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Wu Ming 1
New Thing
Prezzo di copertina € 14,00
218 p.
Anno 2004 Editore Einaudi

La nuova cosa di Wu Ming.
C
hissà in quanti lettori CD gira –oggi- Albert Ayler? Nessuno farà mai una simile indagine di mercato. Eppure in Italia, a Bologna, si ragiona di Ayler, di avanguardia, di potere nero. E un libro come quello di Wu Ming 1 porterà magari questa musica ad una nuova generazione di lettori-ascoltatori. Un germe di musica sovversiva, iconoclasta, anche violenta ma ricca di ideali e di anima. Come la politica dei sixties. Diceva Ornette Coleman: come Nero e jazzman, mi sento miserabile. Per provare la diversità, la disperazione e l'alienazione non c'è un tempo. Forse il free può ancora urlare il suo messaggio. New Thing è poliedrico: romanzo giallo, saggio storico, testo politico. E' filmico e pittorico. La tecnica di assemblare brani eterogenei, con un montaggio del materiale cubista, quasi si trattasse di un papier collé, ha permesso all'autore Wu Ming 1, del collettivo omonimo bolognese, di realizzare un documentario, usando il metodo della storia orale. Dietro il giallo, emergono le coordinate che muovono Wu Ming 1: la storia rimossa dall'America ufficiale del black power e quella musicale della black music. Una duplice narrazione che si interseca per frammenti e finisce col comporre un vivido affresco del periodo. Per sfondo una New York ambigua e notturna, plurale come le voci narranti, con in primo piano il ponte di Williamsburg, dove Sonny Rollins è entrato nel mito praticando la solitudine del suo sax tenore tra rumori urbani e locali, dove si suona il "nuovo jazz". Figura centrale del libro è Sonia Langmut, una giornalista underground frequentatrice dei musicisti e dei critici dell'avant-garde jazzistica. La storia segue il filo del suo archivio su magnetofono, mentre lei è svanita, ingoiata dal tempo. Un po' come gli anni Sessanta raccontati in New Thing. Un libro che riempie le assenze con dei fantasmi. Intangibile la protagonista-giornalista, invisibile o frutto della psicosi collettiva l'assassino, il figlio di Whiteman, aleggiante il guru del jazz John Coltrane. Un Coltrane colto nell'acme tragica della sua esistenza, in prossimità della morte, quando divorato dal cancro trova la forza di suonare una musica intensamente spirituale, forse il canto definitivo del suo popolo. Il suono universale, che ossessionò i suoi ultimi giorni.

La figura di Coltrane nella storia del jazz e dell'America aumenta in proporzione di anno in anno. Il libro recentemente scritto da Ashley Kahn A love Supreme, sottolinea proprio questo aspetto, facendo parlare i discepoli di 'Trane', di oggi e di ieri. Nel jazz ma anche nel rock e nel rap. Sul musicista e sul mistico. Come uomo di impegno sociale e come compositore della prima "opera" lunga e unitaria prodotta dalla musica nera e che forse coglie l'anima di un popolo [1].

Wu Ming ha scavato nelle storie e trascinato in letteratura il 23 aprile 1967, data dell'ultima esibizione live di John Coltrane, impegnato nella raccolta fondi per il Center for african culture voluto da Olatunji Babatunde, il percussionista nigeriano.

