, Dave Brubeck, Art Blakey, Johnny Griffin, George Adams, Don Pullen, Cedar Walton, oltre ai nostri Mussolini, Santucci, ed al giovane Eddy Palermo.
Negli anni '80 ha realizzato, con la collaborazione del fedele Santucci e della solita pregevole band di jazzisti, un'antologia della canzone napoletana in 10 l.p.,
Canzoniere Napoletano
(1983 Lupus), oggi introvabile; essa includeva, tra "pot pourri" vari e brani singoli, oltre 160 canzoni, dal remoto
Canto delle lavandaie del vomero
del 1200 fino ad alcune delle sue ultime composizioni (Nisciuno
po sape'
e
Napule mò).
Del 1993 sono il suo ultimo lavoro discografico - il c.d.
La mia Napoli
(ed. Erreffe) contenente, oltre ad alcuni dei suoi "classici", anche tre sue nuove composizioni (tra cui
Sera d'ammore) - e l'incontro con il sottoscritto - avvenuto nel mese di Settembre nella deliziosa
Pensione Panoramica di Ischia Ponte, auspice il professore Ciro Marzio, nipote di Ugo e mio coinquilino per quattro anni nel quartiere Sanità di Napoli.
Il maestro Calise sedeva a capotavola con alcuni parenti ed aveva appena finito di desinare.
Indossava abiti firmati ed ostentava una classe d'altri tempi, sembrava un personaggio di F.S.Fitzgerald...
Inizialmente non mi fece un'impressione molto positiva, anche perché, tra il serio ed il faceto, parlava di sé in terza persona e con un'immodestia a tratti eccessiva, ma dovetti ricredermi quando sfoderò la sua chitarra: cantava in napoletano con uno strano timbro da "bluesman", accompagnandosi - in contrappunto alla voce - con accordi e passaggi melodici ben ricercati, di chiara impronta jazzistica.
Scoprivo uno straordinario interprete della canzone napoletana - praticamente sconosciuto ai musicisti della mia generazione ed al pubblico di oggi - che, fin dagli anni
'50, aveva iniziato un processo di ammodernamento ed arricchimento del linguaggio armonico ed interpretativo della nostra tradizione, rompendo la monotonia dell'accompagnamento chitarristico "classico", basato sull'alternanza dei gradi principali con accordi fondamentali in posizione "standard", a favore di un gioco armonico e contrappuntistico più vario ed incisivo.
Grandissima fu, poi, la mia sorpresa quando scoprii che Ugo non era solo un originale interprete ma anche, e soprattutto, un geniale compositore e autore letterario, artefice di decine e decine di pezzi d'ogni genere: canzoni in italiano, napoletano e romanesco, blues, swing, slow, bossa nova, samba, calipso, valzer, composizioni per chitarra e finanche di un piccolo concerto per chitarra e orchestra in tre movimenti,
Un napoletano a Siviglia, la cui orchestrazione - affidata prima a Santucci e poi a me - non fu, però, mai completata.
Il nostro rapporto di collaborazione sfociò presto in una profonda amicizia ed il baricentro dei miei interessi musicali, già spostato sugli anni '60, slittò ulteriormente indietro...
Spesso ero ospite in casa sua a Roma dove mi commissionava la trascrizione o l'arrangiamento per chitarra di qualche sua composizione e si trascorreva il tempo libero leggendo, discutendo di musica o di belle donne ed ascoltando i preziosi dischi della sua collezione.
Amava anche i grandi compositori brasiliani, soprattutto Ary Barroso, A. C. Jobim e Dorival Caymmi; di quest'ultimo adorava
A lenda do abaeté, una vecchia canzone baiana che gli ricordava la sua tenera amicizia giovanile con la sfortunata attrice Maria Montez e che, sovente, mi chiedeva di suonargli.
Al pranzo provvedeva, con deliziosi manicaretti, una bravissima cuoca romana; la sera quasi sempre ci recavamo fuori in qualche ristorante a mangiar pesce o in un jazz-club ad ascoltare "dal vivo" qualche collega.
Nelle più calde mattinate primaverili del '94, spesso andavamo a Fregene, soprattutto sulla spiaggia di
Gilda, dove mi raccontava di mitiche sfide a Beach-volley (si dice che l'abbia importata lui stesso su quei lidi) con celebri personaggi del mondo dello spettacolo e di straordinarie avventure galanti...
Ugo era sovente assalito dai ricordi e dalla tristezza: tranne qualche vecchio amico e pochi parenti, quasi tutti, ormai, lo avevano dimenticato.
Non scorderò mai l'ultima settimana di Luglio del '94 trascorsa in sua compagnia ad Ischia (ormai lo seguivo dappertutto, con l'affetto di un figlio e la devozione di un discepolo) con le sue ultime toccanti esibizioni per pochi intimi e le serate da
Dai Tu! - un suggestivo ristorante sul mare di Ischia Porto - discorrendo con il proprietario Aniello Di
Scala (mitica controfigura di Burt Lancaster nel film
Il Corsaro dell'Isola Verde e vecchio compagno di scorribande giovanili ritrovato dopo oltre trent'anni), la sua ostinazione nel non voler più rivedere il
Rangio Fellone ormai ridotto un vecchio rudere abbandonato...
