Intervista
ad Al FOSTER
Jazz al Metropolitan
- Palermo, 16 ottobre 2002
di Antonio Terzo
photo by Gianmichele Taormina
Uno dei brani che mi ha fatto apprezzare quell'artista di particolare
genialità musicale che è stato Miles Davis è senza dubbio
Jean Pierre,
versione live registrata a Tokyo nel
1981, con una formazione che si è
contraddistinta per la perfetta intesa della sezione percussiva: Marcus Miller
al fender bass, Minu Cinelu alle percussioni e Al Foster alla batteria.
Così, quando lo scorso 16 Ottobre, grazie alla
rassegna "Jazz al Metropolitan" ideata dall'omonimo cine-teatro di Palermo
insieme all'associazione Caleidoscopio, s'è presentata l'occasione di poter
incontrare Mr. Foster, protagonista della serata inaugurale, è stato come
incontrare non soltanto un pezzo di storia del jazz, ma anche la musica nella
sua essenza più umana. Ed il suo concerto, vario, misurato e di indiscutibile
livello, ne è stato riprova.
Sotto il profilo musicale, l'esibizione live non
aggiunge molto all'ascolto delle registrazioni: Foster infatti non è un
giocoliere alla Hampton. Ma vederlo suonare è un'emozione che calamita lo
sguardo con la naturalezza del suo tocco quasi felino. Suona la sua batteria con
una varietà incredibile di colori, generati da controtempi, scherzosi riffs
ripetuti, brevi rullii in crescendo, inaspettati anticipi alternati a pause
incentrate su note molto staccate, sincopate, dialoghi fra i tom ed il rullante,
la cassa che fa riscontro ai piatti, le mani che si accavallano ma mai si
sfiorano … un vero e proprio gioco pirotecnico. E si lascia guidare
nell'improvvisazione dalle atmosfere create dai propri musicisti,
sottolineandone gli interventi e caratterizzandoli con i colpi delle sue
bacchette, a rivelare che niente è lasciato al caso e che anche i solo
improvvisati rispondono comunque ad un ordine stabilito di suoni, pause,
cadenze.
Al Foster è infatti supportato da musicisti di
talento, che intrecciando le proprie sonorità ed esperienze formano un gruppo
molto affiatato. Una non comune padronanza della tecnica da parte del
sassofonista israeliano Eli Digibri si rivela in rapide scale ascendenti e
discendenti, mai lasciate cadere a metà, le quali attestano un fluente
linguaggio improvvisativo che si produce anche in brevi e scattanti frasi di
poche battute, ripetute seguendo la variazione modale, secondo la migliore
lezione davisiana. Versatile il piano della giovane promessa Aaron Goldberg,
capace di interpretare lo stile di ciascun brano, dal free più libero al blues
più scandito, dalla tradizionale ballad al ritmato latin, alle pentatoniche
sonorità orientaleggianti. E sebbene il contrabbasso di Dough Weiss sia forse
meno protagonista rispetto agli altri elementi, riesce bene a fare la sua parte
tanto negli assolo quanto come interlocutore della batteria e degli altri
strumenti. E Foster si accompagna cantando la melodia…
Tra i brani eseguiti, da sottolineare la dolcissima
Missing Miles,
sussurrata dal sax di Digibri, per accompagnare la quale Al Foster, impugnate le
spazzole, sfiora appena rullante e cimbali per produrre tutta l'armonia di
sfumature che un sapiente batterista può far emettere al proprio strumento. Su
tale velluto di soffuse vibrazioni, il piano di Goldberg esegue la pacata
melodia che giunge a pervadere gli angoli più reconditi dell'anima.
Concludono il concerto
St. Thomas
di Sonny Rollins, con un assolo
con fiato a perdere del sax, cui segue l'improvvisazione del piano arricchita da
un virtuosismo a mani simmetriche, ed una trascinante
Cantaloupe Island
di Hancock per l'unico bis della serata, con altro apprezzabile solo del sax
molto giostrato sui sovracuti.
