Fred Hersch Piano Solo Filarmonica Laudamo Messina
96a Stagione Concertistica 2016/2017
Messina – Palacultura Antonello, 27 novembre 2016 Testi e foto di Gianmichele Taormina
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Assente da dieci anni esatti dalle scene siciliane, il ritorno
in piano solo di Fred Hersch ha suscitato a Messina la meritata attenzione
di un evento dal sapore unico e di sicuro irripetibile.
Il Maestro di Cincinnati, ispirato come non mai, ha accompagnato il pubblico del
Palacultura nel suo ammaliante mondo melodico, tra intime suggestive esplorazioni
e la magia del proprio sorprendente universo poetico.
L'apertura del concerto, affidata al dittico jobimiano
Olha Maria/O Grande Amor ha da subito proiettato i presenti nel vasto flusso
melodico di Hersch, sempre elastico nell'incrociare i due celebri temi, eppure agile
a decontestualizzarli nella flessibile e cangiante narrazione.
Setacciata dalla medesima gamma emotiva, Sarabande riflette il tepore crepuscolare
caro all'Hersch evansiano, depositario di quelle memorie, di quelle trame
mai dimenticate, mai sopite. La mancata collaborazione col compianto John Taylor
e quella breve ma intensa, con la vocalist Norma Winstone, riporta Hersch in un
doppio quadretto dal quale fioriscono le motivazioni più logiche e dirette di altre
ascendenze. Everybody's Songs But My Own a firma di Kenny Wheeler e una
The Peacocks da brivido, riesumata per dar merito allo splendido compositore
che fu Jimmy Rowles, proseguono infatti un discorso che affonda dentro lo stupore
di una docile notte senza vento. Hersch è depositario di tali tesori. Gioielli che
vanno reinterpretati e preservati. Sempre. Ma nel turbinio di rimandi e siparietti
più leggeri, come nel caso del divertissement After You've Gonedatato
1918, sopravvivono altre "carte da decifrare", altre girandole da (ri)costruire.
Da queste emerge Serpentine, tra le più recenti composizioni del pianista.
Qui, l'appassionante preludio scenico coagula dentro visioni iridescenti sconfinando
in un sensazionale vortice di luce. E di meraviglia.
Lo stesso si può affermare di Valentine, altro classico del sessantunenne
pianista nato nel piovoso Ohio. In questo caso il tema ne esce scarnificato e ridotto
all'essenza nella sua distillata e cantabile trama. Un prezioso haiku che
giunge al termine di un concerto sceso dal cielo quasi fosse una benedizione.
E, nel mezzo dell'esibizione, c'e stato pure il tempo per movimentare la conversation
ideale col pubblico trafficando come giusto che sia con altri storici standard dall'inamovibile
sigillo. Si trattava della spumeggiante Whisper Not autografata da Benny
Golson e di un altro dittico, questa volta rubato dall'ampio estuario di Thelonious
Monk: I Mean You e il breve bis Blue Monk. Giusto il tempo per dissotterrare
queste pietre miliari fatte poi per essere infrante da una piacevole e inaspettata
deriva pop, ovvero dalla reinterpretazione di And So It Goes, nostalgica
ballad di Billy Joel per la prima volta eseguita in concerto.
Gli abissi crepuscolari di Hersch, la chiarezza sbalorditiva delle sue infrangibili
code, le fiabe disvelate dalla "Musa del Jazz", riflettono la profonda arte pianistica
di un artista completo proveniente dal mondo accademico di Debussy e Skrjabin. Altri
punti fermi che rendono grandiosa la vastità di un musicista sempre creativo e immenso.
E questo grazie alla sensibilità della Filarmonica Laudamo di Messina attiva sin
dal 1921, ed impegnata da un quinquennio assieme al suo Direttore Artistico Luciano
Troja, alla divulgazione delle molteplici forme espressive del jazz.
Culmine di uno di questi progetti è stato l'interessante workshop a numero
chiuso condotto da Hersch tenutosi nella mattinata precedente al concerto. Un seminario
realizzato dopo un anno di studio e di intenso lavoro avviato proprio da Troja assieme
a un gruppo di venti allievi. Con questi ultimi, il pianista statunitense ha dato
vita e forma all'analisi e all'esecuzione di diverse sue composizioni conseguendo
l'eccellente risultato di uno stage che ha confermato Hersch quale insigne e validissimo
docente anche nel campo della didattica.