.S.:
Sentivo da un po'di tempo la necessità di registrare un cd, soprattutto per non
far perdere traccia della musica che avevo cantato fino a quel momento. Il mio decennio
di allontanamento dalla scena "live", e non dalla musica in generale, è dipeso dalla
scelta di dedicare tale periodo alla crescita di mia figlia. Ho cantato meno in
giro, rimanendo presente a Roma e presenziando, di tanto in tanto, a qualche festival
che non richiedesse lunghi periodi d'assenza da casa (come Roccella Jonica o Parma
Jazz). In tutto questo periodo di assenza dalle scene, mi sono dedicata alla didattica
vocale, che è un altro degli aspetti della musica che mi interessa molto.
G.T.: Ci racconteresti
com'è avvenuta la gestazione del disco?
C.S.: Dopo aver sentito la necessità di rimettere i piedi sul palco, ho iniziato
a cercare nuovi spunti musicali per il repertorio, ma prima volevo fissare alcuni
"steps" della mia attività artistica su cd. Il mio intento era quello di
mettere insieme una band che mi soddisfacesse, che fosse "dentro" la mia musica
e che ne avesse la mia medesima concezione. I brani da incidere erano tanti, quindi
dapprima ho fatto una selezione, poi, scelto l'organico, ho pensato agli arrangiamenti
e, presi i contatti con i musicisti ho fissato lo studio.....
G.T.:
Prima di entrare in sala di registrazione conoscevi Marc Copland e
Ron McClure? Come hai preso contatti con i due?
C.S.: Conoscevo Ron McClure dai tempi in cui abitavo a Boston ed è
sempre stato uno dei miei contrabbassisti preferiti (forse perchè suonava con i
Quest, la band diretta da
Dave Liebman
e Richie Beirach, uno dei miei gruppi preferiti negli anni Ottanta). Di Marc
conoscevo il lavoro e pensavo che potesse essere un'esperienza memorabile poter
lavorare con lui, ma non lo conoscevo personalmente prima di registrare.
G.T.: Anche la presenza
del sassofonista Donny McCaslin, spiazza di molto. Bravo e apprezzato in
USA ma praticamente sconosciuto qui da noi... Come l'hai scovato?
C.S.: Donny era già noto
negli States soprattutto tra Boston e New York e io avevo avuto modo di apprezzarlo
durante le mie ricorrenti capatine negli Stati Uniti. Quando stai lì, ti accorgi
dei talenti veri e sai che prima o poi emergeranno ed io, da brava "talent scout",
non mi sono lasciata scappare l'occasione con Donny (come del resto feci quindici
anni fa con Kurt Rosenwinkel e
Stefano
Di Battista, elemento del mio gruppo per quattro anni).
G.T.: Il lavoro ha un
approccio sostanzialmente intimo, privato, quasi confessional...Mi riferisco
a tue composizioni come North Carolina che apre magnificamente il cd e altre
due ballad come Thanks G.
e Friend, We're Through.
Ce ne parli?
C.S.: Thanks G.
è uno tra i primi brani che ho scritto e risale al 1990
circa (e si sente...), mentre sia
North Carolina che
Friend, We're Through sono
brani più recenti, nati in diversi momenti e suonati più volte con il gruppo italiano.
Nel cd c'è anche Anek,
un'altra mia composizione, la più recente, dedicata all'amato Kenny Wheeler,
di cui negli anni ho cantato molti brani tra cui, oltre ai due registrati, anche
3/4 In The Afternoon
e Three For D'reen.
G.T.: Hai un metodo compositivo
ben definito o spesso è l'ispirazione ad avere la meglio?
C.S.: Tutto parte sempre dall'ispirazione. Ci sono stati un paio d'anni in
cui ho scritto tantissimo, con risultati credo soddisfacenti, mentre alcuni altri
periodi sono stati meno felici. Inizio comunque sempre dalla parte musicale e più
precisamente da quella armonica o dalle linee di basso. Altre volte capita che si
affacci per prima la melodia ma il testo comunque viene scritto sempre per ultimo.
G.T.: Le restanti altre
tracce ben si coniugano con canzoni scritte non di tuo pugno come
A Young Girl ed
Everybody's Songs But My Own
firmate dal grande Kenny Wheeler. È stato difficile separarsi "mentalmente"
dalle interpretazioni che ne diede Norma Winstone?
C.S.: No, per niente, in quanto ho avuto la partitura di
Everybody's Song But My Own
proprio da Norma prima ancora che lei lo registrasse, quindi ho sentito la
sua versione solo dopo averla cantata per un lungo periodo mentre non credo (almeno
io non l'ho mai sentito) che la Winstone abbia mai registrato
A Young Girl. Infatti
questo è uno dei brani che Kenny Wheeler portò al festival di Roccella Jonica
per un progetto speciale che andò in scena in quel festival con un memorabile assolo
di
Danilo Rea.
