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Intervista ai MANHATTAN TRANSFER
Bari, 28 febbraio 2003
di Marco Losavio e Cinzia Eramo
trascrizione di Sallie Bacon Lupis e Fulvio Ferrari
traduzione a cura di Eva Simontacchi

Tim Hauser  Cheryl Bentyne  Alan Paul  Janis Siegel

Incontriamo i Manhattan Transfer nei camerini del TeatroTeam di Bari e la sensazione di trovarsi dinanzi a quattro pilastri della storia dei gruppi vocali è immediata. Mentre Janis Siegel è ancora impegnata con il sound check iniziamo la nostra chiaccherata cercando di non perdere il filo data la difficoltà che in genere si incontra quando più americani iniziano a parlare tra di loro.

Recensione del concerto

The Manhattan Transfer un esempio di amore vero per la musica. Un concerto memorabile di quello che è il gruppo vocale più famoso della storia della musica. (Marco Losavio)

Ringraziamo il TeatroTeam per l'ospitalità e Malena Olsson, produttrice, per la sua cordialità e per aver organizzato l'incontro tra Jazzitalia e i Manhattan Transfer.

JI:
Secondo voi, essere cantante oggi è una professione o una missione?
TH: Quando inizi, penso che se tu hai un'idea di ciò che vorresti fare, per poterla realizzare deve essere una missione, ma una volta che l'hai concretizzata, e che continui a farla, diventa una professione in quanto hai già creato e concretizzato l'idea, e dunque ogni volta che la ripeti stai ripetendo ciò che hai già realizzato, dunque diventa una professione, o è un insieme di entrambe le cose, credo. Almeno, penso sia così.

JI: In questi anni, avete raggiunto i vostri obbiettivi o non ancora?
CB: Sai, si continua a lavorarci sopra, e si continua a sperimentare cose nuove….Ci sono talmente tanti brani che abbiamo ancora il desiderio di cantare, e c'è talmente tanta musica in circolazione.

JI: Avete cantato tutto….
CB: Oh, no! Abbiamo cantato molto, ma c'è ancora tanto da cantare!
AP: Sai, penso che sorgano degli obbiettivi, delle mete. Noi lavoriamo nella loro direzione, le raggiungiamo, e poi ne subentrano di nuove. Ci si rinnova costantemente, dunque ci sono obbiettivi che abbiamo raggiunto e poi ci sono quelli nuovi.

Capital Jazz Fest, Nissan Pavilion, Virginia, June 1997. JI: Nel vostro ultimo CD dedicato a Louis Armstrong, è possibile sentire il sound di New Orleans. Ma se si presta attenzione agli arrangiamenti, si sentono parecchi elementi moderni. Come avete preparato questo progetto?
TH: Bé, è un misto del contributo e dell'influenza del nostro produttore, Craig Street, lui ha pensato agli strumenti. Aveva un'idea strumentale molto chiara riguardo questo progetto. Dunque c'era questo elemento. E poi c'è stato il nostro apporto personale per quanto riguarda gli arrangiamenti vocali e le canzoni. Dunque non penso che stessimo tentando di reinterpretare o ricreare o modernizzare il sound di New Orleans. Non penso di essere nemmeno arrivati vicino a farlo. Ciò che avevamo realmente in mente era semplicemente di celebrare Louis Armstrong. Dunque, in realtà, secondo me, abbiamo semplicemente scelto dei brani da lui eseguiti che a noi piacevano particolarmente. Non abbiamo tentato di interpretarli alla maniera di New Orleans o di Chicago…. Quello sarebbe stato come evocare un periodo, e noi non avevamo in mente quello. Stavamo solo eseguendo i brani che ci piacevano, dunque in realtà si tratta solamente di una nostra interpretazione.

