Bardo Music Recorded in Spoleteo, Italy in Spring 2000
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Jonas Hellborg
Good People in Time of Evil
1. Aga of the ladies
2. Savitri
3. Leal Souvenir
4. Bhakti Ras
5. Who Would You Like to Be?
6. Uma Haimavati
Jonas Hellborg - bass Shawn Lane - guitar V. Selvaganesh - vocals, udu Ustad Sultan Khan - sarangi
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Ripercorrendo anche senza troppo metodo critico l'intera carriera di
Hellborg si riconoscono dei momenti centralizzanti, basilari, attraverso
cui la proposta e l'interesse concettuale del poliedrico bassista svedese acquisiscono
nuovi modelli di riferimento, e conseguentemente nuove forme.
Di certo è fondamentale la sua presenza nella "seconda" Mahavishnu
Orchestra che lo vede giungere alla produzione dell'omonimo album nel
1984, voluta dall'eclettico McLaughlin
che già rappresentava sin dai primi anni di studio un punto di riferimento assoluto
per il giovane Hellborg.
Quattro anni più tardi lo vediamo alle prese con un trio accompagnato
da Trilok Gurtu alle percussioni
e sempre da McLaughlin. Questa situazione esercita una notevole influenza
sul nostro, soprattutto considerando i risvolti degli anni successivi, e porta a
maturazione l'interesse verso tavolozze armoniche e scelte compositive riccamente
contaminate dalla musica orientale.
Nel 1995 comincia poi a collaborare
con il chitarrista Shawn Lane, alle prese con la pubblicazione di diversi
album di ottima qualità e di stampo Fusion, nel significato più letterale del termine,
e che effettivamente costituiscono una vera e propria incubazione di "Good
People in Time of Evil".
Questo disco viene registrato dal vivo durante un concerto tenutosi a
Spoleto, in cui Hellborg si presenta in una formazione a lui decisamente
congeniale, il trio, accompagnato dall'ormai fedelissimo Shawn Lane alla
chitarra e dallo sconcertante percussionista indiano Selvaganesh alle tabla.
Si tratta di un lavoro molto espressivo. La sensazione generale che questo
lascia all'ascoltatore è di potenza e di distensione al tempo stesso, dovuta in
grossa parte alla strategia ritmica del basso e delle percussioni. Durante i 6 lunghi
brani si nota infatti un'alternanza continua fra ritmi serrati e complessi e cadenze
molto più morbide, meditative, che conferiscono un moto dall'andamento sinuoso che
non si arresta lungo tutta la durata del disco. Le soluzioni armoniche sono invece
più serrate ed omogenee, contaminate in modo esplicito dal patrimonio musicale indiano
e quindi tendenzialmente orientate verso la costruzione di strutture profonde e
meditative. L'effetto è così marcato che in certi momenti sembra davvero di ascoltare
brani New-age o Ambient senza però che così facendo si scada nel kitsch.
E' dominante su tutte la presenza di Hellborg, che riesce a proporre
una tecnica veramente elevata ma non fine a sé stessa, coronata da un'ottima capacità
di intuizione solistica. Il suo suono è molto ricco, impregnato della lezione di
Jaco Pastorius,
ma accresciuto da espedienti più moderni, fra cui un'impareggiabile tecnica "slap"
che nulla ha da invidiare a nomi come Victor Wooten o Steve Swallow.
A tal proposito è illuminante il terzo brano, "Leal Souvenir"
dove il nostro si muove con grande bellezza lungo un a solo sulla base ritmica delle
tabla che non può non essere apprezzato anche ad un ascolto superficiale.
E' proprio con l'appoggio di Selvaganesh che Hellborg dà
il suo meglio. Questo percussionista riesce a costruire in effetti delle griglie
ritmiche di complessità notevole ed a gestirle con scioltezza, così da potersi concentrare
totalmente sul suono e sul feeling d'insieme. Tale modo di suonare è legato a doppio
filo con la didattica e l'impostazione musicale indiana, dove il ritmo è espresso
attraverso le tabla, serie di successioni ritmiche cui corrispondono suoni diversificati
sullo strumento (quasi sempre la tabla, strumento tradizionale indiano) al cui interno
è possibile improvvisare liberamente. Ma siccome la tradizione scolastica indiana
vuole che le tabla siano anche cantate oltre che suonate, ecco che il percussionista
appare anche improvvisamente impegnato in una scansione sillabica delle successioni
ritmiche, una sorta di solfeggio cantato, che costituisce un vero e proprio a solo
(sempre durante "Leal Souvenir").
Esempi molto eloquenti delle capacità di questo musicista sono anche il
quinto brano, "Who Would You Like to Be?" molto
veloce e frenetico, ed il sesto, "Uma Haimavati"
decisamente più ricco di groove. La sua fluidità e la morbidezza dei suo fraseggi
però non vengono mai a mancare, e si può giungere ad affermare che si tratta di
una delle peculiarità che rendono unico e valido questo disco.
Ma a questo punto è ingiusto non considerare gli sforzi di un chitarrista
che, è il caso di dirlo, riesce veramente nell'impresa di trasformare in suono qualsiasi
cosa si soffermi nella sua mente. Non si tratta solo di melodie, ma anche di vere
e proprie textures sonore, ricche eco e delay, che costituiscono un background dal
forte sapore New-age. Se è vero che la sua non è una parte emergente tanto quanto
quelle degli altri due musicisti, è però certo che costituisca una presenza essenziale.
Ascoltando il secondo brano "Savitri" si possono
cogliere molto bene le intenzioni di questo chitarrista, che si destreggia fra temi
e parti soliste con omogeneità, riuscendo a non fare trasparire alcun momento di
rottura nel flusso melodico.
Già dal primo ascolto si rendono degni di nota "Aga
of the Ladies" e la già citata "Leal Souvenir", senza alcun dubbio
i momenti culminanti di questo lavoro. Interessante è anche il quarto brano, "Bhakti
Ras", l'unico che presenti una vera differenziazione dal resto del disco,
composto da un duetto di Hellborg con il suonatore di sarangi Ustad Sultan
Khan, special guest della serata a Spoleto.
A conti fatti si tratta sicuramente di un disco non semplice, che richiede
una certa volontà di ascolto, ma che rivela tanti aspetti affascinanti quanto più
si riesce ad esaminarlo in profondità, dall'interno,e molto più di quanto non succeda
invece in alcuni dei dischi precedenti di Hellborg. Bisogna considerare che
si lega comunque alla produzione di uno degli artisti più notevoli nel panorama
della Fusion contemporanea e che risponde a precise necessità e ricerche musicali.
Achille Zoni per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 25/02/2007
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