Le emozioni che di solito si provano nell'ascoltare un disco sono
personali, ed ognuno di noi con una recensione, può provare ad esprimere le sue, per confrontarle con quelle
degli altri.
Keith Jarret è reputato dalla critica uno dei pianisti più influenti del jazz moderno.
La sua ascesa iniziò nel 1973, con una serie di concerti, dove sviluppò una certa inclinazione per il pianoforte solo; dopo due anni diede alla luce
"Koln Concert".
L'album è costituito da esclusivamente quattro tracce, dove la prima si spinge fino a toccare i
26 minuti.
L'improvvisazione, anima e filosofia dell'espressione jazzistica di un
artista, in questo disco vengono portate a dei livelli inimmaginabili. Credo che sia per questo motivo che il lavoro di Keith Jarret viene definito "senza confini".
La frase iniziale, pilone potante della prima canzone, viene addolcita,
movimentata e impreziosita, da stacchi di fantasia che solo un artista come lui possono dare.
Se ad un primo ascolto l'album può sembrare monotono per la sua assenza di
voci, già ad un secondo esame, si capisce che le stesse sono state sostituite dal tocco leggero ma tonico dei tasti del piano, accompagnato da un
susseguirsi di "smorfiette" ed "urletti" dell'artista che fanno sembrare il pezzo
un'improvvisazione tra amici in una cantina. Questa jam session, a seconda degli stati d'animo del
pubblico, può far riflettere o dimenticare a proprio piacimento.
Con le mie parole spero di aver trasmesso, almeno in minima parte, le emozioni che provo nel sentire questo disco e ovviamente invito tutti quelli che leggeranno questa mia ad ascoltarlo al più presto.
Concludo citando proprio Keth Jarret: "Ho cercato il fuoco per tanto
tempo, e nel passato ho trovato molte scintille. Ma la musica del Vienna
concert, parla da sola il linguaggio della fiamma", questa frase
penso possa essere riferita anche al Koln Concert.
Saluti a tutti da Gnolo78
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