Jazzitalia - Jhelisa: A Primitive Guide To Being There
versione italiana english version
 
NEWS
Bookmark and Share Jazzitalia Facebook Page Jazzitalia Twitter Page Feed RSS by Jazzitalia - Comunicati Feed RSS by Jazzitalia - Agenda delle novit�

Ed. Infracom 2006
Jhelisa
A Primitive Guide To Being There


1. Freedom’s Land
2. Flute Band In Gauteng
3. Culture Of Silence Part 1
4. Culture Of Silence Part 2
5. Journey Of Life In 9 Minutes
6. Love Is State Of Mind
7. Walking On Air
8. Far I Have Come, Far I Must Go
9. Survivin’ In The Key Of Eflat

James Singleton - Bass (Acoustic)
Michael Skinkus - Percussion
Dinesh - Percussion
Sagat Guirey - Bass, Guitar
Raj Gupta - Percussion, Arranger, Drum Programming, Drums
Pete Z. - Keyboards
Andy Waterworth - Bass
Kendrick Marshall - Keyboards, Fender Rhodes
Terence Higgins - Drums
Jackie Pickett - Bass (Acoustic)
Julian Crampton - Bass
Phil Hudson - Guitar
Remi Kabaka - Drum Programming




Il titolo è cambiato dopo che Jhelisa ha avuto a che fare con l'uragano Katrina. Un'esperienza che le ha fatto ridisegnare alcune liriche come quelle di Journey of life in 9 minutes o Survivin' in the key of E flat. Jhelisa Anderson ha alle spalle trascorsi vitali che traggono le loro origini dalla cultura "Dirty Dozens" ed attraversano, naturalmente, il rap e le frange estreme hip hop.

Le zigzaganti sonorità l'hanno portata all'acid jazz (conio lessical-musicale d'estrazione più giornalistica che non acustica) e l'hanno immortalata al successo discografico con "Friendly Pressure". Un lavoro che evidenzia le influenze blues e gospel che l'artista del Missisipi ha costantemente fagocitato nel corso del tempo e che evocano i fasti del passato.

Nove brani, però, che non lasciano il segno. Assolutamente. Carichi di suoni ben equilibrati e ben costruiti ma ineluttabilmente già sentiti. Freedom's land è una sorta d'arco musicale tra il gospel ed il blues ben poco strutturato e che al secondo passaggio uditivo crolla senza ulteriore ausilio.

Flute Band in Gauteng, invece, capitola grazie al tentativo di edulcorare le gentilezze elettroniche (di per se già cementate) con tornite celtiche che ammansiscono la voce di Jhelisa fino a renderla pressoché inutile.

Culture of silence è in due parti: quella d'apertura, tanto ostinatamente elettronica quanto superflua e la seconda che apre ad un caleidoscopico ventaglio di colori black, ma del tutto smorzati.

Un country-world-blues avvolge Journey of life in 9 minutes. Lì dove traspaiono alcune considerevoli lacune timbriche della nostra.

Gli accenti mutano in Love is a State of mind. Jhelisa riprende il suo ruolo, ma lo conduce in un brano già ascoltato un milione di volte. O forse di più.

Un tentativo di vitalità tribale sommessamente miscelato ad un gospel post moderno è l'identità di Walking on air.

Far I have come, Far I must go vorrebbe evocare le traditional songs ma con una povertà di linguaggio che in pochi casi si sono udite anche perché arricchite da uno stucchevole ausilio elettronico.

Si chiude con uno pseudo spiritual.

Jhelisa ha tentato di riportarsi alle radici ed al suo vissuto. Ma siamo certi che il suo vissuto fosse questo?
Alceste Ayroldi per Jazzitalia













Invia un commento


Questa pagina è stata visitata 1.680 volte
Data pubblicazione: 12/02/2007

Bookmark and Share



Home |  Articoli |  Comunicati |  Io C'ero |  Recensioni |  Eventi |  Lezioni |  Gallery |  Annunci
Artisti |  Saranno Famosi |  Newsletter |  Forum |  Cerca |  Links | Sondaggio |  Cont@tti