Intervista a Giovanni Sollima
di Giuseppe Mavilla
Giovanni Sollima,
è un compositore di livello internazionale nato a Palermo nel
1962 che porta un cognome illustre nell'ambito
della didattica musicale siciliana. E' anche un musicista di larghe vedute e di
notevole eclettismo, da una parte il violoncello nella sua dimensione classica,
da giovanissimo, ma successivamente dentro la sua anima musicale le sollecitazione
prodotte dalla sua innata curiosità lo portano ad esplorare ogni linguaggio della
musica contemporanea, dalla musica seria al jazz passando attraverso l'immenso bagaglio
della popular music, con le sue contraddizioni ma anche con i tanti risvolti sociali
e culturali. E bene citare a tal proposito le sue personalissime interpretazioni
al violoncello di due famosi brani di Jimi Hendrix, Angel e
Purple Haze. Le sue composizioni sono presto oggetto di attenzione di musicisti
come Riccardo Muti e Gidon Kremer e la sua arte è sollecitata da un
esponente del minimalismo Philip Glass.
L'abbiamo incontrato nell'ambito del Festival Magie Barocche subito
dopo il concerto tenuto a Modica lo scorso 29 luglio
2006 durante il quale ha dimostrato a
noi presenti quali grandi potenzialità ha uno strumento come il violoncello quando
è strappato a quel ruolo così serio e contenuto al quale è relegato per sua natura.
Sollima
ha interpretato e suonato alla sua maniera un programma che includeva sue composizioni
tra le quali Concerto Rotondo e
Lamentatio entrambe del
1998 e brani come Angel e
Purple Haze di Jimi Hendrix e la
Folia di Marin Marais. Sulle corde del suo
unico compagno di scena si sono abbattuti i furori, i sentimenti, le emozioni e
i gemiti di un grande musicista che non ha mai delineato i confini alla sua musica.
G.M.: Come fa un musicista di estrazione classica
ad arrivare al rock e quindi ad Hendrix?
G.S.: È tutto gestito
da questa curiosità patologica che mi spinge a farlo, Hendrix è un classico
a modo suo, ho ripreso anche brani dei Pink Floyd, ho fatto di tutto, ho
suonato con lo stesso organico pezzi di Haydn e degli stessi Pink Floyd
all'interno
di un unico progetto, è andata benissimo, mi piace attingere, confrontarmi con altre
forme di concetto compositivo ed è un'esperienza molto importante.
G.M.: Quindi la popular music è
stata ed è importante anche per voi musicisti di origine classica?
G.S.: Secondo me è importantissima, anche se qualcuno storce il naso, ma
se si va a fondo si scopre un territorio ricchissimo, hanno sviluppato dei linguaggi
armonici di straordinaria bellezza senza contare gli aspetti sociali e politici,
io stesso da piccolo ascoltavo Bach è vero ma ascoltavo ad esempio anche
gli Area.
G.M.: E di quel filone della Popular Music, che
guardava molto all'interno di un certo tipo di musica classica, il cosiddetto Progressive
Rock di gruppi come Genesis, Gentle Giant, Van Der Graaf, hai
sviluppato qualcosa?
G.S.:
No di quel filone non ho preso niente, ho sviluppato invece un progetto sui
Beatles l'anno scorso che ho registrato a Parigi. Voglio sottolineare che
io di fatto non riprendo il brano e lo ripropongo così per intero nella sua struttura,
bensì quello che a me interessa è una cellula, un frammento che io prelievo e metto
da parte e ne faccio qualcos'altro. La trascrizione fine a se stessa, passiva, a
me non piace, quello che a me interessa studiare è una sorta di codice interattivo,
comportamentale, genetico e poi il violoncello...
G.M.: Lo hai strappato alla suo vecchio ruolo?
G.S.: ...ci rientro, anche stasera ho fatto dei pezzi del ‘600, sono pezzi
dell'antichità, però anche lì c'è un fuoco, pacato, velato, per esempio nel pezzo
di Giovanni Degli Antoni "Ricercata VII"
ci sono delle linee mediorientali. Degli Antoni, Gabrielli sono violoncellisti
dell'era jurassica del violoncello che mi interessano molto perché loro gia d'allora
sperimentavano.
G.M.:
Alcuni grandi musicisti come Muti o Gidon Kremer hanno
interpretato la tua musica. A chi ti senti più vicino musicalmente?
G.S.: Naturalmente Gidon Kremer è un musicista a cui mi sento molto
vicino che mi interessa molto, è uno che gioca moltissimo però al tempo stesso ha
delle ferite profonde che si porta dietro.
