Louis Armstrong
– La quintessenza del jazz
di
Riccardo Facchi
«Se mai ci fu qualcuno degno di essere
chiamato "Mister Jazz", questo fu Louis Armstrong. Fu la quintessenza del jazz e
resterà tale. Ogni suonatore di tromba che abbia deciso di suonare nell'idioma
americano è stato influenzato da lui.»
Così si espresse Duke
Ellington, qualche giorno dopo la morte, avvenuta nel
1971, sul conto del suo
celebre collega. Nella dichiarazione qui trascritta non c'è in realtà alcuna
esagerazione, anzi, si potrebbe addirittura affermare che Armstrong
(Louis Daniel Armstrong: New
Orleans, 4 ago 1901 - New York, 6 lug 1971) è andato
oltre il mero discorso strumentale e costituisca ancora oggi un punto di
riferimento basilare per ogni musicista che affronti il jazz e il suo idioma, su
qualsiasi strumento. Armstrong, infatti, mutò il corso non solo del jazz, ma
addirittura della musica americana tout court, andando oltre l'ambito musicale
di riferimento e indicando, in questo senso, la strada maestra a tutti i
principali successivi geni del jazz moderno e contemporaneo. Molti sarebbero
perciò gli aspetti innovativi, sviluppati nell'arco della sua lunga carriera, da
evidenziare. Per far ciò, scinderemo schematicamente il suo contributo di
strepitoso trombettista da quello di originalissimo cantante, ruolo quest'ultimo
che ci ripromettiamo di approfondire in altra occasione.
Come cornettista prima e trombettista poi, Armstrong mostrò a tutti, spontaneamente, in che modo fosse possibile eseguire
una variazione melodica improvvisata su un tema base (la cosiddetta
improvvisazione, tratto peculiare di tutto il jazz), con semplicità, efficacia,
senso della forma ed adeguata espressività, elaborando così un vero e proprio
nuovo linguaggio musicale. Caratteristica principale del suo stile fu quella di
utilizzare sistematicamente nella frase improvvisata, un uso del ritmo e una
disposizione degli accenti sulle note emesse pressoché unici e geniali,
mostrando a tutti i colleghi musicisti quell'approccio ritmico, all'epoca ancora
sconosciuto ai più, divenuto poi famoso con il peculiare termine di "swing"e
capace di trasformare qualsiasi banale e sciapa canzoncina, in arte pura.
Questo è certamente il suo maggior contributo
e il suo miglior insegnamento in ambito jazzistico ed esempi della sua arte sono
rintracciabili già in moltissime incisioni degli anni '20, non solo tra quelle
celeberrime dei suoi Hot Five ed Hot Seven, che dichiararono a
tutto il mondo il suo genio artistico, ma anche nelle antecedenti collaborazioni
come sideman.
In questo articolo,
proveremo infatti a mostrare ed analizzare, in modo forzatamente discorsivo,
come il suo stile solistico fosse già perfettamente formato a metà degli anni
'20, scartabellando tra alcune delle sue prime incisioni meno note, effettuate
nell'orchestra di Fletcher Henderson
(Fletcher Hamilton Henderson, Jr.
: Cuthbert, GA, 18 dic 1897 - New York, 29 dic 1952), con i mitici Clarence Williams Blue Five
(Plaquemine, LA, 8 ott
1893 - New York, 6 nov 1965) e, successivamente, in quelle come apprezzato accompagnatore di celebri cantanti
di blues, genere molto in voga e al suo apice all'epoca.
New York,
14 novembre 1924
Elmer
Chambers: trumpet
Howard Scott: trumpet
Louis Armstrong: trumpet
Charlie Green: trombone
Buster Bailey: reeds
Don Redman: reeds
Coleman Hawkins: reeds
Fletcher Henderson: piano & director
Charlie Dixon: banjo
Ralph Escudero: tuba
Kaiser Marshall: drums |
Il primo brano che esploriamo è
Naughty man
(D. Redman, C. Dixon) ,
nella versione VJM registrata il
14 Novembre 1924
a New York con l'orchestra di Henderson.
