Articoli di riferimento:
"E' riapparso Cesàri" - Giulio Tripputi - Musica Jazz (Maggio 1968)
"Si risente Cesàri" - Enrico Cogno - Musica Jazz (Agosto-Settembre 1972)
"La scelta di farsi dimenticare" -
Marcello Piras - Musica Jazz (Dicembre 1992)



Chi è Umberto Cesàri? 

IL CONCERTO IN RAI

Il 28 marzo 1968 i microfoni della RAI hanno registrato la ricomparsa alla ribalta del jazz di un pianista che era rimasto nel ricordo di tutti gli appassionati di questa musica Umberto Cesari.
Si è trattato di un ritorno graditissimo, salutato da una straordinaria affluenza di pubblico, da calorosissimo applausi all'indirizzo dei brani eseguiti, pur nella concomitanza di fattori sfavorevoli all'esibizione del nostro pianista (strumento inadatto, mancanza di prove adeguate, defezione improvvisata di Stephane Grappelly). Il concerto, al quale hanno partecipato anche un'orchestra moderna della RAI, diretta da Giancarlo Gazzani, ed il trio di Lou Bennet, è stato realizzato e presentato da Adriano Mazzoletti, che ha avuto per Cesari parole di grande apprezzamento e di commosso bentornato.
Tutti i brani da quest'ultimo eseguiti sono degni di nota, ma ci piace ricordare particolarmente un Just One Of Those Things
preso su un tempo velocissimo e che ha letteralmente scatenato l'entusiasmo dei presenti.
Umberto Cesàri era accompagnato dall'ottimo Giovanni Tommaso al contrabbasso, che ha preso un buon assolo nel brano sopra menzionato, nonchè dal fuori classe svizzero Daniel Humair alla batteria, anch'egli autore di un lungo assolo.

Presentazione di Adriano Mazzoletti
Real Audio MP3 (800KB)

Just one Of Those Things
Real Audio MP3 (7.8MB)

"Per comprendere e giudicare Umberto Cesàri è indispensabile ripercorrere tutto il suo curriculum vitae fin dalla sua adolescenza. Egli, infatti, è colui il quale si presentò - a 17 anni - ad un concorso vocale-strumentale come improvvisato tenore, senza aver mai preso una regolare lezione di canto. Egli è colui il quale, poco più tardi, si presentava ad un insegnante del Conservatorio di S. Cecilia per l'esame di passaggio dal 3° al 4° anno di pianoforte, eseguendo brani di autore a memoria, ma non già per averli tecnicamente studiati e scolasticamente appresi, in quanto per lui si trattava semplicemente di averi "ripresi" dalla esecuzione di un autentico allievo del Conservatorio; e tutto ciò avveniva, naturalmente, in un clima di sportiva competizione per lui e di compiaciuto godimento per i docenti e per gli allievi che lo stavano ascoltando..." (Giulio Tripputi, Musica Jazz - Maggio 1968)

"Non è facile rispondere. Era un uomo complesso, profondo, multiforme, sfuggente, sibillino. Per gli annali del jazz italiano era quel poderoso pianista alla Tatum che nel dopoguerra aveva lasciato tutti col suo stile moderno, ardito, impastato dalle sonorità corpose del suo idolo. Di quell'epoca rimane una sola sua incisione: il
Begin The Beguine () in trio, da noi riedito in "Italian Jazz Graffiti". 
Per alcuni anni fu molto attivo; incise con il clarinettista Aurelio Ciarallo (
1954) e fu poi a lungo con la Roman New Orleans Jazz Band (1957 - 60), tra l'altro nell'Lp "Jam Session in Rome", con Trummy Young (trombone, 12 gennaio 1912 - 10 settembre 1984) e Peanuts Hucko (clarinetto, 1918). Poi però cominciò ad affiorare in lui una misteriosa ritrosia. Nel 1960 effettuò una serie di registrazioni per la RCA, ma a lavoro finito addusse strani dubbi: non andavano bene, c'era qualcosa da rifare. Non uscirono mai; tranne una, inclusa da Adriano Mazzoletti nell'album "Quarant'anni di Jazz in Italia". Anche i concerti si diradarono; a volte veniva ingaggiato e non si presentava. Solo nel 1968, ancora Mazzoletti, riuscì a trascinarlo in radio, per effettuare un mitico concerto in trio e alcune trasmissioni. Da lì in poi, più nulla."
"...Nel 1977 egli consentì anche l'uscita di alcuni brani in un Lp per la Carosello, Reminescenze. Questo è tutto quanto ci resta di lui."
(Marcello Piras, Musica Jazz - Dicembre 1992)