JI: Pensate che una canzone mediocre possa essere "salvata" da un buon arrangiamento? Qualunque cosa voi cantiate diventa oro….
CB: Io penso che il nostro obbiettivo sia quello di cercare una grande musica, e hai ragione, c'è molto di più alle nostre spalle di quanto ci sia davanti a noi, temo. (Ride) Ma questa è solo la mia opinione. Io non penso che si possa salvare una canzone mediocre con un buon arrangiamento. Noi non possiamo farlo. Non ci proveremmo nemmeno.
AP: Bé, diventerebbe una canzone mediocre ben arrangiata.
CB: Si, una canzone mediocre. Che vende milioni e milioni di copie. (ride)
AP: Se c'è una mela marcia nel cesto, allora tutto il cesto marcirà.

JI: Siete maestri nel vocalese, la tecnica introdotta da Jon Hendricks. C'è un percorso di studio che potreste consigliare per divenire esperti in questa tecnica?
AP: Penso che se ci sono cantanti che desiderano introdursi al vocalese, la chiave sia quella di rivolgersi innanzitutto allo strumentale. Bisogna ascoltare gli strumentisti, perché sono quelli che costruiscono le fondamenta per il vocalese. E il lavoro del vocalist che si cimenta nel vocalese è quello di interpretare le emozioni di ciò che sta dicendo il brano strumentale. Jon Hendricks, che noi consideriamo il nostro padre spirituale per quanto riguarda questo tipo di musica, mentre lavoravamo con lui sul nostro album "Vocalese" ci diceva: "I testi sono superflui, i testi non sono importanti. Sapete, io scrivo una storia, e se la gente vuole conoscere ciò che ho scritto, allora basta che osservino lo spartito e la possono leggere, ma la cosa più importante è che quando voi la cantate, voi vi sentiate come si sente il musicista che la esegue…."

JI: Pensate a uno strumento in particolare? (rivolto verso Cheryl) Io so che tu pensi a un clarinetto.
CB: Non sempre. Non sempre. Ma fa parte del mio bagaglio, perché mio padre suonava il clarinetto.
AP: A quale strumento penso? Bé, penso di propendere maggiormente per il sassofono. Penso che sia io, sia Tim ci avviciniamo maggiormente a dei sax tenori, o a dei tromboni in quanto a estensione. La mia vibrazione invece, è quella di un violoncello. Amo il violoncello, e a me pare di vibrare con tutto il mio essere quando ascolto il suono di un violoncello.

JI: Cosa ne pensate della tecnica Voicecraft?
CB: E' importante sapere come cantare, sai dopo tutti questi anni passati a cantare, a viaggiare, spettacolo dopo spettacolo, ogni sera tutti noi facciamo degli esercizi di riscaldamento vocale. Ogni notte, perché sai abbiamo tutti questi piccoli muscoli da riscaldare. Come quando vai in palestra e fai riscaldamento e un po' di stretching prima di sollevare un peso… E' facile per me cadere in qualche cattiva abitudine quando sono stanca; per esempio mi dimentico di respirare, so che sembra sciocco, ma ci si dimentica di respirare quando si è stanchi, per cui si rischia di non cantare come si vorrebbe. Penso, comunque, che la stanchezza sia il nostro maggior problema, in quanto cantanti che viaggiano, per cui c'è bisogno di tanto riscaldamento, di dormire abbastanza, e di continuare a prendere lezioni vocali…