E quella umanità di cui sopra si diceva traspare pure fin dalle prime
battute della chiacchierata fatta nel suo camerino, poco prima del sound-check,
riportata di seguito.
ANTONIO
TERZO: Le spiacerebbe cominciare dai suoi esordi?
AL FOSTER: Mio padre era anch'egli musicista ed è stato lui a regalarmi la prima batteria,
all'età di 10 anni. L'ho suonata per un po', ma poi è rimasta a lungo
accantonata, e tutti mi stavano a criticare perché penso fosse pure costata
parecchio. L'ho ripresa dopo vari anni e da allora non ho mai più smesso di
suonare.
TERZO:
Ha fatto esperienza con molti nomi famosi: quali di questi è stato più
importante per la sua crescita musicale, per il suo stile?
FOSTER: Ho cominciato a suonare jazz ascoltando
Max Roach, Cherokee, ho
registrato per la prima volta a 16 anni, poi con Blue Mitchell… Perché sono nato
nel 1943
e non nel '44 come molte biografie riportano. Ecco, così resta
registrato! E poi con Miles Davis. Sono stato fortunato, perché in effetti ho
suonato con i più grandi e questo mi ha dato una grande esperienza ed ho
imparato tantissimo.
TERZO:
Ha citato grandi nomi del jazz, ma ha mai avuto dei modelli?
FOSTER:
No, ho appreso tanto suonando con molti grandi jazzisti,
Cannonball Adderley,
Thelonious Monk, Freddie Hubbard, McCoy Tyner, ma in effetti non ho un modello
in particolare…
TERZO:
D'obbligo una domanda sul periodo in cui ha suonato con Miles Davis: scelga
lei cosa dire…
FOSTER:
Penso che Miles Davis sia stato un genio… Spesso questa definizione viene usata
a sproposito, troppe volte si dice "Quello è un genio". Ci sono molti bravi
musicisti, ma non tutti sono geni… Lui era un vero genio. E' stato anche
fortunato, perché ha potuto radunare nei suoi gruppi tutti i più grandi talenti
del periodo. Ma la sua genialità stava nella creatività.
TERZO:
Ho letto che durante le prove in studio lui voleva che i registratori
restassero accesi, perché credeva che le cose migliori venissero fuori proprio
durante le prove, inconsapevolmente.
FOSTER:
Sì, ma poi tutto veniva migliorato con l'ascolto successivo. Miles una volta mi
ha detto che per i giovani oggi è più facile fare musica, registrare,
modificare, ma prima questa possibilità invece non c'era, e chi componeva creava
davvero musica. Lui registrava tutto, lo riascoltava, per migliorarlo.
TERZO:
Questo avveniva anche per le parti d'improvvisazione?
FOSTER:
Certamente…
TERZO:
Ma ritiene che Miles e gli altri musicisti dei suoi vari gruppi, lei
compreso, si rendessero conto del profondo cambiamento che avrebbero introdotto
nella musica jazz?
FOSTER:
Inizialmente… credo di sì. Io comunque sono entrato nel gruppo di Miles
successivamente, verso la fine, e la mia fortuna è stata di farne parte quando
c'erano tutti i più grandi, ma ormai avevano fatto tutto loro.
TERZO:
Oggi, grazie anche alla lezione e all'influenza di Miles Davis, la musica
jazz ricorre spesso ad altri stili musicali (etno-music, musica latina, pop, etc.,)
dando vita a parecchie contaminazioni: secondo lei, è ancora possibile suonare
del jazz "puro" e, soprattutto, ha senso parlare di jazz "puro"?
