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Intervista a Flavio Boltro
di Vittorio Pio

Festeggiare i propri quarant'anni preparando un disco per una delle etichette che hanno fatto per davvero la storia del jazz, incuterebbe timore persino a un americano, figuriamoci a chi questo fascino l'ha subito dall'esterno pensando che arrivare fin lì sarebbe stata solo un utopia. Onore quindi a Flavio Boltro che lo ha fatto e anche bene, mettendo un altro tassello importante in una carriera che, da quando si è trasferito in Francia, prima alle dipendenze della blasonata Orchestre Nationale de Jazz e poi con il quintetto di Stefano Di Battista, altro emigrato eccellente, ha subito un'accelerazione fortissima, ancora di più rispetto alla dorata gavetta con Michel Petrucciani agli inizi degli anni '90.
Per parlare di questo suo momento lo abbiamo raggiunto a Milano, a poche ore prima del suo debutto nello scintillante Blue Note di via Borsieri.

V.P.: "40°" sembra un disco che celebra i fasti del bop, è suonato in maniera quasi totalmente acustica. A che punto si colloca nella sua carriera?
F.B.: È un passaggio molto importante. Arrivare a registrare nuovamente per una label prestigiosissima che ha nel suo catalogo alcuni dei lavori più importanti nella storia del jazz, per molti potrebbe rappresentare il traguardo di una vita, spero che per me rappresenti invece un ulteriore stimolo a fare meglio. Dopo le importanti esperienze messe alle spalle adesso mi sento più sicuro per firmare un disco da leader di un gruppo con il quale mi sento molto in sintonia. I brani sono variegati e richiamano molto la forma della suite: ho voluto evitare la classica trappola del giro armonico su cui poi improvvisare. Ci sono anche un paio di standards, appunto per omaggiare i grandi del passato che ancora tanto rappresentano per la nostra comunità, mentre il resto è quasi tutto firmato da me.

V.P.: Torino si affaccia idealmente su Parigi, la capitale europea del jazz, per lei questo trasferimento è stato forzato o piacevolmente necessario?
F.B.: Per suonare il jazz devi viverlo, così almeno diceva Charlie Parker e mi sembra che questa sia un affermazione da condividere in pieno. Da Torino a Parigi il passo è stato istintivo. Nella Ville Lumiere il jazz si respira un po' dappertutto, quindi è un riferimento imprescindibile per chiunque abbia solo curiosità al riguardo. Anche in Italia però vedo degli importanti segni di rinnovamento: si sono aperti nuovi spazi dedicati al jazz di recente, e più in generale scorgo un attenzione maggiore anche da parte delle nuove generazioni.

V.P.: Come ha reagito quando ha saputo del forte apprezzamento nei suoi confronti di Wynton Marsalis, il più influente se non bravo fra i trombettisti contemporanei?
F.B.: Chiaramente i complimenti di un grande fanno sempre piacere anche se io l'ho scoperto in maniera del tutto casuale. Avevo aperto proprio a Torino la serata per Wynton ed Elvin Jones, erano seduti in prima fila e mi hanno seguito con molta attenzione, poi in camerino mi hanno chiesto se me la sentivo di fare un paio di pezzi insieme a loro, io ho accettato al volo ed è andata alla grande. Poi sono partito per il Giappone per altri concerti e un giorno a Tokyo, passeggiavo per le strade fino a quando mi è caduto l'occhio su Downbeat: dentro c'era anche una mia foto e le belle parole di Marsalis, un piacere immenso.

V.P.: Quali sono stati gli incontri che hanno segnato la sua carriera?
F.B.: Sono tanti, da Mario Rusca al compianto Larry Nocella, i primi grandi musicisti che hanno acconsentito che partecipassi alle loro jam, fino a quello indimenticabile con Michel Petrucciani, un maestro anche di vita oltre che un musicista di spessore e carisma ineguagliabile.

V.P.: Cosa farà da qui all'estate?
F.B.: Mi aspetta un bel periodo denso di impegni promozionali ma anche di concerti ed esibizioni dal vivo. Stare sul palco è sempre ciò che mi piace fare di più e adesso ho proprio bisogno di quell'adrenalina.
 

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COMMENTI
Inserito il 11/7/2009 alle 10.42.03 da "rcantini"
Commento:
Flavio Boltro è un grande trombettista oltre che uno sperimentatore del ritmo e del fraseggio.
La sobrietà e l'equilibrio con cui vive il suo successo lo distinguono da una serie di musicisti
che sembrano rockstar (un attaggiamento veramente poco jazz). Nel suo suono si sente la
prosecuzione del pensiero storico con cui non si è mai messo in competizione; in poche parole
non crede di essere inconsciamente più bravo di Miles Davis. Bravo Flavio.
 

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Data pubblicazione: 16/05/2003





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