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Robert
Stewart
Nat the cat
the
music of Nat King Cole
1.
Nat the cat
2. Make her mine
3. Harlem after midnight
4. Blue gardenia
5. Somewhere along the way
6. A blossom fell
7. That sunday, that summer
8. Tha sand and the sea
9. I don't want to see tomorrow
10. The ruby and the pearl
11. Mona Lisa
Robert Stewart: tenor
sax
Ed Kelly: piano
Mark Williams: bass
Sly Randolph: drums
Kevin Stewart: piano
on 1 & 3
Robert Stewart III: flute
on 1 & 3
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Robert Stewart traghetta
il jazz verso il nuovo millennio nella maniera migliore Qualche anno fa i
giovani talenti che si affacciavano sulla scena del jazz venivano definiti
YOUNGSTER e avevano come obbiettivo principale, nella maggior parte dei casi,
quello di di dare di sé un'immagine nuova che si distaccasse dal jazz delle
origini, per affermare un forte legame con il presente. Nulla da obiettare se
non che spesso alle dichiarazioni di intenti seguivano prove abbastanza
convenzionali e, di fatto, sulla scia dei grandi maestri del passato. Ci
sono però state delle, e ci sono, delle ecezioni. Viene in mente ad esempio il
primo James Carter, appena uscito dalla palestra determinante del gruppo di
Lester Bowie. Il suo stile, sia al tenore che al baritono, era chiaramente
debitore del passsato, senza complessi e senza pregiudizi. Dello stesso tipo é
l'approccio jazzistico del giovane sassofonista di Oakland, California, Robert
Stewart. Il grande Billy Higgins, scomparso poco tempo fa
ed indimenticabile batterista, lo definì il più grande giovane talento emerso
negli ultimi anni. I punti di riferimento del sassofonista sembrano essere due
maestri del passato lontano come Ben Webster e Coleman Hawkins, ovvero due che
sapevano come far cantare e sussurrare il loro sax quando interpretavano le
ballads. Robert Stewart ha lo stesso vibrato emozionante di Webster e Hawkins,
nonchè la stessa predisposizione per i pezzi ad andamemnto medio lento.
Esempio pregnante, il brano incluso nella compilation della nostra rivista
tratto dall'album BEAUTIFUL LOVE quasi interamente composta da ballads.
Cresciuto alla corte i Wynton Marsalis nella prestigiosa Lincoln Center
Orchestra, il sassofonista ha iniziato a suonare lo strumento abbastanza tardi
(17 anni), ma, dotato di grande talento naturale, ha in fretta recuparato il
tempo perduto. Tre album per la prestigiosa Red Records di Sergio Veschi, tra i
primi a notarlo, più varie collaborazioni in altri album, ad esempio della Criss
Cross, hanno permesso a Stewart di crearsi una sana e robusta reputazione sia
tra gli stessi musicisti che tra critica e pubblico. Inoltre Robert Stewart
ha anche registrato per la Q-West, l'etichetta di Quincy Jones e un paio di Cd
per la Wea. Il suo segreto è forse il sapore vagamente dejà vu del suo jazz, che
però ha anche profonde radici nel blues e nel rhythm and blues. E poi, più dei
due giganti citati, sapete che, per stessa ammissione del sassofonista , è stato
il collega del passato che lo ha maggiormente influenzato ? La risposta è
Gene Ammons, poderoso sassofonista che, nel ventennio tra il
1954 e e il 1974, anno della sua scomparsa, registrò numerosi dischi di valore
per la Prestige e altre etichette. E ascoltando Stewart e poi Ammons si
capisce benissimo0 quanto il giovane abbia ascoltato la sonorità ampia e rugosa
del maestro. Lungi dall'esere una copia di questo o quello Robert
Stewart ha intrapreso una coraggiosa e personalisssima riscoperta degli
stilemi di basse del tenorismo jazz e li ha coniugati in un contesto che si
ascrive di diritto alla post Coltrane Age perchè nel suo stile, fraseggio,
suono, concezioni ritmiche, etc.. si avvertono anche gli echi della musica
modale e del mondo che è passato attraverso Rollins, Coltrane, Henderson,
Bergonzi, etc.. Non stupisce quindi che molti musicsti di gran nome siano anche
suoi estimatori e supporter come Marsalis, Roach, Pharaoh Sanders, Eddie Harris,
etc.. incluso l'ex presidente USA Bill Clinton Marco Crisostomi
- Jazz Magazine
Tutto questo album è dedicato con commozione alla memoria del grande
Nat King Cole. Possano il suo spirito e la sua musica vivere in eterno.