JI: Pensate che il canto jazz si sia evoluto oppure che si sia cristallizzato in un certo periodo?
TH: Io non penso che si sia evoluto. Io penso che qualunque cosa sia, sia rimasta la stessa per lungo tempo per molti motivi. Noi viviamo in tempi diversi. I cantanti che uscivano da questi clubs negli anni '20, '30, '40 e nei primi anni '50 avevano uno stile di vita che noi non abbiamo oggigiorno; quella è stata una razza di cantanti diversi, fortunatamente o sfortunatamente. E oggi, almeno in America, c'è un sacco di quello che viene chiamato "Smooth Jazz", che non è realmente jazz. E per quanto mi riguarda, trovo un sacco di cantanti che stanno lavorando al di fuori di quella diretta tradizione jazzistica. E' solo la mia opinione, ma sono troppo concentrati sulla tecnica, e sono molto coscienti di sé, e non trasmettono le sensazioni trasmesse dalla vita come facevano i cantanti che tentano di emulare. Dato che sono troppo concentrati nell'emulazione si dimenticano da dove provenivano quelle persone, e lo trovo particolarmente vero nelle cantanti di sesso femminile.
CB: Attento!
TH: No, no, sono più autocoscienti in questo. E penso che questo sia dovuto al fatto che sono numericamente superiori. Fortunatamente non ci sono abbastanza cantanti di sesso maschile che lo fanno.
CB: Scherzi a parte, non ce ne sono?
TH: Non ce ne sono. Ma ecco perché la penso in questo modo… Scorgo troppa coscienza di sé, piuttosto che la spontaneità di mettersi lì e cantare. E' tutto molto studiato adesso… Il jazz esce dalle aule scolastiche (CB mostra disaccordo) e non dai bar, e io non ….
CB: Non sei d'accordo sul fatto che noi facciamo parte di una generazione...(TH: ti intimorisce?) Tutti i nostri cantanti se ne sono andati, sono tutti morti, a parte Tony Bennett (TH: altri tempi)… E i cantanti nuovi sono ancora troppo inesperti, e hanno iniziato a ricevere troppo e troppo presto in termini di elogi e parole. Sono troppo giovani, e non c'è niente nel mezzo per ora. E' una cosa molto triste, penso. Io sto ancora ascoltando quelli che sono morti 5,10, 20, 30 anni fa, e nessuno riceve molto ora.
AP: Sì, e io penso che un altro aspetto di questa faccenda sia che non c'è realmente un supporto concreto che permetta alla nuova musica di evolvere. Penso che un sacco di stazioni jazz al giorno d'oggi si dividano in due: o hai il be-bop e si fermano al be-bop, o hai il cool jazz, come diceva anche Tim…. E quelli sono i mondi; e qualsiasi cosa nuova, voglio dire, quando pensi al jazz, il jazz era innovazione. Era qualcosa di nuovo, idee fresche, e ora le stazioni radiofoniche e le compagnie discografiche non stanno sostenendo gli artisti dicendo "Vai avanti e sviluppa le tue idee, vai avanti, esplora e presentati con qualcosa di nuovo!", perché quando lo fanno, poi si tirano indietro. Vogliono solo sentire le cose che già conoscono, e il campo si restringe sempre più.

JI: Io penso che essere artisti comporti dei rischi in ogni nuovo progetto….
AP: Bé, non basta dire "Bene!"…. Sfortunatamente è anche un business. Non è sufficiente essere artisti. Devi avere una certa sensibilità e capacità nel condurre gli affari, altrimenti non ce la puoi fare, non ce la faremmo, sai… Ci sono talmente tanti artisti talentuosi, e le loro carriere non procedono per due motivi: o non sono in grado di portare avanti un business e non sanno promuoversi, oppure non accettano compromessi con la loro arte, cosa che noi rispettiamo. In realtà se vuoi avere un contratto discografico, devi finire con il fare quello che loro vogliono che tu faccia, che non è necessariamente ciò che senti. Dunque c'è un sacco di musica sterile là fuori. Un sacco di musica pop è sterile.

JI: Che tipo di musica ascoltate?
TH: Io ascolto un sacco di generi musicali diversi. Dipende da come mi sento in quel particolare momento della giornata...mmhh...sto cercando di pensare cosa ho ascoltato ultimamente… Ho ascoltato Billie Holiday a casa, e della musica blue-grass, e ho ascoltato la musica che ascoltano i miei figli. Mio figlio ascolta musica progressiva. Io ascolto molte cose diverse. In generale, ascolto per la maggiore musica R&B, Jazz o musica country, ma non il country commerciale… ascolto un country molto funky, e queste sono le cose che mi piace ascoltare. Io non ascolto molta musica classica, e non ascolto molta world music, e nemmeno il genere latin…. Un po', ma non molto.

