Questo febbraio ho avuto
l'opportunità di visitare uno dei più affascinanti paesi del mondo - l'Italia -
e di suonare ed insegnare un po' a Pescara. Ero ospite di
Giuseppe Continenza, un
chitarrista che dirige lo
European Musician's
Institute; un istituto volto alla diffusione dell'insegnamento e
dell'amore per il jazz, con particolare riguardo alla chitarra jazz. Gli
studenti della scuola venivano da tutto il paese per studiare e diventare parte
di un'eredità chitarristica che si può rintracciare dall'Italia indietro negli
Stati Uniti e viceversa. Uno degli aspetti più gratificanti dell'essere un
musicista jazz è che si è parti di qualcosa di più grande di noi, nella forma di
un patrimonio lasciatoci dai nostri ispiratori, personalmente o attraverso le
loro registrazioni, e a sua volta, tramandato ai nostri studenti.
Parlando con Giuseppe, ho scoperto un meraviglioso esempio di questo
concetto. Questo viaggio mi ha dato l'opportunità non solo di suonare per un
pubblico nuovo, ma mi ha anche offerto una gradita pausa dall'inverno canadese,
e un'occasione per indulgere in una delle migliori cucine al mondo.
Roy Patterson
Pescara, Italia 26
Febbraio, 2001
Roy
Patterson: Sei andato
negli Stati Uniti nel 1990 per studiare allo Guitar Institute of Technology.
Qual è stata la tua motivazione?
Giuseppe Continenza:
Principalmente il mio interesse a suonare la chitarra jazz. Mio padre era un
chitarrista jazz e suonava nelle band quando era giovane, e a casa c'erano
dischi di jazz; Django, Wes Montgomery...Così ho sempre voluto suonare. Volevo
trovare qualcuno che mi insegnasse delle cose diverse. Allora cominciai a
comprare dei dischi di Joe Diorio e Ron Eschete, ma quando vidi un
annuncio per il G.I.T., mi dissi che era lì che dovevo andare. Per me, in
quel periodo, era l'unica maniera di impegnarmi in un processo didattico
veramente buono.
RP:
Chi erano i tuoi insegnanti là?
GC:
C'erano Joe Diorio, Don
Mock, Ron Eschete, Scott Henderson e Gary Willis, un
impressionante insegnante di improvvisazione con delle idee incredibili. Ma chi
mi ha veramente ispirato e mi ha aperto gli occhi è stato Joe Diorio.
RP:
Così è stato lui il tuo
principale modello.
GC:
Sì. La cosa grande di Joe è che
era in grado di suonare in qualsiasi stile e cose molto difficili con una forma
melodica. Gli altri insegnanti erano pure impressionanti, ma per me, là Joe era
il più trendy.
RP:
Quando sei tornato dagli Stati
Uniti, hai aperto subito lo European Musician's Institute?
GC:
Prima di lasciare l'Italia, avevo
una piccola scuola a casa mia, ma circa un anno dopo il mio ritorno ho aperto la
EMI perché c'erano parecchie richieste di lezioni. Il mio sogno era di
insegnare, in maniera umile, come diventare chitarristi jazz professionisti. Ero
veramente innamorato del jazz. Il mio impegno era insegnare ad amare il jazz e a
suonarlo con amore, e non farlo diventare qualcosa di meccanico.
RP:
Ti sembra di portare qualcosa
dagli U.S.A., da Joe Diorio, e di passarlo ai tuoi studenti all' EMI?
GC:
Certamente. Ho acquisito così
tanti dati da quelle persone al Git, che quando sono tornato ho dovuto trovare
una maniera di assimilarli al mio stile e una maniera per insegnarli. Joe Diorio
e Ron Eschete mi sono stai molto vicini, quasi come dei padri, e avevano sempre
una risposta alle mie domande. Mi hanno dato tanti consigli e mi hanno davvero
aiutato molto.