A pagina 145 di "Jazz Inchiesta: Italia" si può leggere: 

"Umberto Cesàri è entrato nella leggenda. Pianista geniale, pilota di jets, medium, corridore automobilista, adoratore di Art Tatum, ora vive (uomo triste o felice?) dietro i vetri di una finestra, a guardare il mondo del quale non vuole fare più parte.
Nel 1950, trentenne, sbalordì l'Italia con la sua tecnica incredibile e venne considerato il miglior pianista italiano.
Suonò a lungo alla radio, incise con Pes e Loffredo, in trio, e con il quartetto di Aurelio Ciarallo.
Adesso di Cesàri  si parla come si usa fare per le figure mitiche, con affetto, con rimpianto, ammirazione.
In un'epoca votata alla divulgazione, al consumo, allo scambio informativo, un pianista che non divulga, non consuma, non scambia informazioni e vive in una stanza guardando il mondo da dietro i vetri ha, in effetti, qualcosa di irreale e magico. E', anche se vivo, già uomo-leggenda.
Chiedere ad un giovane musicista se conosce il nome di Cesàri sarebbe tempo perso. Non saprebbe chi è. E' fuori del mondo.
Chiedere a Cesàri se conosce il mondo è tempo perso. E' fuori della finestra"

Cesàri s'infuriò molto per queste parole e invitò a casa sua, per smentire questa sua visione, Enrico Cogno, l'autore di quelle parole, che racconta:

"La stanza nella quale Cesàri mi ospita è eccitante. Voglio dire che è una stanza nella quale si potrebbe girare un film, una stanza che "fa colore". E' completamente tappezzata di cartoni, scatole di "ondulato" appiattite al muro, collages di auto da corsa, foto di motociclette in curva a 250 all'ora. Soprattutto cartoni (quelli usati per l'imballo delle uova) applicati in funzione di pannelli fonoassorbenti." 
"...Ci sediamo accanto al pianoforte, un mezza-coda antico che riempie l'ambiente. Cerco di sovrapporre la immagine di questo Umberto Cesàri che mi siede di fronte (un corpo tarchiato, un volto aperto e simpatico) con quella creata sulle descrizioni raccolte a suo tempo. La sovrapposizione non riesce.
Cesari, visto così, non ha nulla di mitico, di leggendario. E' un uomo con le sue idee (giuste? accettabili? obiettive? Non lo so. Le sue idee) che sembra perfettamente inserito nel mondo. L'immagine di lui dietro i vetri è suggestiva ma letteraria, finta e anche un po' retorica. E mi dispiace di averla data, poichè non è quella vera, ma la tempo stesso mi piace averla riportata così come l'ho raccolta in giro, perchè è quella che ho raccolto in giro.
Umberto Cesari parla molto, tanto, di tutto e di tutti. Del jazz, del suo jazz, ha una visione (lo dico con profondo affetto) che mi ricorda una frase del grande Vasarely: "
un pizzico di megalomania è la spinta indispensabile in ogni fatto creativo".
Se non avessi sentito, poco più tardi, un suo duetto con Oscar Peterson (quest'ultimo con Ray Brown e Ed Thigpen nei brani della Canadian Suite a tutto volume sul giradischi, Cesari al centro della stanza a sbalordirmi, con le mani fredde senza atmosfera, nelle armonizzazioni più complesse e difficili che abbia ascoltato da un pianista europeo) avrei potuto dire che Cesari è soltanto un personaggio originale e basta.
Ma quel modo di trattare il piano e la mostruosa tecnica usata ne fanno un personaggio tout-court, assolutamente unico nel mondo del jazz italiano." (
Enrico Cogno, Musica Jazz - Agosto/Settembre 1972)

Amava parlare e interessarsi di tutto, raccontava storie che sfociavano nel surreale.

