IL CONCERTO IN RAI |
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Il
28 marzo 1968
i microfoni della RAI hanno registrato la ricomparsa alla ribalta del jazz
di un pianista che era rimasto nel ricordo di tutti gli appassionati di
questa musica Umberto Cesari. Si è trattato di un ritorno graditissimo, salutato da una straordinaria affluenza di pubblico, da calorosissimo applausi all'indirizzo dei brani eseguiti, pur nella concomitanza di fattori sfavorevoli all'esibizione del nostro pianista (strumento inadatto, mancanza di prove adeguate, defezione improvvisata di Stephane Grappelly). Il concerto, al quale hanno partecipato anche un'orchestra moderna della RAI, diretta da Giancarlo Gazzani, ed il trio di Lou Bennet, è stato realizzato e presentato da Adriano Mazzoletti, che ha avuto per Cesari parole di grande apprezzamento e di commosso bentornato. Tutti i brani da quest'ultimo eseguiti sono degni di nota, ma ci piace ricordare particolarmente un Just One Of Those Things preso su un tempo velocissimo e che ha letteralmente scatenato l'entusiasmo dei presenti. Umberto Cesàri era accompagnato dall'ottimo Giovanni Tommaso al contrabbasso, che ha preso un buon assolo nel brano sopra menzionato, nonchè dal fuori classe svizzero Daniel Humair alla batteria, anch'egli autore di un lungo assolo. Presentazione di Adriano Mazzoletti
Just one Of Those Things
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A pagina 145 di "Jazz Inchiesta: Italia" si può leggere:
"Umberto Cesàri è
entrato nella leggenda. Pianista geniale, pilota di jets, medium, corridore
automobilista, adoratore di Art Tatum, ora vive (uomo triste o felice?)
dietro i vetri di una finestra, a guardare il mondo del quale non vuole fare più
parte.
Nel 1950, trentenne, sbalordì l'Italia con la sua tecnica incredibile e venne
considerato il miglior pianista italiano.
Suonò a lungo alla radio, incise con Pes e Loffredo,
in trio, e con il quartetto di Aurelio Ciarallo.
Adesso di Cesàri si parla come si usa fare per le figure mitiche, con
affetto, con rimpianto, ammirazione.
In un'epoca votata alla divulgazione, al consumo, allo scambio informativo, un
pianista che non divulga, non consuma, non scambia informazioni e vive in una
stanza guardando il mondo da dietro i vetri ha, in effetti, qualcosa di irreale
e magico. E', anche se vivo, già uomo-leggenda.
Chiedere ad un giovane musicista se conosce il nome di Cesàri sarebbe tempo
perso. Non saprebbe chi è. E' fuori del mondo.
Chiedere a Cesàri se conosce il mondo è tempo perso. E' fuori della
finestra"
Cesàri s'infuriò molto per queste parole e invitò a casa sua, per smentire questa sua visione, Enrico Cogno, l'autore di quelle parole, che racconta:
"La stanza nella quale Cesàri
mi ospita è eccitante. Voglio dire che è una stanza nella quale si potrebbe
girare un film, una stanza che "fa colore". E' completamente
tappezzata di cartoni, scatole di "ondulato" appiattite al muro,
collages di auto da corsa, foto di motociclette in curva a 250 all'ora.
Soprattutto cartoni (quelli usati per l'imballo delle uova) applicati in
funzione di pannelli fonoassorbenti."
"...Ci sediamo accanto
al pianoforte, un mezza-coda antico che riempie l'ambiente. Cerco di sovrapporre
la immagine di questo Umberto Cesàri che mi siede di fronte (un corpo
tarchiato, un volto aperto e simpatico) con quella creata sulle descrizioni
raccolte a suo tempo. La sovrapposizione non riesce.
Cesari, visto così, non ha nulla di mitico, di leggendario. E' un uomo
con le sue idee (giuste? accettabili? obiettive? Non lo so. Le sue idee)
che sembra perfettamente inserito nel mondo. L'immagine di lui dietro i vetri è
suggestiva ma letteraria, finta e anche un po' retorica. E mi dispiace di averla
data, poichè non è quella vera, ma la tempo stesso mi piace averla riportata
così come l'ho raccolta in giro, perchè è quella che ho raccolto in giro.
Umberto Cesari parla molto, tanto, di tutto e di tutti. Del jazz, del suo
jazz, ha una visione (lo dico con profondo affetto) che mi ricorda una frase del
grande Vasarely: "un
pizzico di megalomania è la spinta indispensabile in ogni fatto creativo".