RP:
Sono rimasto impressionato
dall'atteggiamento degli studenti all'EMI. Erano molto seri, e capisco che
giungono da diverse parti del paese per studiare qui.
GC:
Il bello degli studenti è che sono
quasi tutti devoti al jazz. Qualcuno viene qui senza un background jazz, ma dopo
aver ascoltato qualche registrazione, comincia ad amare sul serio la musica. La
cultura della scuola è anche fonte d'ispirazione. Quando gli studenti sentono
qualcun altro che comincia a suonare bene, pensano, "Be', se ce la fa lui,
forse posso farcela anch'io." Allora lavorano ancora di più. Ho studenti da
tutt'Italia, dalla Svizzera e ho ricevuto richieste perfino dal Giappone.
RP:
Ti sei anche esibito qui in Italia
con qualcuno di quelli con cui hai studiato. So che hai suonato con Joe Diorio,
per citarne uno. Chi sono gli altri?
GC:
Be', stare sul palcoscenico con
Joe è stato una specie di sogno per me. Una grande esperienza. Dopodichè, ho
suonato con Paul Bollenback, John Stowell, Jeff Richmond e
Gary Willis. Ho suonato anche con Roy Patterson (ride), anche lui
è un grande e non lo dico solo perché sei di fronte a me. Ti ho invitato qui
perché apprezzo sul serio la tua musica e il tuo stile.
RP:
Grazie Giuseppe. Hai anche
suonato con Gene Bertoncini?
GC:
Abbiamo fatto un concerto alla
scuola, molto bello, ma spero che avremo un'opportunità di suonare ancora perché
è bello suonare con lui. Uno dei momenti più belli della mia vita è stato un
tour che ho fatto con
Bireli
Lagrene. E' un musicista così grande, con un così forte sentimento gypsy, è
meraviglioso.
RP:
Quando queste persone giungono a
Pescara e fanno dei concerti con te, suonano anche con gli studenti della scuola?
GC:
Sì. Questo è il bello della
scuola. Tutti gli studenti vanno a suonare con questi grandi musicisti, è una
specie di inoculazione. La maggior parte degli studenti mi dice che dopo
l'esperienza di suonare con questi famosi chitarristi sono in grado di suonare
sul palcoscenico molto più agevolmente, con meno nervosismo.
RP:
E' una cosa grande, e
personalmente, trovo anch'io gratificante suonare con gli studenti. Il bello del
suonare con qualcuno è che c'è uno scambio di energia, e accade qualcosa a
livello intuitivo che non sempre si ha quando si insegna.
GC:
Sì, è molto importante per me.
RP:
Parlando di Bireli Lagrene e
del Gypsy jazz, hai detto qualcosa l'altro giorno che mi è parso molto
interessante. Hai detto che gli europei hanno cominciato a scoprire una sorta di
di radice chitarristica jazz in Europa nella musica di Django Reinhardt.
Puoi approfondire questo discorso?
GC:
Noto che parecchi studenti
comprano i dischi di Django, e rimangono veramente affascinati dalla sua musica,
anche se la qualità della registrazione non è spesso molto buona. E ci sono
altri musicisti oggi che provengono da quello stile, come Bireli,
Jimmy Rosenberg e altri. Naturalmente, ci sono grandi musicisti negli Stati
Uniti, in Europa, nel Canada, in tutto il mondo, ma essere europei e non
conoscere Django è un po' una perdita, se ci pensi. Era uno dei grandissimi.
RP:
Può suonare un po' accademico,
ma te lo chiederò comunque. Se pensiamo a Wes Montgomery, per esempio,
come epigono stilistico di Charlie Christian, pensi che in Europa questa
eredità di Django possa anch'essa svilupparsi? Alcuni potranno dire che si è già
sviluppata, ma vorrei sentire un tuo parere a riguardo.
