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Crossroads, Jazz e altro in Emilia Romagna
XVIII Edizione

James Brandon Lewis Trio "No Filter"

Ferrara – Torrione Jazz Club – 4 marzo 2017
di Niccolò Lucarelli

James Brandon Lewis - sax tenore
Luke Stewart - basso elettrico
Warren 'trae' Crudup III - batteria

In attesa dell'uscita del nuovo album, prevista per giugno, James Brandon Lewis ne porta a Ferrara una gustosa anteprima, assieme a brani del suo repertorio storico, in un concerto prodotto in collaborazione con Crossroads. Jazz e altro in Emilia Romagna.



Il trio è fautore di un jazz dal taglio assai peculiare, dal suono corposo che fa scorrere più velocemente il sangue nelle vene: il sax di Lewis è un potente ululato urbano, frenetico come il traffico di Manhattan il lunedì mattina, mentre in sottofondo e spesso in parallelo al suo sax, Stewart al basso elettrico costruisce linee melodiche che vanno oltre la semplice funzione di dettare e sostenere i tempi, ma, come nel contrappunto pianistico arricchiscono i vari brani di un secondo punto focale sonoro; e Crudup alla batteria inscena una danza indiavolata fra rullante, tom tom, ride e percussioni. Ne scaturisce un jazz che strizza l'occhio al rock progressivo, al free, e persino all'hip hop, contaminazioni che confermano come Lewis si muova bel al di fuori delle tradizionali categorie jazzistiche, e senta la necessità di adeguare il suo sound alle dinamiche della società contemporanea.

Lewis non lascia requie al suo sax, come se dovesse domarci le tempeste o far cessare un'epidemia; si intuisce un rapporto artistico viscerale fra musicista e strumento, e un'aura sacrale avvolge quel dinamico incedere su scale dal vago sapore spagnoleggiante, che Lewis alterna ai fraseggi minimalisti su tre o quattro note. In quel sax c'è di tutto, dal caso colorato del Mardi Gras di New Orleans al chiaro di luna su Central Park, dagli scalcinati club di periferia alla letteratura americana contemporanea, dura e pura come quella di Delmore Schwartz, glamour come quella di Ellis, o radicale come quella di Vidal. Classicismo e avanguardia si mescolano senza soluzione di continuità in questo jazz avvolgente e aggressivo. I cambi di ritmo e atmosfera non sono frequenti ma repentini; dal 2/3 del dialogo fra basso e batteria, si passa al 3/4 con l'irrompere del sax, che a tratti si lascia andare a fraseggi cadenzati sullo stile dell'hip hop, confermando la vocazione alla contaminazione urbana del No Filter Trio. E invero non ci sono filtri fra la composita realtà contemporanea americana e le note che la raccontano, con una compenetrazione così profonda da poter parlare di brani a colori, fra Warhol e Matisse.

L'interplay non lascia spiragli, i musicisti sono vicinissimi l'uno all'altro e il sound scaturisce compatto, anzi granitico. La carica d'energia sul palco si trasmette al pubblico che segue con attenzione e accompagna con grandi applausi la fine di ogni brano.
Lewis al sax sa essere violento e delicato insieme; dai forsennati fraseggi in 4/4 su poche note, passa con disinvoltura ad altri dal più ampio respiro, dal sapore ispano-arabeggiante, questi ultimi accompagnati quasi sempre dalle percussioni, mentre Stewart al basso elettrico crea effetti di riverbero che allargano la prospettiva scenica del brano. A fianco di questi, Lewis riesce a dare al suo sax la solennità di un organo, lasciando intravedere l'influenza del gospel e della tradizione della musica liturgica nera americana.

In questo jazz c'è anche l'ironia di Andy Warhol con i colori delle sue serigrafie, forse troppo accesi ma innegabilmente glamour. E glamour, al modo violento di Bret Easton Ellis, lo è anche questo jazz, che unisce la rabbia alla bellezza, connubio assai atipico, segno dei nostri assai più atipici tempi. Se certi fraseggi più cadenzati sembrano pensati apposta per dettare i tempi di una rissa fra bende di strada, altri, dalla singolare causticità, con il sax più articolato e la batteria ultracompressa, racchiudono l'eccitazione di un party notturno a Brooklyn Heights, le labbra sensuali di un'attrice di Broadway e persino il fluttuare del Dow Jones. Un jazz che dietro l'apparente adolescenza nasconde tratti di grande maturità, sia estetica sia concettuale.

Lewis racconta un'America giovane, composita e aggressiva (in senso più o meno lato), con lo stile tagliente di un saggio di Gore Vidal; a ciò, affianca un romanticismo disilluso, contraddizione della nostra epoca che se non sogna più a colori, almeno ha ancora la forza di combattere per qualcosa.







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Data pubblicazione: 12/03/2017

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