La nostra amicizia e collaborazione durarono ininterrotte per circa sette mesi, fino a pochi istanti prima della sua scomparsa, il 6 Agosto del 1994. Quel tragico Sabato eravamo a Roma, una settimana dopo il suo ritorno da Ischia, ed Ugo si era recato di primo mattino in clinica per una visita di controllo; il suo cuore, già provato da un precedente infarto, era molto debole. La sera prima aveva ricevuto la telefonata dei parenti in vacanza ad Oratino che gli confermava la disponibilità ad ospitarlo da loro per qualche giorno; era ancora indeciso, però, se partire oppure no.
Il test di controllo aveva dato esito negativo, ma era una giornata di grande caldo ed umidità (ricordo che alle 12 in casa, all'ombra, il termometro segnava 34°) ed io, sebbene desiderassi tornarmene ad Ischia per un bagno, gli sconsigliai vivamente di metterci in movimento; Ugo (che forse sentiva la sua fine vicina) scherzando come il solito, mi rispose che se non fosse partito subito, se ne sarebbe "salito" lì, a Roma.
Pertanto, dopo aver verificato telefonicamente l'impossibilità di tornarsene ad Ischia per mancanza di posto, decise di spostarsi ad Oratino.
Era già quasi mezzogiorno ed il treno per Campobasso sarebbe partito, se non ricordo male, intorno alle 13 dalla stazione di Termini; bisognava preparare in fretta il bagaglio, prendere un taxi, comprare il biglietto in stazione: una follia, insomma - con quel caldo soffocante ed il poco tempo a disposizione - ma Ugo non voleva sentire ragioni, doveva partire a tutti i costi...
Ignoravo quanto fosse difficile aiutare il maestro Ugo Calise a preparare le valigie!
Per pochi giorni fuori casa, anche se ospite in casa di parenti, il suo concetto di bagaglio necessario era, a dir poco, stravagante: una dozzina di paia di scarpe per tutte le occasioni, altrettanti pantaloni, quasi il doppio di camicie, 5 o 6 giacche, una ventina di cravatte; per non parlare, poi, degli accessori da toilette: due o tre bombolette diverse di schiuma da barba, rasoi, saponi e deodoranti di varie marche ed anche una bottiglia (non una boccetta, proprio una bottiglia) di dopobarba in formato classico da barbiere, quella con la "pompetta nebulizzatrice" - accessorio essenziale che in quel momento risultava introvabile! -.
Ciò che di superfluo io riuscivo a sfilargli da una valigia, Ugo lo infilava di nascosto in un'altra...
Alla fine, stremato, gli concessi di portarsi dietro almeno la bottiglia del dopobarba che trovò posto - alta com'era - nel beautycase semi-aperto, dritta e chiusa con un tappo di fortuna (la stessa bottiglia che, tristemente, avrei ritrovato il giorno dopo, rovesciata e priva del suo contenuto, accanto al resto del suo bagaglio nell'obitorio di Frosinone!).
Prese, come sempre, anche il
suo inseparabile registratore da tavolo ma con un'unica cassetta: quella
contenente le bozze dei miei primi arrangiamenti dei suoi pezzi per il disco che presto avremmo realizzato insieme...
Il taxi ci condusse rapidamente in stazione dove, dopo aver comprato i biglietti, carichi di valigie e di borse, riuscimmo a raggiungere, trafelati ma in tempo, il fatidico binario 17.
Per un disguido che in quel frangente non feci in tempo ad appurare, su quel binario, purtroppo, non era in partenza il treno per Campobasso. Saliti sulla più vicina carrozza di prima classe, feci accomodare Ugo - che dava segni evidenti di stress - sistemandogli alla meglio il bagaglio; mi sembrò strano, però, trovarla completamente vuota (mi avrebbe rassicurato la presenza di almeno un altro viaggiatore che potesse essergli di aiuto in caso di necessità).
Dopo aver salutato il maestro, corsi via perché pure il mio treno, quello per Napoli, sarebbe partito di lì a qualche minuto e rischiavo, a mia volta, di perderlo.
Ugo non sarebbe mai giunto a destinazione.
Una telefonata del nipote Mauro verso le cinque del pomeriggio mi chiedeva spiegazioni del perché lo zio non fosse sul treno per Campobasso; conoscendo le bizzarrie di "Calais", pensai o ad un suo ripensamento durante il viaggio o ad uno scherzo. Purtroppo le ricerche della polizia ferroviaria lo identificarono nell'anziano signore rinvenuto morto, nel pomeriggio, sul treno per Frosinone.
Non vi dico il mio cruccio al pensiero che se avessi insistito di più a non farlo partire quella torrida mattina di Agosto forse non avrebbe avuto l'attacco fatale o che, se fossi stato accanto a lui sul treno, forse avrei potuto salvarlo chiamando soccorso.
La salute cagionevole, il caldo torrido ed una sorte bizzarra avevano deciso che Ugo Calise, musicista eccelso, brillante personalità, maestro di vita e mio grande amico, morisse da solo, sul treno sbagliato, lontano sia dalla sua Oratino che dall'amata Ischia...
Napoli, 18 Giugno 2003 Stefano Russo
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Data pubblicazione: 04/10/2003
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