Si tratta di un tema abbastanza scialbo, con un affettato e tipico 2/4 scandito
dalla tuba, tempo utilizzato spesso all'epoca dalla non ancora evoluta orchestra
hendersoniana (), brano del quale esisteva già una precedente versione, registrata
la settimana precedente (matrice MCA), assolutamente priva di spunti solistici
del Nostro. Rispetto a quella versione il tempo è più brillante, ma procede
sostanzialmente in modo anonimo sino al momento dell'assolo di Armstrong: un
chorus di sedici battute che è un vero e proprio fulmine a ciel sereno,
preceduto da un mirabolante e già autorevole ingresso di due battute, preso
"a prestito" dal precedente chorus del sax tenore di Coleman
Hawkins ( ). Già qui si assiste, infatti, a qualcosa di sconvolgente e
anticipatore circa le capacità di "pensare" ed impostare ritmicamente gli assoli da
parte dell'ineffabile Satchmo. Le due battute servono ad Armstrong, oltre che da
"intro" all'assolo vero e proprio, anche per prendere slancio ritmico e
costruire e pensare il solo in un implicito e moderno 4/4, anziché in 2/4, come
imposto dalla rigida e pesante scansione del tema. Armstrong riesce a far ciò in
modo estremamente naturale, semplicemente sincopando e distribuendo gli accenti
e proiettando il ritmo così generato all'inizio della prima battuta del chorus
successivo, utilizzando a ripetizione una figura ritmica costituita da due
ottave e un quarto, che diventerà caratteristica (quasi una firma) e ricorrerà
spesso nei suoi assoli successivi più celebrati. Il breve ma intenso intervento
si conclude mirabilmente con un prolungato Sib
acuto, degno di un cantante
lirico. E' impressionante quante innovazioni abbia saputo immettere Armstrong in
un unico striminzito chorus e la sicurezza e leggerezza che dimostra nel gestire
il ritmo durante l'assolo. Decisamente doveva apparire un musicista di un altro
pianeta agli altri orchestrali dell'epoca.
New York,
6 novembre 1924
Louis Armstrong: cornet
Aaron Thompson: trombone
Buster Bailey: soprano sax
Clarence Williams: piano
Eva Taylor: vocal
Buddy Christian: banjo |
Prezioso per un'analisi sulle capacità di Louis è anche il confronto tra le due ravvicinate versioni di
Everybody loves
my baby
(J. Palmer, S. Williams), la prima registrata
a New York il
6 novembre del '24 con i Clarence Williams
Blue Five, la seconda il 24 novembre
() con l'orchestra di Henderson
(ndr. stessa formazione del 14
novembre). Si tratta di
due versioni molto diverse tra loro per struttura ed approccio al brano che
mostrano tra l'altro la sua grande duttilità nell'inserirsi in contesti così
diversi (il combo e l'orchestra) e nell'efficacia di utilizzo della sua vena
creativa del periodo. La prima è una versione in tipico stile New Orleans, in
cui Armstrong suona la cornetta e conduce magistralmente il collettivo, suonando
con un'energia, una comunicativa ed un genuino entusiasmo non sempre
riscontrabili anche nei capolavori successivi.
La differenza sostanziale è che, con Williams,
il brano inizia dall'inciso (), utilizzato anche qui come "intro" al tema, uno
stratagemma molto semplice e già avanzatissimo (ancora oggi usato spesso da
molti protagonisti del jazz, per esempio, da un "pianista guida" come Keith
Jarrett, quando suona gli standards nei suoi concerti), che rivela un gusto
innato per la forma, mentre con Henderson, inizia più rigidamente e
classicamente dal tema principale.
La
struttura del brano con Williams prevede poi l'enunciato completo del tema da
parte di Buster Bailey
(William C. Bailey: Memphis, 19 lug 1902
- New York, 12 apr 1967)
al soprano (), seguito
dal chorus della solita scialba cantante di turno (), che Clarence tendeva ad
introdurre spesso nelle sue incisioni per motivi, supponiamo, non strettamente
musicali e che ai nostri occhi svolge purtroppo l'ingrato compito di "rovinare"
la qualità artistica dei brani. Quindi finalmente l'assolo di Louis (),
ritmicamente esplosivo, un condensato delle sue migliori idee, eseguito con un
drive incredibile alla cornetta. Da segnalare la notevole parte improvvisata
sull'inciso, contenente una specie di stop chorus accompagnato dal
pianoforte.