G.T.:
Hai lavorato con Norma come assistente in diversi seminari. Com'è la Winstone
come vocalist e soprattutto come insegnante? Cosa hai imparato da quell'esperienza?
C.S.: Norma è una persona deliziosa prima di tutto. L'ho conosciuta
nel 1983 insieme a John Taylor e da allora
lei mi ha sempre sostenuta con stima e amicizia. Poi l'ho ritrovata ai seminari
in cui avevo il ruolo di assistente, di traduttrice e a volte anche di accompagnatrice
degli allievi al piano. Quello che la Winstone cerca di trasmettere ai seminari
è il giusto approccio musicale e vocale al jazz più che "insegnare" qualcosa di
tecnico o teorico nel senso più preciso del termine. Com'è come cantante......lo
sanno tutti!
G.T.: Hai altri punti
di rifermento artistici riguardo la tua carriera?
C.S.: Da giovane ho distrutto i dischi di Sarah Vaughan per l'uso
continuo che ne facevo. Non credo di avere più avuto da allora, degli idoli o altri
artisti di riferimento tra i cantanti ma solo tra gli strumentisti. Se sai "come"
cantare, hai bisogno di ascoltare chi è più "avanti" e chi ha qualcosa in più da
insegnarti e, nel jazz, questo lo puoi fare studiando sugli strumentisti, quasi
sempre fiatisti. Ho tirato giù molti soli, ho ascoltato e amato molti musicisti
ma quelli che mi hanno più influenzata credo siano stati Dexter Gordon e
Lee Morgan seguiti (in ordine di tempo) da Jan Garbarek e dall'ormai
abusato Kenny Wheeler.
G.T.: Che musica ascolti
in prevalenza? Artisti e dischi preferiti?
C.S.: In prevalenza jazz di ogni era e stile; passo nello stesso giorno da
Alex Sipiagin a Bill Evans, da Paul Motian a Shirley Horne.
Poi subisco la musica che ascoltano gli altri componenti della mia famiglia e passo
da Sting ad Eminem (e poteva andarmi anche molto peggio)! Uno dei
miei dischi preferiti in assoluto è "Gnu
High" (Kenny Wheeler: ECM, 1976),
la cantante che stimo di più al momento è Luciana Souza.
G.T.: Ci parli dei tuoi
esordi col jazz e dei vecchi tempi a Palermo?
C.S.: Semplice: primo contatto e primo concerto di jazz da ascoltatrice
Lee Konitz quartet, Brass Group 1978,
Palermo. Successivamente giovani amici (Salvatore
Bonafede,
Mimmo Cafiero,
Giuseppe Costa, Sandro Palacino e Franco Lotà) mi chiedono
se voglio cantare nella band che stanno mettendo su. Esordio dal vivo dopo qualche
mese e prima recensione dal titolo "Entrano in campo le jazziste"!... Lo
ricordo ancora! Subito dopo è arrivato il lavoro con
Enzo Randisi,
la registrazione del primo disco, la tournee in Spagna e da lì il via per Berklee
(Boston). L'altro periodo palermitano è quello che intercorre tra il ritorno dagli
States ed il trasferimento a Roma, cioè dal 1983
al 1986. In quel periodo la Sicilia mi ha dato
tutto quello che poteva darmi: concerti, spazi per ricerche artistiche, esperienza
in big band, registrazione del secondo disco, notorietà, supporto ma soprattutto
contatti con i musicisti; ho ricordi molto belli!
G.T.: Se non sbaglio
sei stata una delle prime in Italia a varcare l'Oceano per trasferisti a Berklee.
Come ricordi quei tempi?
C.S.: Per l'esattezza sono stata la prima donna italiana a frequentare la
mitica Berklee! Che bel periodo!!! Si doveva studiare moltissimo ma ero lì per quello,
non chiedevo altro! Erano i tempi in cui Stoloff, ancora semi studente, cercava
di diffondere il concetto di vocalità strumentale; il periodo in cui il pianista
emergente a scuola era Dave Kikoski, mentre
Makoto
Ozone era già lo studente più affermato. E poi c'era la vita fuori da Berklee,
i contatti con
Jerry Bergonzi, l'amicizia con Ran Blake, i concerti al
Performance Center, il Ryles! Un'esperienza che consiglio a tutti e che
rifarei subito, anche se l'America ha perso qualche punto! Inoltre credo che oggi
si possa benissimo studiare in Italia anche se "l'esperienza americana" ti forma
professionalmente.
G.T.: Com'era è com'è
attualmente il tuo sodalizio artistico e non solo con tua sorella Loredana, anche
lei meravigliosa vocalist e attenta insegnante?
