Self - 2006
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Piccola Orchestra Apocrifa di Giorgio Cordini
La Buona Novella
1. Laudate Dominum
2. L'Infanzia Di Maria
3. Il Tempio
4. Il Ritorno Di Giuseppe
5. Il Deserto
6. Il Sogno Di Maria
7. Ave Maria
8. Contrappunto
9. Maria Nella Bottega Di Un Falegname
10. Passione
11. Via Della Croce
12. Il Pianto
13. Tre Madri
14. Liturgia
15. Il Testamento Di Tito
16. Due Ladri
17. Laudate Hominem
18. Si Chiamava Gesu'
Giorgio Cordini -
chitarra
Piccola Orchestra Apocrifa:
Michele Gazich -
viola
Stefano Zeni - violino
Daniela Savoldi - violoncello
Enzo Santoro - flauto
Gaspare Bonafede
- percussioni
Alessandro Adami - voce
Denise Pisoni, Maria Cordini -
cori
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Con questo disco Cordini mira diritto al cuore. Si tratta evidentemente
di una rivisitazione del bellissimo album di Fabrizio De Andrè, pubblicato in originale
nel 1970, con il quale il grande cantautore
italiano rileggeva le storie alla base del cristianesimo attraverso l'uso di vangeli
apocrifi e riflessioni personali, raggiungendo uno dei massimi vertici della propria
espressione poetica.
Cordini dal canto suo, sostenuto dalla sua Piccola Orchestra Apocrifa
(un totale di otto elementi: Michele Gazich alla viola e Stefano Zeni
al violino, che hanno collaborato agli arrangiamenti; Daniela Savoldi al
violoncello, Enzo Santoro al flauto,
Gaspare Bonafede
alle percussioni, Alessandro Adami alla voce e Denise Pisoni e
Maria Cordini ai cori) si avvicina al lavoro di Fabrizio con molta umiltà, senza
alcuna pretesa di aggiungere o togliere troppo all'opera originale. Si concede solo
alcune piccole modifiche alle parti strumentali, ingentilendone il suono grazie
alla componente "classica" dell'organico ma lasciando sempre ben presente la chitarra,
estensione fisica della musica di De Andrè.
Davanti a lavori di questo tipo però si trovano spesso due diverse possibilità:
nel primo caso il disco propone una totale elaborazione dei brani secondo uno stile,
un linguaggio o un arrangiamento differenti, opzione però sempre esposta al rischio
della leziosità, della maniera, e quindi alla caduta nel kitsch; nel secondo caso
invece si tratta di una semplice rilettura dell'originale senza consistenti modifiche,
opzione certo non poco azzardata in quanto rischia di rivelarsi sterile e priva
di espressività propria dell'interprete di turno. Avere a che fare con questo proposito
non è dunque facile e c'è da osservare che è anche da questi dettagli che si evincono
le capacità di un grande artista, il quale riesce a rileggere o pure a stravolgere
brani altrui senza però macchiarsi di cattivo gusto, marcando indelebilmente con
la propria espressività la rinnovata esecuzione. Quasi superfluo a questo punto
aggiungere che il Jazz trasuda di questo metodo e vive quasi grazie ad esso.
Il lavoro di Cordini ha poco di jazzistico, ma si collega bene
ai problemi di cui sopra. Si tratta complessivamente di un impegno molto ben risolto,
che dimostra una minuziosa cura degli arrangiamenti delle varie parti, tanto da
far tornare alla mente proprio le formazioni più importanti con cui De Andrè ha
suonato negli ultimi anni della sua vita, anche se con organico leggermente diverso.
Ai brani eseguiti (registrati dal vivo durante un concerto) viene certamente fatta
lode dai musicisti stessi, ed il risultato riesce a renderli toccanti ed attuali,
rilucenti, sotto una sorta di veste rinnovata, consona ad un gusto un po' più moderno
rispetto a quello che caratterizza la produzione del disco originale.
Il dubbio che rimane durante l'ascolto, tuttavia, non è trascurabile.
Ci si chiede: ciò che fa piacere questo lavoro è la qualità della rilettura o la
cognizione della bellezza del lavoro di De Andrè? In che misura le due cose si compenetrano?
Seppure a questo punto si entri totalmente nell'insindacabile gusto personale e
sia in sostanza impossibile decidere quanto sia valido un ragionamento del genere,
almeno su un piano generale, è bene mantenersi ancora su questo problema per comprendere
l'acuta risoluzione degli arrangiatori. Certamente il valore dell'opera originale
costituisce un elemento importantissimo che pare proprio non sradicabile dal contesto
organizzato da Cordini, ma probabilmente il modo migliore di affrontare la
spinosa questione è vedere con semplicità il rapporto fra originale e nuova lettura,
considerandola una sorta di sincero omaggio ad un grande artista: considerazione
priva di qualsiasi svilimento del lavoro di questi musicisti e di Cordini in primo
piano che, anzi, potendo vantare una collaborazione di otto anni con De Andrè, sa
bene come e dove mettere mano nell'affrontare un progetto del genere.
Proprio per questo fra un brano e l'altro compaiono dei brevi intermezzi
strumentali che in sostanza collegano le melodie fra cui si inseriscono e danno
una sorta di respiro continuo all'esecuzione, che in tal modo assume una forma continua
con pochissime interruzioni; piccoli "ponti" attraverso cui si addolciscono gli
intervalli fra i vari pezzi e che effettivamente sono gli unici momenti in cui i
nostri si permettono una rielaborazione più marcata e decisiva delle melodie di
De Andrè. In questo modo si risolve in modo intelligente il problema della riproposizione
di un lavoro originale lasciando praticamente intatti i brani seppur lavorandoli
"all'esterno".
Non bisognerebbe sottovalutare questa opera: rinnova la memoria di un
momento saliente nella nostra cultura musicale ed ha il pregio di farlo apprezzare
ancor più di prima, di farne capire l'importanza e l'attualità nell'orizzonte della
nostra musica leggera.
Achille Zoni per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 15/04/2007
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