JI: Ti interessa l'Hip-Hop?
TH: No, non mi interessa… Non mi interessa il rap perché non provengo da quella cultura. Non ho alcun legame con quel tipo di musica, e non è il mio genere. E nemmeno i miei figli si interessano al rap. Mio figlio è nella musica alternativa. Ascolta i Beatles e i Pink Floyd, e ad alcuni nuovi gruppi, alcuni sono proprio fuori, sai, tipo i "Guhara" (CB: I Guhara?) Sì, i Guhara, che fanno un genere di musica che è una via di mezzo tra i "Mothers of Invention" e i "Cock Heads", è veramente "out" … e i Guhara sono veramente interessanti. Inoltre ascolta anche lo Ska Giamaicano…

JI: E tu?
CB: Oh! Mio Dio!..A casa c'è molta latin music, perché mio marito adora quel genere. Dunque ascolta sempre musica latin… In auto a volte si dimentica di guidare perché fa sempre così col volante... "Guida la macchina!" ...Non può ascoltare la musica e guidare! Non può! Specialmente se si tratta della musica che ama. E io ascolto… è buffo, ma ascolto una stazione radiofonica spagnola in auto, e normalmente mi piace ascoltarla in L.A., ma poi la cerco anche a Boston. E che altro…. Duke Ellington, l'ho ascoltato molto di recente. Solo Duke Ellington primi tempi…non so perché. E ascolto sempre Miles Davis … c'è stato di recente uno special su "Bravo" sulla storia di Miles Davis. Sono affascinata dalla provenienza del suo sound e delle sue note. Mi ci relaziono in qualche modo.. Voglio dire, non sono una "jazzer" profonda, non pratico molto lo scat, ma quando lo ascolto c'è qualcosa che risuona profondamente in me, qualcosa che mi tocca nel profondo. Ogni singola nota suonata da quest'uomo mi fa (ndr. mostra un'espressione di serenità) … dunque lo ascolto molto. Poi ascolto... Norah Jones (ndr: sorride ... sorniona; il giorno prima N.J. ha vinto 8 Grammy Awards). Patricia Barber, l'ho ascoltata di recente, molto interessante. L'ho vista di recente a Boston, una cantante molto interessante ... e sai, poi ascolto strana musica di tutti i tipi! Come tutti noi! Non c'è uno stile particolare di musica che ascoltiamo di continuo ...

JI: Dunque quando siete tutti assieme nella stessa auto è un problema scegliere la musica da ascoltare….
CB: In effetti quando siamo in auto assieme, non ascoltiamo nemmeno la musica. La radio resta spenta...
AP: Solitamente è il guidatore che sceglie la musica, ma gli diciamo "Ti spiace spegnere la musica? Grazie!" perché normalmente dopo uno spettacolo le nostre orecchie fischiano, quindi diciamo "Abbiamo bisogno di silenzio!", Vogliamo sentire il suono del silenzio.