Robert Stewart
Uno dei più impressionanti tenorsassofonisti di hard bop emersi negli anni Novanta, Robert Stewart, originario di Oakland (California), non impugnò lo strumento prima dei diciassette anni. Si immerse però nella musica di Coleman Hawkins, Ben Webster, Sonny Rollins e John Coltrane come pure nelle opere del suo mentore, Pharoah Sanders - in maniera tale da sviluppare rapidamente un proprio robusto suono.
Scott Yanow - All Music Guide
Si tratta forse del più importante giovane artista ad essere emerso negli ultimi decenni.
Billy Higgins
Su Judgement: Eric Reed, Mark Shelby, Billy Higgins e il corposo suono di Stewart rendono questo disco accessibile a tutti.
Un’incisione jazzistica superba.
Michael Bailey - All About Jazz
Il giovane tenorsassofonista Robert Stewart nell’arco di tre album superlativi si è mosso con sapienza dal jazz mainstream alle ballads al R&B venato di blues.
Christine Alicino - L.A. Times
Qui come altrove, Stewart sembra rinascere respirando il suono di alcuni colossi del jazz. In verità, c’è un che di vero nelle dicerie che indicano Stewart come una seconda reincarnazione di Ben Webster, ma Stewart non è rimasto attaccato al solo grande Ben; le sue influenze sono una miriade.
Si possono rintracciare anche schegge provenienti da vecchie e venerate 'statue' come Coleman Hawkins, assieme ad altre meno note, come Gene Ammons. Furono gli attacchi al sax tenore di Ammons, aggressivi e carichi di R&B, a predisporre maggiormente l’orecchio di Stewart; egli stesso ha frequentemente espresso la sua ammirazione per Ammons. Speak Through Your Horn, una jam incendiaria da Judgement, dimostra giusto giusto quale significato Ammons abbia avuto nello sviluppo musicale di Stewart.
Nicky Baxter - San Francisco Weekly
Robert Stewart, un giovane grande sax al servizio
della tradizione Terzo Cd in ordine di tempo per la Red Record
del tenorsassofonista Robert Stewart; un nome che ai neofiti dirà poco,
ma da anni è diventato uno dei beniamini del popolo del jazz, proprio grazie
alle pubblicazioni della label milanese. Ex sassofonista di
Wynton Marsalis (Jazz Lincoln Orchestra) Stewart possiede una
sonorità calda e inconfondibile che lo pone dritto tra Ben Webster e Coleman
Hawikins rivisti alla luce della post Coltrane Age. Si
tratta pertanto di un musicista "anomalo", se lo rapportiamo con le tendenze
attuali abitualmente frequentate dai giovani jazzmen. Questo "Nat the Cat", dopo il precedente bellissimo album di ballads (Beautiful Love – Red Records 273), è un ulteriore omaggio ad
un grande romantico del jazz: Nat King Cole. E’ uno di quei dischi che
giudicherei "infallibile", in quanto trattasi di un vero compendio di pura
essenza musicale, che pur non discostandosi dai tradizionali clichè "swing-bop"
ostenta una freschezza ed un’originalità inusuali. Come i suoi grandi
ispiratori, anche Robert Stewart predilige atmosfere slow e ben costruite fino
al cavillo, spesso stemperate da repentini cambi di tempo di marca
"hardboppistica updated" medium fast. Anche i suoi
accompagnatori (Ed Kelly al piano, Mark Williamsal basso e Sly
Randolph alla batteria) sono ottimamente immersi nel "sacro Humus" della
tradizione mainstream e swingano duro. Tanto che diventa assai difficile, anche
per l'ascoltatore più smaliziato, identificare i temi storici da quelli nuovi.
Si ascolti ad esempio il sinuoso "Harlem after midnight", composto dallo stesso leader, nel quale il mistero notturno
newyorkese, abbraccia fraseggi spezzettati, intrisi di laceranti squarci
improvvisativi in crescendo. E cosa dire delle commoventi "Blue Gardenia", "The Ruby and the pearl"; temi sui quali sembra di riascoltare la vellutata voce
del crooner Nat King Cole trasportata ala sax tenore. La
sonorità del CD sembra essere emozionalmente pervasa da un certo senso di
"amarcord" che, ripeto, non sfocia mai nel deja vu, inteso come una mera
ripetizione di standard. Robert Stewart è certamente il
miglior balladeur attualmente in circolazione sulla scena mondiale.
Portavoce della miglior stirpe di musicisti che crearono ed interpretarono il
verbo jazzistico a cavallo tra gli anni Quaranta e Cinquanta. Gino
Fortunato
Recesione su
JazzReview
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Data pubblicazione: 28/02/2001
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