Intervista a Johnny Dorelli
di
Matteo Brancaleoni
www.matteobrancaleoni.com
Incontrare una celebrità è sempre un po' un'emozione, anche per chi fa, come me, il mestiere del giornalista, che dovrebbe essere un po' più abituato. Ma
Johnny Dorelli è molto più che una "celebrità". Per me personalmente è il mio primo "mito", una voce: quella voce che mi ha accompagnato nella mia giovane vita. Da "Lettera a Pinocchio" che mi cullava da piccolo, a "Per chi", "Love Story" o "Mamy Blue" che ascoltavo nei momenti tristi e nei miei primi dolori d'amore, ad "Aggiungi un posto a tavola" che mio padre mi cantava sovente, fino a "No non m'innamoro più".
Per poi chi come me il cantante sogna di farlo di professione, quante volte ho ascoltato l' "Immensità" oppure "People" o la bellissima registrazione della canzone di Tenco "Mi sono innamorato di Te", cercando di carpire il segreto di una voce-carezza così unica, così avvolgente.
Appuntamento con Giorgio Guidi, in arte Johnny Dorelli per commentare l'uscita del suo nuovo disco "Swingin" edito da Carosello records. Dorelli arriva con l'eleganza di sempre e con quel suo stile unico fra la riservatezza e la simpatica complicità.
Un abbraccio sincero e la foto di rito...
Inizia così la breve ma piacevole chiacchierata con uno dei Signori della canzone italiana.
M.B.:
Allora cosa significa ritornare sulle scene musicale dopo 15 anni di assenza, nel cinquantesimo anniversario del suo ritorno in Italia, e farlo con questo repertorio a lei molto caro?
J.D.:
E' un'esperienza nuova per me. Dal tipo di CD al modo in cui è stato fatto. E' il primo
CD che faccio. L'ultimo del 1990 era una raccolta delle mie canzoni più famose. L'ultima incisione che ho fatto era su vinile, il che non significa tantissimi anni fa, ma indubbiamente i tempi sono cambiati e la tecnologia è andata avanti più velocemente. Poi dal modo in cui è stato fatto. Con questa grande orchestra diretta da
Gianni Ferrio. Poi cantare con 51 elementi a tua disposizione richiede una certa
responsabilità ed attenzione. Non è come cantare con un trio. Cambia l'emissione
in certi momenti, cambiano tante cose. Cambia l'attenzione dato che è quindici
anni che manco. Ringrazio chi ha avuto fiducia in me e che ha sponsorizzato il
disco con questo repertorio perché non è facile.
M.B.:
Lei si definisce spesso "un milanese di New York" perché?
J.D.: Io sono stato a New York per dieci anni, ma sono nato a Milano sono tornato nel '55 dopo essere andato via durante la guerra. Ma è indubbio che mi senta italiano e milanese. Sono di Milano e qui ho la mia vita e i miei affetti...ed anche i ricordi più belli.
M.B.: Quali cantanti l'hanno influenzata di più dall'inizio della sua carriera ad oggi, ed io oserei fare un nome fra tutti,
Mel Tormè, per la delicatezza che ha la sua voce, sbaglio?
J.D.: Bravo, hai ragione, l'ho ascoltato molto quand'ero giovane proprio dal vivo. Perché lui era un batterista e arrangiatore e suonava la batteria e cantava. Ed era il batterista di Ella Fitzgerald, suonava la batteria nell'orchestra e poi scendeva e cantava anche. Per esempio al
Paramount l'ho visto così. Indubbiamente mi ha influenzato, è vero, sai che non me l'aveva fatto notare nessuno...E' vero non me ne sono accorto, nei primi tempi e specialmente trenta quarant'anni fa, ancora di più. Era un grande.
M.B.:
E che ricordo ha di Sinatra?
J.D.: Lo presentai al Manzoni alla fine degli anni '50. Allora per tutti era un mito e lo era ancora più per me. Ho un ricordo divertente di quel concerto, un aneddoto molto buffo. Arrivò il suo manager per spiegarmi qualcosa per la presentazione. Aveva un librone enorme e mi disse "Adesso le faccio vedere". Aprì questo libro e lì c'erano le presentazioni, nelle diverse lingue, in ordine alfabetico di tutti gli stati del suo Tour. Quando aprì la pagina in Italiano lessi con grande stupore ed anche un po' di divertimento che la presentazione di quell'enorme librone consisteva in poche parole scritte in italiano: "Ed ecco a voi Frank Sinatra". La cosa mi fece ridere. Il primo tempo di quello spettacolo era fatto da altre persone, mi sembra ci fosse anche
Dario Fo, ed il secondo tempo c'era lui. Sinatra fece sapere che non voleva l'intervallo, perché doveva andare a vedere un match di box. Perciò a tutti quelli che erano lì al Manzoni dovetti dire, "Signori fermi" perchè non andassero via per l'intervallo. E lui arrivò. Quando poi uscii di nuovo sul palco per dire quel famoso "discorso" che mi avevano presentato c'è stato un buio. Poi
mi sono sentito una mano "là dietro" e mi hanno scaraventato fuori scena, la luce si è riaccesa e prima che capissi cosa stesse succedendo, mi accorsi che aveva già iniziato a cantare. Nonostante l'inconvenevole ne valse proprio la pena, di ascoltarlo intendo.
M.B.:
Cos'è per lei lo swing?
J.D.: Lo swing per me è un mondo a sé, e penso che vivrà per sempre. Personalmente sono "impregnato" di questa musica, è un ricordo continuo, di vita. Queste sono le canzoni per le quali ho fatto ore ed ore di coda in America per assistere ai concerti di
Sinatra, Fitzgerald, Nat King Cole e tanti altri. Mi hanno accompagnato negli anni, intrecciandosi in qualche modo con la mia vita con i miei affetti. Una colonna sonora che non mi ha mai abbandonato. Come per My Funny Valentine che incisi in Italia, in versione originale e che poi scoprii essere il brano preferito di mia moglie Gloria. Oppure Mack The Knife che cantavo come sigla di
Pregiatissima alla fine degli anni '80.
O come A Foggy Day che mi riporta con il pensiero a Londra dove andai nel '78 per "Aggiungi un Posto a Tavola" e che mi ricorda una spiacevole disavventura: investito da un taxi mi ritrovai a pezzi ricoverato al
St. Thomas, proprio di fronte al Big Ben.
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Data pubblicazione: 15/01/2005
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