Se non avessi sentito, poco più tardi, un suo duetto con Oscar
Peterson (quest'ultimo con Ray Brown e Ed Thigpen nei brani
della Canadian Suite a tutto volume sul giradischi, Cesari al centro
della stanza a sbalordirmi, con le mani fredde senza atmosfera, nelle armonizzazioni
più complesse e difficili che abbia ascoltato da un pianista europeo) avrei
potuto dire che Cesari è soltanto un personaggio originale e basta.
Ma quel modo di trattare il piano e la mostruosa tecnica usata ne
fanno un personaggio tout-court, assolutamente unico nel mondo del jazz
italiano." (Enrico
Cogno, Musica Jazz -
Agosto/Settembre 1972)
Amava parlare e interessarsi
di tutto, raccontava storie che sfociavano nel surreale.
"In realtà, definire Cesàri "musicista" è perfino riduttivo.
Si interessava di mille cose. Nella sua stanza gli oggetti più disparati si
accavallavano come le idee musicali nei suoi assoli. Dipingeva, in uno stile
figurativo moderno e aspro. Scriveva, anche. Al suo funerale il figlio Leonardo
ne ha letto una singolare, sorprendente meditazione sulla fragilità
dell'uomo.
Era un parlatore straordinario. Suoi temi prediletti erano le moto, gli
aerei, il paracadutismo di cui amava descrivere le ebbrezze. Narrava storie
bizzarre, in cui vi era sempre un colpo di scena. Mostrava profonda conoscenza
di ogni argomento, e così si conquistava la fiducia dell'interlocutore. Poi,
pian piano, le sue storie diventavano sempre più strane, fino a sfumare
impercettibilmente nell'irreale. Si usciva da casa sua percorsi da una sottile
inquietudine. E veniva spontaneo ripercorrere mentalmente quelle storie,
cercando di separarvi realtà e fantasia. Niente: la cucitura non si trovava.
Era geniale in tutto. E in tutto esprimeva la sua fantasia grandiosa, monumentale
e bizzarra, barocca e tortuosa, amante di tutto ciò che è massiccio, denso,
affollato, convulso, traboccante, inaspettato e spettacolare. Se avesse scritto
romanzi, avrebbe rivaleggiato con Borges e Garcìa Marquez. E chissà non ne
abbia scritti. I suoi cassetti potrebbero celare sorprese." (Marcello
Piras, Musica Jazz
- Dicembre 1992)
Cesàri rifiutava la tecnica didattica legata all'impostazione scolastica e accademica:
"Fin dai primi sintomi si potè tuttavia notare l'esigenza e l'aspirazione fondamentale del nostro pianista: quella di poter raggiungere il più alto livello concettuale e interpretativo senza il minimo ausilio della tecnica didattica, intesa in chiave scolastica ed accademica." (Giulio Tripputi, Musica Jazz - Maggio 1968)
"..lo
entusiasmava la rivincita del sapere popolare sul sapere scientifico.
Per quattro
anni, narrava, aveva frequentato il Conservatorio di S. Cecilia senza
saper leggere la musica: suonava tutto a orecchio. Poi il maestro scoprì il
bluff e lo cacciò via, ma gli disse: sei un fenomeno. Non aver avuto la
benedizione della Cultura Ufficiale gli era fonte di irrisolte tensioni
interiori. Da un lato si vantava di essere una smentita vivente ai dogmi
accademici, proprio come il guaritore che sconfigge il medico. Dall'altro, la
mancanza di studi regolari lo rendeva insicuro. Per lui, alle sue opere mancava
sempre una virgola per essere perfette; e per questo le nascondeva." (Marcello
Piras, Musica Jazz
- Dicembre 1992)
Cesàri rifutava la compromissione della propria arte, cercando di
lasciarla ad uno stato assoluto di purezza:
"Dagli anni '50
in poi, insieme alla
naturale, insopprimibile spinta evolutiva di tutto lo scibile umano, si
verificò quel fenomeno d'involuzione pratica che tutti gli artisti ed
intellettuali più puri (o meno impuri) deprecano e dal quale ben pochi si
salvano...Con l'arte pura, infatti, non si sarebbe facilmente conseguito il
guadagno e il successo!...