"In realtà, definire Cesàri "musicista" è perfino riduttivo. Si interessava di mille cose. Nella sua stanza gli oggetti più disparati si accavallavano come le idee musicali nei suoi assoli. Dipingeva, in uno stile figurativo moderno e aspro. Scriveva, anche. Al suo funerale il figlio Leonardo ne ha letto una singolare, sorprendente meditazione sulla fragilità dell'uomo.
Era un parlatore straordinario. Suoi temi prediletti erano le moto, gli aerei, il paracadutismo di cui amava descrivere le ebbrezze. Narrava storie bizzarre, in cui vi era sempre un colpo di scena. Mostrava profonda conoscenza di ogni argomento, e così si conquistava la fiducia dell'interlocutore. Poi, pian piano, le sue storie diventavano sempre più strane, fino a sfumare impercettibilmente nell'irreale. Si usciva da casa sua percorsi da una sottile inquietudine. E veniva spontaneo ripercorrere mentalmente quelle storie, cercando di separarvi realtà e fantasia. Niente: la cucitura non si trovava. Era geniale in tutto. E in tutto esprimeva la sua fantasia grandiosa, monumentale e bizzarra, barocca e tortuosa, amante di tutto ciò che è massiccio, denso, affollato, convulso, traboccante, inaspettato e spettacolare. Se avesse scritto romanzi, avrebbe rivaleggiato con Borges e Garcìa Marquez. E chissà non ne abbia scritti. I suoi cassetti potrebbero celare sorprese."
(Marcello Piras, Musica Jazz - Dicembre 1992)

Cesàri rifiutava la tecnica didattica legata all'impostazione scolastica e accademica:

"Fin dai primi sintomi si potè tuttavia notare l'esigenza e l'aspirazione fondamentale del nostro pianista: quella di poter raggiungere il più alto livello concettuale e interpretativo senza il minimo ausilio della tecnica didattica, intesa in chiave scolastica ed accademica." (Giulio Tripputi, Musica Jazz - Maggio 1968)

"..lo entusiasmava la rivincita del sapere popolare sul sapere scientifico.
Per quattro anni, narrava, aveva frequentato il Conservatorio di S. Cecilia senza saper leggere la musica: suonava tutto a orecchio. Poi il maestro scoprì il bluff e lo cacciò via, ma gli disse: sei un fenomeno. Non aver avuto la benedizione della Cultura Ufficiale gli era fonte di irrisolte tensioni interiori. Da un lato si vantava di essere una smentita vivente ai dogmi accademici, proprio come il guaritore che sconfigge il medico. Dall'altro, la mancanza di studi regolari lo rendeva insicuro. Per lui, alle sue opere mancava sempre una virgola per essere perfette; e per questo le nascondeva."
(Marcello Piras, Musica Jazz - Dicembre 1992)

Cesàri rifutava la compromissione della propria arte, cercando di lasciarla ad uno stato assoluto di purezza:

"Dagli anni
'50 in poi, insieme alla naturale, insopprimibile spinta evolutiva di tutto lo scibile umano, si verificò quel fenomeno d'involuzione pratica che tutti gli artisti ed intellettuali più puri (o meno impuri) deprecano e dal quale ben pochi si salvano...Con l'arte pura, infatti, non si sarebbe facilmente conseguito il guadagno e il successo!...
Ed è proprio da qui che ha origine la prima seria ribellione e la frustrazione del nostro personaggio. Il quale non avrebbe mai rinunciato alla sua purezza e nobiltà artistica per bramosìa di facili guadagni e successi. Questa fu ed è tuttora la sua seconda esigenza, alla quale resta coerentemente e coraggiosamente ancorato.
Egli - pur apprezzando e classificando realisticamente ogni tendenza, scuola, stilema - ha sempre sostenuto e dimostrato che la vera musica è e deve essere la sintesi più perfetta delle più nobili espressioni e proposizioni, al pari di tutte le arti e della scienza. Ed ovviamente ha sempre badato con seria attenzione al jazz come fonte genuina d'ispirazione e di progresso, se non altro come stimolo al sempre maggiore arricchimento del tessuto melodico." (Giulio Tripputi, Musica Jazz - Maggio 1968)

