Club ordinatamente stipato, Orchestra Jazz Siciliana ancora in piedi, gli applausi accolgono il protagonista della serata, Eumir Deodato autore ed arrangiatore di importanti pagine musicali del nostro tempo, una per tutte la colonna sonora di "2001 Odissea nello spazio" del 1968 che, riarrangiata dall'originale "Also sprach Zarathustra" di Richard Strauss – mica il primo che passa! –cinque anni più tardi gli valse il Grammy Award per la "Migliore esecuzione strumentale pop".
E tale poliedricità è comprovata dalla sua presenza, lo scorso 12 febbraio, nel cartellone del Blue Brass, il clubino ridotto dello Spasimo di Palermo.
Seduto al piano elettrico – un modulo Yamaha Motif collegato ad una tastiera muta (per gli addetti ai lavori una midi master keyboard), tasti ovviamente pesati – il musicista d'origini italiane (nonno siciliano di Custonaci) fa partire un funky e subito, in combinato duo all'unisono con l'elettrica di Sergio Munafò – ritmica portante di tutta la
performance – sui sincronismi del basso elettrico di Giuseppe Costa ed il pestante drumming di
Gianpaolo Terranova, bastano poche note per riconoscere una condensata fantasia dei temi più celebri di cui si compone Rhapsody in Blue, in una rivisitazione degna della fama del compositore brasiliano. E sulla stessa linea si spiega il suo assolo, con elettrizzanti fuori tempo del batterista. La serata è comunque all'insegna delle sonorità anni '70, i temi sono molto noti, in un concerto dunque per tutte le orecchie. Si avvicendano Skyscraper, in cui l'elettrica di
Munafò fa da battistrada introduttivo per poi lasciare spazio agli interventi delle varie sezioni:
Pizzurro che gorgoglia dentro la campana del suo trombone, il pirotecnico
Sergio "Guna" Cammalleri alle percussioni in duo con la batteria, cui si sovrappone il riflessivo flicorno di
Giordano che prepara il suo solo sul fraseggio dei medi, per prorompere poi al culmine sugli acuti.
E ancora Super Strut, per partire con un pedale, funky anche quello, in cui è protagonista l'intermezzo percussionistico fra Guna e Terranova: quest'ultimo – non a caso in posizione molto avanzata e centrale rispetto alla sezione fiati, rimasta sullo sfondo – sembra "spolverare" il suo charleston, mentre su quella pulsazione il percussionista scioglie la poliritmia dei propri strumenti. All'altezza della situazione anche l'altosax di Orazio Maugeri, con un assolo morbido e ben congegnato che assume le sonorità caratteristiche dell'intera serata e dello stile del rinomato ospite, viaggiando sulla sequenza delle armonie. Orecchiabile il pezzo, moltissimi dei presenti ne hanno ormai imparato il motivo e lo canticchiano…
Appositamente arrangiata per l'organico siciliano l'annunciata Ave Maria di Schubert, tappeto sul piano elettrico e unisono fra trombone e flicorno, quindi sezione sax in modulazione di tonalità,
anche affascinante in questa inusitata ambientazione, che giunge perfino ad ammiccanti accenti blues nel solo di Munafò, vagamente bensoniano. Ed il pubblico apprezza, con un sentito applauso a fine set.
Ad aprire il secondo, Peter Gunn, il noto disegno del basso martellante, gli appigli jazz si materializzano sempre nella fase improvvisativa, questa volta brillantemente assunta dallo stesso
Deodato, con fiati che si sfogano sulle progressioni tonali. Quindi una altro paio di brani dal sapore beat, fra cui Spirit of Summer, in tre movimenti, leggerissimo strascico di violini sotto il piano, che si adopera in una intro tutta da solo, poi lentissima la sezione ritmica monta l'impalcatura su cui Deodato tesse il suo volteggiante assolo. In chiusura il direttore brasiliano presenta l'O.J.S. «la mejore orchestra del mundo», la quale è riuscita a seguirlo nonostante nei pochi giorni di prova egli abbia variato molte volte le orchestrazioni, quindi l'attesissimo gran finale con 2001: A Space Odyssey, molto grintosa,
Terranova tinge delle più variegate dinamiche il celebre motivo, Deodato
imperterrito insiste sull'accordo di tonica e Munafò infila l'ultimo assolo del concerto.
Bell'esperienza vedere all'opera quello che a ragione può essere considerato un pezzo di storia della musica che ha certamente caratterizzato la nostra epoca, ammirare come sia in grado di adattare a qualsiasi organico i brani che lo hanno reso famoso, ascoltare come essi brani assumano in un certo qual modo – e inevitabilmente – le sfumature, il carattere dell'orchestra di turno, e apprezzare come, nel caso dell'O.J.S., per quanto formata da giovani professionisti, il risultato sia una serata elettrizzante, un incontro, ancora una volta, con la grande musica del nostro tempo.