Nikolai Kapustin, classe 1937, con
ogni probabilità – eccezion fatta per l'assoluto primato spettante a Yakovlevich
Parnak - è colui che ha sdoganato il jazz nell'ex Unione Sovietica, visto il
suo successo e la sua fama ad ogni livello sociale e culturale. Operazione di non
poco conto considerando i rapporti di certo non idilliaci tra Stati Uniti e URSS
per buona parte del XX° secolo.
Non solo. Rappresenta l'incontro sinergico tra
il rigoroso pianismo sovietico con i ritmi afro-americani "dondolanti". La giusta
merge tra forbiti schemi e sussulti improvvisativi.
Vito Reibaldi, pugliese (nato a Canosa di Puglia e residente a Trani)
sa abilmente muoversi sia in ambito classico che jazzistico. Tanto lo dimostra con
questo lavoro di particolare intensità espressiva. Uno spaccato – piccolo rispetto
all'opera di Kapustin – più che significativo.
Il linguaggio forbito di Reibaldi, frutto di molti anni di studio,
emerge in ogni traccia, così come sembra vicino al periodare di Lennie Tristano.
Le sinuose geometrie disegnate dal pianista ucraino, incontrano l'itinerario
e l'identità propri del musicista pugliese. Reibaldi non si ferma all'esecuzione
sic et simpliciter, caratterizza con il proprio telaio improvvisativo ogni
singolo brano.
Reibaldi è un pianista dalla spiccata sensibilità ritmica, dal suono avvolgente
e trascinante. Prova ne è il rag time di Suitka
e la cantabilità della Toccatina op. 36.
Un universo di soluzioni armoniche e melodiche che andrebbe meglio approfondito
e che meriterebbe una maggiore attenzione.
Un'operazione coraggiosa quella del poliedrico musicista canosino (basti
pensare che ha ideato un sistema interattivo che permette di eseguire da solista
con l'ausilio del computer e apparecchiature MIDI vari concerti per strumento solista
e orchestra in una flessibilità di agogica e di dinamica scaturita dall'emotività
interpretativa) che auspichiamo possa avere un seguito.
Alceste Ayroldi per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 27/10/2008
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