GC:
Un novero di famosi chitarristi
jazz europei proviene dalla scuola stilistica di Django. Il motivo per cui non
sono meglio conosciuti è che le loro registrazioni non sono sempre facili da
scovare. I più conoscono i vecchi dischi swing e quelli di Django, ma non
conoscono quelli più recenti di musicisti come Jimmy Rosenberg,
Stochelo Rosenberg e Angelo Debarre. Ci sono musicisti veramente
fantastici, con grande senso del tempo e fraseggio, e sono in grado di suonare
anche roba moderna, come Bireli. Mi piace tutta la musica, tutti i tipi di jazz,
ma penso che sia bene riconoscere le radici e imparare da queste. E questo fa
parte della cultura europea. Ma amo anche Wes Montgomery, George Benson, Pat
Martino, Hank Garland, Lenny Breau e molti altri; tutti grandi, come Jack
Wilkins, Gene Bertoncini, Jimmy Bruno, Paul Bollenback, Ted Greene e altri.
RP:
Quando suoni con Bireli, è
sempre per dei duo?
GC:
Fino ad adesso è stato un progetto
per un duo. Ci abbiamo messo dentro di tutto, come il bebop, il moderno, lo
stile di Django...e abbiamo provato a unire tutto quanto. E' stato divertente, e
il pubblico ha davvero apprezzato l'interazione della forma del duo. E' qualcosa
di veramente vivo e non solo qualcosa di statico.
RP:
Quali sono le direttive della
scuola in questo momento?
GC:
Mi piace lasciare la scuola così
com'è e non farmi coinvolgere troppo nel business. Mi piace la cultura della
scuola e voglio tenerla soprattutto come scuola jazz. Ci sono circa sessanta
studenti a scuola, e tre insegnanti, me incluso. Il programma consiste in:
esercizio dell'orecchio musicale, lettura musicale, armonia e
teoria. Alla fine del corso, gli studenti devono dimostrare di essere in
grado di applicare al loro modo di suonare tutto quello che hanno imparato. La
maggior parte degli studenti sono chitarristi e ci sono circa venti e rotti
bassisti. Perciò non c'è tempo per espandersi, e voglio mantenere il più
possibile la qualità e le direttive della scuola.
RP:
Cosa mi dici a proposito dei
tuoi progetti di future esibizioni?
GC:
Sono in tournèe con il mio
quartetto in Italia, e c'è qualcosa con Bireli a maggio che ci porterà in
diverse nazioni. Ho appena finito la mia prima registrazione con il quartetto,
spero che esca con un'etichetta con una buona distribuzione. Scrivo articoli per
tre diverse riviste italiane: Guitar Club, Tuttochitarra e
Jazzit.
RP:
E hai una nuova chitarra.
GC:
Sì. Uso le Buscarini, che è
qui in Italia e fa delle grandi chitarre jazz. Ho anche una Gibson ES 175 e
spero di avere presto una L5. Ho anche una chitarra flat top acustica molto
bella che ho comprato da Don Mock, fatta negli Stati Uniti da Ronald Ho.
Uso le corde LaBella.
RP:
Sembra che tu sia in piena
carriera.
GC:
Sono stato fortunato ad avere
delle persone intorno a me che mi hanno aiutato tanto, che mi hanno dato dei
buoni consigli, e sono cresciuto molto da queste esperienze. Voglio solo aiutare
gli altri nella maniera in cui sono stato aiutato. Ho trovato che tutti voi che
venite a Pescara siate davvero gentili. Siete dei grandi musicisti, ma anche
delle persone molto carine, e gli studenti lo apprezzano davvero.
RP:
La musica non è solo musica, è
anche vita.
GC:
Sì, è proprio vero. Se suoni con
qualcuno con cui ti senti bene personalmente, allora è il massimo.
RP:
Grazie ancora di tutto Giuseppe.
Mi sono divertito moltissimo qui a Pescara. Teniamoci in contatto.
GC:
Certamente. Grazie.
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Data pubblicazione: 13/08/2002
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