Jazz'n Arts 1803 |
Palo Alto
Crash Test
1. Enigma (Gallo)
2. Il grande Fava (Volpi)
3. Zacinto (Fazzini)
4. Zeno's Dream (Gallo)
5. Crash Test #1 (De Rossi, Gallo, Volpi, Fazzini)
6. The lemon's tree (Fazzini)
7. In the cave of Pan (Fazzini)
8. Crash Test #2 (De Rossi, Gallo, Volpi, Fazzini)
9. L'ombra di Frisell (De Rossi)
10. Lopa Tola
(Gallo)
11. Classifica avulsa (Gallo)
Nicola Fazzini
alto & soprano sax
Dario Volpi guitar
Danilo Gallo
bass
Zeno De Rossi
drums
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Secondo album per Palo Alto, quartetto di giovani e brillanti jazzisti della scena musicale italiana, che esprime una musica originale ma ben radicata nell'insegnamento dei grandi. Così attestavano con l'omonimo loro album d'esordio, e così continuano a mostrare in questo nuovo lavoro, sebbene in presenza, questa volta, di brani tutti di loro composizione.
Apre il cd
Enigma, un brano dalla sfuggente cifratura, non tanto nell'enigmatico abbinamento fra il pedale di tre accordi alla chitarra, sostenuto da rispettive tre note al basso, e l'essenziale scansione metronomica della bacchetta sul bordo del rullante, sopra cui il sax adagia la propria esposizione tematica, ma piuttosto nell'intermezzo free in cui i rispettivi colori dei citati strumenti vengono antipodicamente ribaltati, cosicché laddove prima si aveva essenzialità, misura e silenzio adesso corrisponde un basso insistentemente ciclico, uno svolgimento quasi ossessivo delle note del sax ed un beat onnipresente della batteria. L'unisono fra sax e chitarra elettrica caratterizza invece l'intro neo-bop de
Il Grande Fava, burlonesco – già nel titolo – brano di
Volpi che sigla un vagheggiante soliloquio, steso sulle percussioni della batteria e gli slaps morbidi del contrabbasso, artefice di un interessante intervento. Segue un tema largo e rilassante,
Zacinto, quasi onirico, in cui elegante il sax di
Fazzini resta meditativo anche quando segna il profilo orientaleggiante della sua composizione sul supino intervento in hand-drumming di
De Rossi. Dipinge una trasognata atmosfera
Zeno's Dream, ibrido incrocio fra bolero e rumba che inizia con un disegno del contrabbasso, dai toni arabeschi, come subito sottolinea pure la melodia del sax, prosegue con il pregnante dialogo batteria-contrabbasso, cui si sovrappone infine pure l'intreccio fra chitarra e sax, questa volta soprano.
Si presenta invece quale brano assolutamente estemporaneo
Crash Test, non a caso firmato da tutti e quattro i musicisti, che dà il titolo all'intero lavoro, forse in ciò fuorviando l'ascoltatore verso un contesto musicale che poi non corrisponde al contenuto del disco. Voluttuosa l'introduzione del saxalto in
The lemon's tree
a delineare un motivo capace di suscitare diverse suggestioni: inizialmente un'attesa, resa sospesa dalla chitarra di Volpi, con giochi di volumi che nascondono l'attacco del plettro e lasciano liberi gli armonici, poi dal contrabbasso viene innescato il ritmo, con un pedale che andrà a costituire ossatura dell'intero brano, a fare da alveo anche ai flussi improvvisativi della chitarra elettrica e del contralto, che scema sul finale.
Lungo solo prelusivo del contrabbasso, poi un medium dal ritmo cullato per un'accattivante latin affidato alle precise note del contralto di
Fazzini, autore di questa
In the cave of Pan, molto compenetrato nel suo gioco solistico. Dopo la ripresa della title-track, tocca ad un blues molto intimo, intenso sia per composizione che per l'interpretazione dal largo respiro, De Rossi accompagna questa sua
L'ombra di Frisell
– dedicata al chitarrista Bill Frisell – schioccando seccamente il rimshot lungo l'articolato fraseggio, a tratti urlato, del saxalto, facendosi invece più vibrato sull'appassionato e solitario periodare di
Volpi. Movimentato
Lopa Tola, un 6/4 in cui
De Rossi dà prova di un drumming riflessivo, misurato e mai al di fuori delle righe, mentre chiude la sequenza
Classifica avulsa, ballad a cui tutti i musicisti danno a turno il proprio contributo, a terminare coralmente questo loro lavoro discografico.
Un disco che, rispetto alla prima uscita di questo affiatato quartetto, rivela una più matura attribuzione delle parti e quindi una visione più chiara delle potenzialità e delle capacità di ciascuno, scevra pure dagli appesantimenti virtuosistici – inevitabili – di un album d'esordio. Tuttavia, di quello resta una certa indeterminazione stilistica, una cifra che possa contraddistinguere i quattro in quanto gruppo anziché meri interpreti, seppur egregi, dei rispettivi brani.
Antonio Terzo per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 20/06/2004
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