FOSTER:
Suonare jazz "puro" oggi? Certo! Io non sono un batterista rock, sono un
batterista be-bop e suono un jazz tradizionale. Nei concerti suoniamo varie mie
composizioni ma anche pezzi di Mingus, Hancock ed altri grandi jazzisti. Pure
delle ballads… Stasera in particolare eseguiremo un pezzo che ho scritto per
Miles, Missing Miles. E poi vari classici. Certo il jazz non è più quello
di una volta, è più attento ai tempi, ma resta pur sempre jazz. Forse risente
dell'influenza di altri generi, è inevitabile, ma va bene.
TERZO:
Jazzitalia si occupa anche di didattica e metodi d'insegnamento, quindi
parliamo di scuole di musica: negli Stati Uniti esistono molte scuole di jazz,
colleges o università, in cui gli studenti possono incontrare musicisti
professionisti e fare così esperienza, mentre in Europa la musica è insegnata
prevalentemente nei Conservatori, il che conferisce un'impostazione
essenzialmente classica, costringendo i giovani musicisti ad iscriversi poi a
scuole private o a prendere lezioni private da jazzisti professionisti o ancora
a fare da soli. Qual è il suo punto di visto a riguardo?
FOSTER:
E' bene che chi voglia imparare faccia scuola con professionisti. La scuola è
comunque un punto di partenza, deve esserci. Però, penso che talvolta le scuole
siano un pretesto per spillar quattrini ai giovani… Fanno credere loro di aver
raggiunto chissà quale traguardo entrando in questa o quella scuola, famosa
perché vi insegnano nomi importanti. Loro pensano di essere bravi e invece sono
stati illusi e magari non lo sono affatto. Questo non mi piace... Sarebbe meglio
dire loro che non hanno talento, prima di fargli spendere soldi…
TERZO:
Sì, questo come aspetto negativo dell'insegnamento negli Stati Uniti, ma qual
è la sua opinione sulla differenza fra la situazione degli USA e quella europea?
FOSTER:
Oh… Beh, moltissimi musicisti hanno una formazione classica,
Herbie Hancock per
esempio. Poi è la loro esperienza che li porta a perfezionarsi, ascoltando tanta
musica e suonando con i professionisti. Anch'io ho ascoltato tanta musica.
Questo per me è stato importante. Quando un musicista ti chiama per suonare, se
si trova bene perché c'è sintonia, gli fai fare una buona figura, suoni bene,
allora vieni chiamato di nuovo. I musicisti con i quali io ho suonato mi hanno
sempre richiamato. E questa per me è una grande soddisfazione.
TERZO:
Pensa quindi che la formazione classica costituisca in ogni caso una base da
cui partire?
FOSTER:
Sì, è la base da sviluppare.
TERZO:
Lei ha degli studenti, dei ragazzi a cui insegna?
FOSTER:
Io sono autodidatta, ho imparato
da solo. Non ho studenti… E poi, cosa potrei insegnare?
TERZO:
Nella scena musicale mondiale c'è al momento qualche giovane jazzista che a
suo avviso sta facendo qualcosa di buono per il jazz? Qualcuno che le piace,
insomma…
FOSTER:
I musicisti che suonano con me sono ottimi elementi…
TERZO:
Una tra le più famose case costruttrici di strumenti musicali ha dato il suo
nome ad un set di batteria. Si tratta di qualcosa che lei ha concepito e voluto
e che poi è stato commercializzato ovvero le hanno semplicemente proposto di
poter usare il suo nome?
FOSTER:
Non ho nulla a che fare con quel set da batteria, e non vorrei che si pensasse
che l'abbia progettato io: mi hanno pagato ed ho consentito che usassero il mo
nome, tutto qui. E ho fatto un po' di soldi!
TERZO:
Perché pensa che sarà ricordato nel Libro della Musica?
FOSTER:
Io? Non so… Per essere stato un buon amico di Miles!
TERZO:
A parte questo tour che presumibilmente le prenderà ancora diversi mesi, che
piani ha per l'immediato futuro?
FOSTER:
Penso che dopo questo tour europeo tornerò negli Stati Uniti per suonare con i
musicisti che mi vorranno!
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Data pubblicazione: 28/10/2002
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