"...disertava i concerti perchè, sono parole sue, non se la sentiva di fare del cattivo jazz, come spesso gli accadeva quando suonava con accompagnatori che non stimava" (
Enrico Cogno, Musica Jazz - Agosto/Settembre 1972)

Teddy Wilson e Art Tatum, due pianisti a cui Cesàri si riferiva. Non disdegnava altri grandi pianisti e ne riconosceva l'elevata vena artistica, ma attribuiva loro l'appartenenza ad una sorta di clichè, cosa che non riscontrava in Wilson e Tatum.

"...Egli - con umiltà e superiorità al tempo stesso - ci faceva ascoltare interpretazioni stilistiche rapportate a clichè - da Bud Powell a Bill Evans, da Dave Brubeck a Erroll Garner - con una semplicità ed una forza persuasiva che non potevano dare adito a dubbi. Mentre, altrettanto chiaramente, ci spiegava l'alta concezione ed il superiore pianismo di un Teddy Wilson (Austin, Texas, 24/11/1912 - New Britain, Connecticut, 31/7/1986) degli anni
1933-1938 e di un Art Tatum (Toledo, Ohio, 13/10/1909 - Los Angeles, California, 5/11/1956) dell'epoca più recente." (Giulio Tripputi, Musica Jazz - Maggio 1968)

Considerato da molti il più geniale pianista italiano e non solo, scelse di isolarsi volontariamente, rimanendo spesso chiuso in casa e rifiutando la "ribalta". Nonostante ciò registrava spesso brani soli al piano di cui qui vi proponiamo un ascolto.

"E fu così che - pur distaccato dal mondo ufficiale e frustrato nei suoi più intimi e nobili proponimenti, sempre insoddisfatto per le sue "parziali" conquiste - il nostro, nelle rare circostanze in cui uscì dal volontario isolamento, si rivelò il più geniale pianista italiano e probabilmente fra i più dotati di tutto il mondo: ammissione che ogni critico e collega onesto non esitò mai a fare e che altri, per invidia o per convenienza, preferì tacere o mascherare con pretestuose e tendenziose argomentazioni. C'è ancora chi, nel proprio cervello, conserva chiara ed incancellabile a reminescenza del tocco, della elaborazione, dell'inventiva, del senso quasi scientifico delle sue ultime prestazioni e registrazioni alla RCA Italiana (mai pubblicate per il veto ed i continui scrupoli e ripensamenti dello stesso interessato) e alla Radio. E proprio in occasione di queste ultime prestazioni egli ebbe a rivelare la sua completezza anche in ordine agli arrangiamenti per grande orchestra, improvvisati e minuziosamente diretti, ad un maestro collaboratore della succitata casa discografica." (
Giulio Tripputi, Musica Jazz - Maggio 1968)

"Chi, come me, ha avuto il rarissimo privilegio di ascoltare frammenti, bagliori isolati sospetta che la sua statura sia davvero grande."
(Marcello Piras, Musica Jazz - Dicembre 1992)

"...Alla fine della cerimonia funebre, sono risuonate le note di uno stupendo, sovranamente maestoso My Funny Valentine (). Confesso che non ho saputo trattenere la commozione; e forse non sono stato il solo. Ciao Umberto, e perdonaci se vorremo ascoltarti ancora." (Marcello Piras, Musica Jazz - Dicembre 1992)


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Data ultima modifica: 30/07/2017





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