Ed è proprio da qui che ha origine la prima seria ribellione e la
frustrazione del nostro personaggio. Il quale non avrebbe mai rinunciato alla
sua purezza e nobiltà artistica per bramosìa di facili guadagni e successi.
Questa fu ed è tuttora la sua seconda esigenza, alla quale resta coerentemente
e coraggiosamente ancorato.
Egli
- pur apprezzando e classificando realisticamente ogni tendenza, scuola, stilema
- ha sempre sostenuto e dimostrato che la vera musica è e deve essere la
sintesi più perfetta delle più nobili espressioni e proposizioni, al pari di
tutte le arti e della scienza. Ed ovviamente ha sempre badato con seria
attenzione al jazz come fonte genuina d'ispirazione e di progresso, se non altro
come stimolo al sempre maggiore arricchimento del tessuto melodico."
(Giulio Tripputi,
Musica Jazz - Maggio
1968)
"...disertava i concerti perchè, sono parole sue, non se la sentiva di
fare del cattivo jazz, come spesso gli accadeva quando suonava con
accompagnatori che non stimava" (Enrico
Cogno, Musica Jazz -
Agosto/Settembre 1972)
Teddy Wilson e Art Tatum, due pianisti a cui Cesàri si riferiva. Non
disdegnava altri grandi pianisti e ne riconosceva l'elevata vena artistica, ma
attribuiva loro l'appartenenza ad una sorta di clichè, cosa che non riscontrava
in Wilson e Tatum.
"...Egli - con umiltà e superiorità al tempo stesso - ci
faceva ascoltare interpretazioni stilistiche rapportate a clichè - da Bud
Powell a Bill Evans, da Dave Brubeck a Erroll Garner -
con una semplicità ed una forza persuasiva che non potevano dare adito a dubbi.
Mentre, altrettanto chiaramente, ci spiegava l'alta concezione ed il superiore
pianismo di un Teddy Wilson (Austin, Texas, 24/11/1912 - New Britain,
Connecticut, 31/7/1986) degli anni 1933-1938
e di un Art Tatum (Toledo,
Ohio, 13/10/1909 - Los Angeles, California, 5/11/1956) dell'epoca più
recente." (Giulio
Tripputi, Musica Jazz
- Maggio 1968)
Considerato da molti il più geniale pianista italiano e non solo, scelse di isolarsi volontariamente, rimanendo spesso chiuso in casa e rifiutando la
"ribalta". Nonostante ciò registrava spesso brani soli al piano di
cui qui vi proponiamo un ascolto.
"E fu così che - pur distaccato dal mondo ufficiale e frustrato nei suoi
più intimi e nobili proponimenti, sempre insoddisfatto per le sue
"parziali" conquiste - il nostro, nelle rare circostanze in cui uscì
dal volontario isolamento, si rivelò il più geniale pianista italiano e
probabilmente fra i più dotati di tutto il mondo: ammissione che ogni critico e
collega onesto non esitò mai a fare e che altri, per invidia o per convenienza,
preferì tacere o mascherare con pretestuose e tendenziose argomentazioni. C'è
ancora chi, nel proprio cervello, conserva chiara ed incancellabile a
reminescenza del tocco, della elaborazione, dell'inventiva, del senso quasi
scientifico delle sue ultime prestazioni e registrazioni alla RCA Italiana (mai
pubblicate per il veto ed i continui scrupoli e ripensamenti dello stesso
interessato) e alla Radio. E proprio in occasione di queste ultime prestazioni
egli ebbe a rivelare la sua completezza anche in ordine agli arrangiamenti
per grande orchestra, improvvisati e minuziosamente diretti, ad un maestro
collaboratore della succitata casa discografica." (Giulio
Tripputi, Musica Jazz
- Maggio 1968)
"Chi, come me, ha avuto il rarissimo privilegio di ascoltare
frammenti, bagliori isolati sospetta che la sua statura sia davvero grande."
(Marcello
Piras, Musica Jazz
- Dicembre 1992)
"...Alla fine della cerimonia funebre, sono risuonate
le note di uno stupendo, sovranamente maestoso My Funny Valentine
().
Confesso che non ho saputo trattenere la commozione; e forse non sono stato il
solo. Ciao Umberto, e perdonaci se vorremo ascoltarti ancora." (Marcello
Piras, Musica Jazz
- Dicembre 1992)
Questa pagina è stata visitata 6.382 volte Data ultima modifica: 30/07/2017 Segui @Jazzitalia
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