Ecco un disco e un trio
di un musicista che andrebbe giustamente rivalutato e riscoperto da qualche
tempo.
Pur
essendo stato Bley un pianista dalla ricerca pudìca e solitaria e dalla tecnica
non particolarmente brillante, si può senza incertezze affermare che si tratti,
direttamente o indirettamente, di una delle figure principali nello sviluppo del
pianoforte jazz contemporaneo, soprattutto di quel filone "bianco", che oggi
tanto è di riferimento e che, partendo dalla lezione del bop più "cerebrale"
(cool) di Lennie Tristano e passando per la concezione più lirica di un
Bill Evans, è approdato ad un pianismo d'avanguardia, certamente
sperimentale, ma essenziale e dai connotati lirici, coraggiosamente privo delle
spesso abusate iconoclastie anni '60, trasponendo al pianoforte, tra le altre,
alcune idee condivise agli inizi di carriera col grande genio di Ornette
Coleman. Ed è peraltro significativo sottolineare come un pianista al centro
della scena musicale odierna, come Keith Jarrett, sia non a caso partito
a sviluppare la sua idea di trio, nel lontano 1967, avendo come buon riferimento
l'estetica colemaniana, sublimata proprio nel pianismo di Paul Bley (si
ascolti in proposito il disco d'esordio del pianista di Allentown, "Life
between the exit signs" – Atlantic, in cui certi riferimenti sono
individuabili in diversi brani) e oggi riprenda e sintetizzi al meglio, nella
propria variegata ed eterogenea proposta musicale, certe visionarie idee del
pianista canadese.
Sorprende infatti rilevare come alcuni elementi formali ed estetici
nell'approccio al "Piano jazz trio" sviluppati in dischi come questo,
risalenti alla metà degli anni '60, siano oggi rintracciabili nei più avanzati
progetti dell'ormai celeberrimo Trio "jarrettiano", facenti capo in particolare
alle recentissime pubblicazioni di "Inside out" e, soprattutto, "Always
let me go".
Il disco si ripropone quindi prepotentemente all'attenzione degli
appassionati e sviluppa un interessante programma di alcune tra le più note
composizioni delle compagne di vita di Paul, ossia, l'amata e artisticamente
tanto ammirata Carla (Albert's
love theme e l'ormai
classico Ida Lupino)
e Annette Peacock (Both
e
Touching),
con l'aggiunta di una suo "original" (Mazatalon)
e uno splendido omaggio ad Ornette Coleman (Ramblin',
appunto).
Si inizia con
Both in cui i
riferimenti alle suddette incisioni jarrettiane sono a tratti impressionanti. Si
prosegue con lo splendido
Albert's love theme
che, con il successivo
Touching, affrontato in
modo sostanzialmente analogo, permette a Bley e il suo trio di espandere
spazialmente e temporalmente la struttura del brano, dando la netta impressione
di svincolarsi dalle pastoie del "giro armonico" senza negarlo, in un modo che
oggi risulta essere ormai una consuetudine per i pianisti più aggiornati.
L'immancabile riuscita versione di
Ida Lupino
dà la possibilità a Bley di far
emergere chiaramente la sua componente più lirica e melodica, anche se forse in
modo meno interessante rispetto a quanto sintetizzato negli altri brani, dove
l'interplay e l'equilibrio tra gli strumenti giganteggia, soprattutto per merito
di uno splendido e modernissimo Barry Altschul.
Mazatalon
è invece preso sorprendentemente a
tempo di bossa, ma viene presto sviluppato in modo peculiarmente avanguardistico
e permette di mettere in mostra anche le doti solistiche e di interplay di
Mark Levinson al contrabbasso e del già citato Altschul alla batteria.
Si conclude il disco con lo splendido
Ramblin',
un vero gioiello interpretativo, in cui Bley mette eccezionalmente in luce il
magnifico tema di Coleman e il trio suona con uno swing indiavolato e
modernissimo.
Musica e musicisti estremamente consapevoli e da ascoltare con amore ed
attenzione.
Riccardo Facchi
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Data pubblicazione: 12/01/2003
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