Viceversa nella più rigida versione
orchestrale, Armstrong, seppur limitato dall'ambito e dalle direttive del
leader, riesce a sfornare una stupenda parafrasi del tema, arte in cui
eccelleva, sincopando la melodia sin dalla prima battuta del brano e rimarcando
così l'abisso, in termini di swing, tra lui e il resto dell'orchestra. Da
segnalare, sul finale di questo brano, il suo primo intervento vocale sino
allora mai registrato ().
Anche di
Mandy, make up your mind
(GW Meyer, A. Johnston, G.
Clarke, R. Turk)
() esistono due versioni, quella con Henderson è del novembre '24, mentre quella
con Williams è del mese successivo, ma questa volta il raffronto è
improponibile, dato che l'assolo migliore e più creativo Armstrong lo esegue
indubbiamente con Henderson (). A tal proposito, rimando alla dettagliata analisi
che Gunther Schuller fa del brano nel suo notissimo "Il Jazz classico",
rimarcando che si tratta di uno dei suoi assoli più rappresentativi e studiati,
la cui analisi raccomando ai fini di una corretta comprensione del suo stile
solistico.
New York,
8 gennaio 1925
Louis Armstrong: cornet
Charlie Irvis: trombone
Sidney Bechet: soprano sax
Clarence Williams: piano
Eva Taylor: vocal
Buddy Christian: banjo |
Ultimo brano rappresentativo della breve ma
significativa esperienza con Clarence Williams è
Cake walking babies from
home
(Williams, Smith, Troy)
(), del
gennaio '25. Si tratta di uno dei migliori esempi di esecuzione
in stile New Orleans, con uno splendido collettivo dominato e trascinato
dall'energia straripante della cornetta di Satchmo e contenente un suo assolo
fantasmagorico, zeppo di idee modernissime, alcune delle quali già utilizzate e
messe in evidenza negli altri brani, sintetizzate in pochissime battute.
Inevitabile, purtroppo, la presenza della solita insipida cantante.
Evidentemente Armstrong stava perfezionando il suo stile solistico e
approfittava di queste incisioni altrui per fare un po' il punto della
situazione sullo "stato dell'arte" nell'improvvisazione, ma riusciva a farlo in
modo estremamente naturale e creativo. Lo swing e la vitalità di questo brano
lasciano semplicemente senza fiato e sono da considerare pressoché unici nella
storia della discografia jazz. Da segnalare, ad un certo punto, uno stop chorus
di sole due battute in cui Louis esegue un'arditissima e spettacolare sequenza
di note che sembra anticipare l'approccio trombettistico dei più tecnici
trombettisti del jazz moderno ().
Infine dedichiamo un piccolo spazio alla sua
immensa capacità di accompagnare le cantanti blues, citando un pezzo, forse non
conosciuto ai più, ma che è da annoverare tra i sui capolavori:
Pratt City
Blues
(Bertha Hill, Richard M. Jones), registrato con
Bertha "Chippie" Hill
(Charleston, SC, 15 mar 1905 - New
York, 7 mag 1950)
nel
novembre 1926
(ndr Chicago, Illinois per
la Okeh, con Richard M. Jones al piano). Il pezzo si
apre con una sua introduzione di otto battute, che assieme a quella notissima di
West end Blues
e a poche altre è tra le più belle che abbia mai inciso.
Segue l'ingresso della Hill (una vera cantante finalmente), con la quale Louis
dialoga, nel vero senso del termine, nelle ventiquattro battute in cui si
sviluppa il cantato (). Quindi l'assolo di cornetta, della stessa lunghezza, che,
come al solito, prende slancio dalle ultime battute del chorus precedente. Si
tratta di uno degli assoli su blues con più feeling e carica emotiva da lui mai
incisi (). Qui, più che in tutti gli altri brani si sente la piena maturità
strumentale e di linguaggio ormai raggiunte da Armstrong, all'età di soli
venticinque anni. Prerogativa questa che sarà appannaggio solo di alcuni grandi
geni del jazz a venire e che giustificano ampiamente l'appellativo di "Mister
Jazz" che il buon vecchio "Duca" volle appunto dedicare all'amico appena
scomparso, come primo di tutti loro.
Riccardo Facchi
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CD su cui si possono trovare
i
capolavori di Louis Armstrong menzionati in questo articolo |
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Data pubblicazione: 01/11/2002
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