C.S.: Il rapporto con Loredana è particolare dato che abitiamo in due città
diverse ormai da più di 20 anni ma il filo musicale ci unisce sempre. Ci confrontiamo
comunque molto più sul campo della didattica, scambiandoci opinioni, intuizioni,
problematiche e spesso cercando di risolverle insieme.
G.T.: Da oltre vent'anni
insegni tecnica vocale, armonia, improvvisazione e ear training e hai scritto in
proposito diversi importanti metodi. Qual'è il tuo approccio con gli allievi e la
tua metodica d'insegnamento?
C.S.: Sì, ho iniziato ad insegnare nel 1983
proprio al Brass Group di Palermo e, anche se avevo parecchie conoscenze musicali,
non avevo ancora adottato un particolare metodo d'insegnamento. Oggi il mio approccio
con l'allievo è molto personale, seguo una strada tutta mia per arrivare agli obbiettivi
prefissi, non mi rifaccio a nessun tipo di scuola di canto (intesa come italiana,
tedesca etc.) ma ho elaborato un metodo che racchiude tutte le mie intuizioni e
scoperte di un ventennio. Insegno armonia ed ear training ai cantanti per il solo
scopo di poter affrontare l'argomento improvvisazione e anche in questo campo ho
dovuto inventare una serie di esercizi per portare l'allievo all'uso della giusta
articolazione, al fraseggio e all'ampliamento del range di scelta di note...un
lavorone!
G.T.: Che consigli suggerisci
solitamente ai tuoi allievi nell'arte di rapportarsi col complesso mondo del jazz?
C.S.: Adeguata preparazione, originalità, voglia di rischiare e non pensare
al jazz come lavoro, cosa purtroppo molto comune in questi anni. La cosa che riscontro
maggiormente in molti giovani che dicono di volere studiare jazz infatti, è la mancanza
di "vera passione". Questa nostra musica richiede molti sacrifici che non si possono
fare se non motivati fortemente. Il consiglio che do a tutti è l'importanza di conoscere
quanto più materiale possibile, quanta più musica sia stata registrata, quante più
versioni dei brani da interpretare... e poi spingo a cercare la propria strada,
l'originalità. Ma soprattutto mi batto per l'ascolto e la frequentazione dei concerti.
G.T.: La didattica toglie
tempo prezioso ai tuoi studi personali e alla professione di vocalist?
C.S.: La didattica toglie tempo a tutto, ti assorbe completamente, ti prosciuga
e a volte ti distrugge. Ma io continuo a farlo e anche con piacere. Che vorrà dire?
G.T.: Che sei una testarda
idealista come poche....! (ridiamo). restando in argomento, pensi che il jazz vocale
in Italia sia valutato come realmente merita?
C.S.: Sai, anni fa quando ero molto presente, ti avrei risposto di sì. Non
ho mai avuto problemi di considerazione (e credo neanche
Tiziana
Ghiglioni o
Maria Pia De
Vito) da parte di organizzatori e stampa. Dopo questo fatidico periodo
di assenza, è bastato riaffacciarmi che mi è sembrato di essere piombata in un altro
mondo, pieno di diffidenza da parte degli organizzatori e di chiusure da parte della
stampa. In più ci si è messa l'ondata del Nu Jazz che non ha di certo aiutato,
anzi ha creato una gran confusione, per cui meglio non rischiare con un concerto
di una cantante, come dicono alcuni promoters. E la difficoltà adesso si riscontra
anche dal punto di vista discografico, una fatica!
G.T.: Il carnet delle
tue collaborazioni è pieno zeppo di nomi importanti:
Tony Scott
e Lester Bowie, Kurt Rosenwinkel e Kenny Wheeler e poi ancora
Rea,
Di Battista, Morgera, Fassi...Quale incontro ti ha lasciato
veramente il segno e chi ancora manca all'appello?
C.S.: Tutte grandi esperienze ma nessun segno in particolare. Non hai nominato
però Marc Copland con cui ho appena fatto dei concerti e con cui c'è un feeling
musicale spaventoso. Che poeta! All'appello manca un sacco di gente, vorrei poter
suonare con tutti, ma se ti riferisci ad un mito no, non ne ho nessuno.
G.T.: Cosa riserva il
futuro per Cinzia Spata?
C.S.: Ho ricevuto una bella proposta per un nuovo cd ma sto valutando se
accettare o no. La mia voglia più grande in questo momento è quella di riprendere
a cantare di nuovo in giro e di stare a contatto con il pubblico; inoltre sento
la necessità di conoscere altri musicisti, scambiare idee, confrontarmi, crescere
e portare la mia concezione di vocalità possibilmente anche in giro per l'Europa,
anche se le istituzioni Italiane non aiutano l'esportazione musicale. Chiedo troppo?