G.M.: Dalla tua biografia leggo che nel
1995 hai formato un ensemble a New York. Quanto
il clima musicale di quella città unica al mondo, i sui fermenti, i suoi musicisti
hanno influito sulla tua attività musicale?
G.S.: Per l'esattezza nel 1995 io ho
formato un ensemble qui in Italia e poi successivamente ne ho formato un altro in
America a New York nel 1998, tra l'altro questa
è una cosa divertente di cui ti voglio parlare. Siccome mancavano sempre le risorse
economiche allora Philip Glass mi disse: "Giovanni perché non formi due
ensemble e così ti sposti solo tu?". Inizialmente ho seguito il consiglio di
Glass, ma poi ho deciso di far suonare insieme i due ensemble. Per quanto
riguarda l'altro aspetto di cui tu mi chiedi devo confessarti che io sono arrivato
a New York già caricatissimo, sapevo cosa fare, ero una scheggia impazzita, New
York è una città che ho sempre sentito molto vicina, c'ero gia stato da bambino
e poi ancora in varie fasi della mia vita. Sai lì è molto interessante questo processo
di melting pot, di convergenza, New York non è una città americana, è la
proiezione di tutto il resto, nelle arti visive, nella danza, nella musica poi è
il massimo, ci sono tutta una serie di esperienze a portata di mano, c'è un rapporto
particolare con la sperimentazione, molto diverso da come avviene in Europa è molto
più sdrammatizzata, c'è una voglia di mettersi in gioco e in pericolo, noi qui in
Europa puntiamo sempre il dito per dire quello è buono, l'altro fa schifo. Lì è
diverso c'è un dibattito aperto, qui da noi tutto è regolato da una serie di poteri
come le direzioni artistiche, i finanziamenti. In una città come New York ci sono
centinaia di fondazioni come la Columbia University, se il progetto è valido
viene finanziato superando ogni logica di appartenenza.
Giovanni Sollima, violoncellista
e compositore, nasce a Palermo nel 1962
da una famiglia di musicisti. Presso il Conservatorio della sua città si
diploma in Violoncello con Giovanni Perriera e in Composizione con
il padre, Eliodoro Sollima, perfezionandosi al Mozarteum di Salisburgo
e alla Musikhochschule di Stoccarda con Antonio Janigro e Milko
Kelemen.Intraprende giovanissimo una brillante carriera internazionale
di violoncellista, collaborando con grandi musicisti, come Giuseppe Sinopoli,
Bruno Canino, Jorg Demus e Martha Argerich.
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G.M.: Che giudizio dai del minimalismo di
Philip Glass?
G.S.: Glass dice una cosa molto importante
e cioè che il minimalismo è nato ed è morto nel 1964,
ha avuto una vita breve perché così doveva essere perchè in fondo non è altro che
una cellula che gira su se stessa fino a neutralizzarsi. Esponenti di questa musica
oggi sono solo pochi musicisti, quasi degli asceti come La Monte Young,
Terry Riley, Steve Reich. In realtà io facevo questa musica da bambino,
mi interessava per la sua ritualità, ma non ne sapevo niente prima di incontrare
Philip Glass.
G.M.: È stato importante Glass per
la tua formazione musicale?
G.S.: È stato come un papà, ha prodotto un mio cd, mi ha messo a disposizione
il suo studio.
G.M.: Ora vorrei chiederti, così come faccio
sempre quando intervisto un musicista, quale musica ascolti attualmente?
G.S.: Ascolto di tutto senza preclusioni, a volte anche in modo quasi incivile
nel senso che passo da un brano all'altro velocemente senza aspettare che si concluda
però in questo periodo sto ascoltando parecchia musica folk, ascolto Bjork,
Shannon Wright, una cantautrice folk che suona benissimo la chitarra,
Joan As Policewoman, cantautrice newyorkese, secondo me la nuova Bjork anche
se completamente diversa.
G.M.: Musicalmente ti muovi su molti versanti,
dalla musica da film alla musica per balletti, dal contemporaneo alla musica antica,
quale può essere il filone che pensi di sviluppare nel futuro?
G.S.: Dipende da tanti fattori, ad esempio per il cinema dipende da ciò che
passa nella mente dei produttori e dei registi, a volte capita che usino musiche
gia esistenti. L'esperienza che ho fatto con Greenaway è stata importante
il suo linguaggio è meno filmico di altri, è più da video installazione, i suoi
film cominciano ad essere come dei piccoli oggetti della memoria un po' come ho
fatto io con la mia musica. Poi c'è la danza che mi stimola molto vedremo cosa si
presenterà.
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Data pubblicazione: 21/11/2006
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