Un estremo ritorno all'Africa, per un musicista che morirà di lì a pochi mesi. La sua perdita segnerà la comunità nera almeno quanto quella di Malcom X o di Martin Luther King. Il romanzo è ambientato proprio nell'anno della sua morte, che si agita nel dipanarsi del racconto come un presagio, e sembra delinearsi come lo spartiacque di un'epoca. In parallelo l'altro omaggio del romanzo ad un maître à panser afro-americano, l'attivista e leader radicale Stokely Carmichael: morto in Africa di un male incurabile, nella sua terra di esilio e di ultima lotta politica. Stokely e 'Trane' sono come i dioscuri generati dalla madre Africa. Coltrane rappresenta il gemello reso immortale dalla sua arte, mentre Carmichael, sconfitto dalla persecutoria politica americana, appare oggi una figura in ombra cui nel romanzo si ridà una propria dignità, sgombrando il campo dalle infamanti accuse di essere un informatore dei servizi segreti. Voci che la CIA stessa insinuava ad arte per colpire i leaders nella loro credibilità presso la comunità nera. E tra le pieghe del giallo l'autore dissemina vere e proprie pagine di riscrittura della storia del Black Panther Party, di denuncia dei continui depistaggi dei servizi segreti e delle brutalità poliziesche. Inserire un serial killer di musicisti neri dell'avanguardia jazz è solo apparentemente balzano. Perché non colpire la comunità afro-americana nei simboli della sua musica? Specie quando il jazz, la più importante acquisizione culturale nera, improvvisamente si radicalizza. Il jazz libero, free, testimonia l'irrompere di un nuovo linguaggio e di nuove pratiche improvvisative, laddove i giovani neri rovesciavano sul movimento dei diritti civili e sui liberals bianchi nuove prassi di rottura. La New thing, forse l'ultima nel Novecento a ricoprire il ruolo di arte d'avanguardia in funzione rivoluzionaria. E poi H. Rap brown affermava che: "Le vite dei Neri sono politiche, perché il popolo nero conduce una lotta incessante contro il bianco..." [2]

Diceva il più acuto teorico del free, Archie Shepp, sassofonista engagé, figura sartriana del jazz: "Il musicista nero è un riflesso del popolo nero, in quanto fenomeno culturale e sociale. Il suo scopo deve essere quello di liberare, sul piano estetico e sociale l'America dalla sua disumanità". E Stokely Carmichael ricambiava e rafforzava il concetto: "La musica di Archie Shepp è la grande bellezza nera del potere nero". L'equazione free jazz-black power era oggettivizzata: entrambe le citazioni sono tratte da un testo di due critici marxisti francesi che già nel titolo porta iscritto questo nesso [3]. L'acquisizione del valore culturale del jazz, arricchita di un valore sociale e finalmente politico, viene per prima teorizzata dallo scrittore-poeta-attivista Leroi Jones/Amiri Baraka ne Il popolo del blues, e più ancora dalla critica europea. Ma non è un rapporto costruito ex post, una sovrastruttura ideologica. Ricorda il sassofonista Frank Lowe (un altro discepolo di Coltrane) di aver assistito ad un film sulla morte della pantera nera Fred Hampton. Nella camera del militante, dietro il suo corpo crivellato di colpi, c'era una pila di dischi. Sopra campeggiava Out to lunch di Eric Dolphy. Il sassofonista rimase impressionato dal fatto che un militante ascoltasse la stessa musica che piaceva a lui. D'altro canto Dolphy, con i suoni puntuti del suo sax alto, interrogava e scuoteva a fondo la realtà e il linguaggio. Wu Ming 1 ha lavorato quattro anni nel raccogliere materiale documentario e restituisce questa e altre suggestioni, sapientemente insinuate nel testo. I titoli di coda –così chiama Wu Ming 1 la postfazione- forniscono ai lettori più curiosi i riferimenti musicali e culturali per proseguire il viaggio.
Franco Bergoglio per Jazzitalia


[1] Ashley Kahn, A Love Supreme, Milano, Il Saggiatore, 2004.
[2] H. Rap Brown, "Muori schifoso negro, muori!", Milano: Longanesi, 1971, p.93.Brown è stato presidente dello Student Nonviolent Coordinating Committee (SNCC) nel 1967 e poi leader del Black Panther Party.
[3] Philippe Carles, Jean-Louis Comolli, Free Jazz/ Black Power, a cura di G.Merighi, Torino: Einaudi, 1973 p.29.















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Data pubblicazione: 12/04/2005

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