JI: C'è qualcuno a cui dobbiate qualcosa, qualcuno che sia stato importante per la vostra carriera, per la vostra vita, il vostro successo….
AP: Ognuno di noi ha mentori diversi, mentori musicali, mentori personali… sai…
TH: Ahmet Ertegun ... Il fondatore della Atlantic Records.
AP: Certo, voglio dire, è stato molto importante nella nostra carriera quando abbiamo firmato il primo contratto. Il nostro primo contratto è stato stilato con la Atlantic, e Ahmet Ertegun, che era il co-fondatore della Atlantic ci ha ingaggiati. Ma per quanto mi riguarda, tutte le influenze che ho avuto, musicalmente parlando, da cantanti, da gente che ho ascoltato, e che mi hanno ispirato. Tutti noi veniamo in qualche modo ispirati…. Per me Frank Sinatra, Ella Fitzgerald, Tony Bennett, Franky Lyman, Jackie Wilson, tutti provenienti da collocazioni diverse. Poi c'è la musica classica, scrittori classici, musica impressionista, Stravinsky ... è così ampia la scelta. Il punto è questo: io penso ai Manhattan Transfer e uno dei motivi per cui siamo stati in grado di mantenere una carriera così duratura è che siamo tutti quanti eclettici, e dunque i nostri gusti musicali sono molto ampi; abbiamo stabilito le nostre carriere in modo tale da permettere a noi stessi una flessibilità che ci permetta di muoverci, di spostarci. Sai, ci sono dei gruppi che, ad esempio, fanno una cosa, e quello è tutto ciò che fanno. Magari ascoltano anche altra musica, ma ciò che fanno loro si limita a una cosa ed è quella. Ma noi siamo sempre stati molto aperti, e abbiamo spaziato: facciamo del jazz, ma anche del R&B, del vocal, voicing armonico moderno, ballads, vari tipi di musica brasiliana, abbiamo fatto molte cose diverse, dunque la nostra scelta è ampia.

JI: (Janis Siegel è appena tornata dal sound check) ... Una domanda per Janis: Hai svolto varie collaborazioni all'esterno di questo gruppo. E' importante per te scoprire l'altro lato di te stessa?
JS: Sì, lo penso. Penso che sia importante. Per me è importante perché trovo altri modi di lavorare. Quando collabori con persone che lavorano in un modo diverso dal tuo impari molto, e sei in grado di riportare l'esperienza all'interno del tuo gruppo. Di conseguenza il gruppo ne riceve l'influenza, se tutto va bene, e se tutti lo fanno, allora c'è un continuo afflusso di nuove influenze.

JI: Cosa volete dirci riguardo i vostri progetti futuri?
JS: Faremo un nuovo album di Natale ...
AP: Io ho appena ultimato il mio CD come solista, dunque uscirà presto…
JS: Io ne ho uno che uscirà in aprile, con etichetta TELARC (Friday Night Special)
CB: A mio nome ne è uscito uno per un'etichetta giapponese (Talk of the town)… e uno uscirà anche qui.

JI: Guardandovi indietro, c'è una cosa che vorreste dimenticare, e una che vale la pena di ricordare per il resto della vostra vita….?
TH: ...io non saprei rispondere.
AP: Penso – dal punto di vista del gruppo – che abbiamo fatto del bene, che abbiamo fatto la differenza, che siamo stati in grado di contribuire, con qualcosa di valido, che abbiamo comunicato gioia alla gente con la nostra musica.
CB: Sì! Niente rimpianti!

JI: Se foste Ministri della Musica, tre cose che vorreste fare per il jazz…
JS: Io creerei un Programma Educazione Jazz nelle scuole.
TH: Stavo pensando la stessa cosa, sì! Che magari un giorno o l'altro avremo un Presidente "hip", uomo o donna, non importa, che organizzerà regolarmente spettacoli musicali alla Casa Bianca, all'esterno o sul prato, spaziando per ogni diverso segmento musicale americano, rappresentando in questo modo ciò che stanno facendo, in contrapposizione alla roba che danno in radio. Le cose giuste, tipo "Sono stato a questo famoso ...". Non accadrà mai! E' una grossa fantasia.
CB: Io alimenterei il mondo a viva forza di musica jazz, metterei in onda più stazioni radio jazz, e organizzerei un grandioso Jazz Grammy show, separandolo dalla musica pop; voglio dire, è completamente finito ….
TH: O le nominations, prendi ogni grande artista jazz senza contratto, li leghi alla Atlantic Records, dai loro degli enormi acconti e affondi l'etichetta...
JS: Come il Titanic! (ndr. modo ironico per dire che in realtà le major non rischiano sui giovani )


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Data pubblicazione: 19/04/2003





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