Sundance - STUCD 007192
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Rosendal.Earle.Templeton
Tide
1. Wreckage
2. Tide
3. Bird Stew
4. Crystal Clear
5. Pitch Black
6. Djengis
7. The Luvar
8. Waltz
9. The Seaduck
10. First Come, First Served
Peter Rosendal - piano
Graig Earle - bass
Janus Tempelton - drums
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Per chi ancora oggi si chiedesse dove sta andando
il jazz, un'ottima risposta, o anche solo qualche significativa indicazione, potrebbe
trovarla nell'ultimo cd del pianista Peter Rosendal.
Tide è un album interessante, sotto molti punti
di vista. Il primo, e mai se ne dovrebbe prescindere, è rappresentato dalla superba
coesione che il pianista danese trova con i suoi compagni di viaggio, il bassista
Graig Earle e il batterista Janus Templeton.
I temi, tutti a firma di Rosendal, spiccano per efficacia e originalità;
l'interpretazione del trio è impeccabile e riesce a far emergere l'essenza di ogni
singolo brano attraverso un interplay davvero notevole. Il tutto assume una forza
del tutto particolare a fronte delle metriche utilizzate. Dobbiamo ascoltare i primi
cinque brani prima di incontrare il canonico 4/4 ed è totalmente assente il classico
drive mainstream ereditato dalla tradizione afroamericana.
Il brano di apertura del cd, Wreckage,
è un'ottima vetrina per i tre. Dopo una breve introduzione in cui emerge la forte
componente classica che pervade un po' tutto il disco, si sviluppa in un veloce
7/8 che al tema fa seguire un solo di basso degno di nota. Rosendal ha un fraseggio
scarno, a tratti nervoso, molto percussivo, melodicamente interessante soprattutto
per la capacità di saper suonare attraverso le battute. Il solo di Templeton nel
finale, sulla struttura, chiude perfettamente questo piccolo viaggio che racchiude
in sé brandelli (Wreckage) di jazz, folk music e accademia europea. Anche il successivo
Tide, la title track, alterna un veloce ed aggressivo
6/8 ad un vellutato bridge in 5/8. Alla terza traccia,
Bird Stew, torniamo al "classico" 7/8, che si sviluppa poi nel canonico
4/4, fino agli scambi con la batteria, tributo allo schema tradizionale.
Un bel disco, che traccia la consolidata tendenza e capacità del jazz
moderno di assorbire in sé le più svariate esperienze per fonderle in qualcosa di
unico, magari non sempre codificabile anche per il critico più puntiglioso… deo
gratias.
Stefano Corbetta per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 25/06/2009
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