JAZZ BIANCO E NERO
Francesco Sovilla

Recensione di Lanfranco Colombo al Libro JAZZ BIANCO E NERO di Francesco Sovilla.
Scorrere le fotografie di questi grandi protagonisti del jazz internazionale ha significato per me un emozionante tuffo nel passato.
Sono tornato agli anni di una giovinezza, in cui - nonostante l'occhiuto controllo anche culturale del fascismo - sentivamo clandestinamente i primi dischi jazz. E quelle riunioni ci facevano sentire in qualche modo trasgressivamente oppositori di una cultura estremamente provinciale, che persisteva ad ignorare - per motivazioni esclusivamente ideologiche -le grandi novità che agitavano il mondo. Mio padre mi aveva parlato delle sue
esperienze a New Orleans, di questo nuovo modo di fare musica, estremamente moderno, che nasceva dalle profonde radici della cultura nero-americana.

Ricordo che, a cavallo fra gli anni Quaranta e Cinquanta, organizzai per un intero anno nella mia casa di Milano, insieme a Franco Cerri e tanti altri giovani amici che poi avrebbero fatto la storia del Derby o del Santa Tecla, sedute settimanali di jazz. Conobbi poi molti musicisti nel corso dei miei viaggi in America: ricordo - nei cafè di Broadway -gli incontri con Dizzy Gillespie, Louis Armstrong, Sarah Vaughan e la partecipazione
appassionata a quelle jam-sessions straordinarie. Ebbi modo in seguito, nel corso dei miei viaggi nei Caraibi e a Cuba, di capire le radici di questa espressione musicale, ascoltando il ritmo dei drums ad accompagnare un juke-box, o vedendo bands di ragazzini che, con latte e barattoli, offrivano assordanti e sincopati concerti per le strade.

Ecco il perché della mia emozione nel ritrovare, in questi ritratti realizzati da Francesco Sovilla, non solo il volto di alcuni personaggi che fanno parte ormai del mio immaginario, ma soprattutto quel mondo di magiche atmosfere che infiammarono i miei anni di formazione. Francesco Sovilla ci propone, in questo libro, volti e strumenti del jazz, indagati in bianconero fortemente espressionista. A ben vedere - ormai di libri e servizi sui personaggi del jazz ne ho visti proprio tanti - questa soluzione espressiva sembra veramente il leitmotiv della fotografia di jazz.
Non solo perché la scarsa luce generalmente presente sulla scena in fase di ripresa consente di approfittare solo di lampi e bagliori che baluginano nel corso della performance, ma anche perché solo un bianconero fortemente contrastato riesce a «interpretare» un genere musicale assoluto, essenziale, estremamente diretto e nello stesso tempo intellettualizzato.

La fotografia di Sovilla - se la vogliamo considerare dal punto di vista della narratività - ha come centro nevralgico della propria poetica la definizione dell'essenza non tanto del singolo personaggio, quanto del musicista: nelle sue fotografie è il tema del rapporto tra artista e strumento a capeggiare, chiuso in una struttura figurativa estremamente
compatta ed essenziale spesso fortemente scorciata e tagliata ad escludere qualsiasi particolare poco rilevante.
Proprio perché conosco a fondo questo mondo ed inoltre perché ho visto migliaia di fotografie di questo genere, non ho alcuna difficoltà a riconoscere a Sovilla il merito di averci restituito nelle sue fotografie la grande intensità del momento creativo dell'artista jazz, strutturando delle immagini di forte dinamicità figurativa.
Lanfranco Colombo


Recensione di Claudio Donà al Libro JAZZ BIANCO E NERO di Francesco Sovilla.
Espressione autentica di una sensibilità non soltanto intellettuale ma anche fisica, il jazz può venir meglio compreso se si è in grado di assistere alla sua esecuzione dal vivo. Quando infatti un musicista suona è coinvolto a tal punto nell'improvvisazione che tutto il suo corpo (il viso, le mani, i movimenti...) lascia trasparire la tensione emotiva ed il senso della «creatività istantanea» propri del jazz, musica essenzialmente improvvisata.
E compito e merito - se c'è il talento - del fotografo riuscire a fissare in un'istantanea quel «momento magico», riuscendo a rivelarci la personalità ed il carattere dell'artista. Il jazz non può esser fotografato con ottimi risultati se non vi è profonda conoscenza e soprattutto grande rispetto dei suoi musicisti. Vi potrà essere altrimenti si una buona foto, ma l'effetto prodotto sarà soltanto superficiale; mancherà sempre qualcosa per far diventare quelle fotografie davvero importanti, se non addirittura «storiche». si può forse quindi affermare che il lavoro del fotografo di jazz ha alla fine uno scopo analogo a quello del critico e dello storico, ma se a questi ultimi occorrono molte pagine scritte per descrivere in modo esauriente un personaggio al primo può anche bastare un solo fotogramma.
Quando penso a Francesco Sovilla mi vengono in mente tutte quelle qualità che sembrano necessarie ad individuare un bravo fotografo di jazz.
una ragguardevole tecnica di base, innanzitutto, una sostanziosa cultura jazzistica - che l'ha visto impegnato anche nel campo della pubblicistica e della didattica-e non da ultime infinite pazienza e passione.
Quella passione, un po' anche follia, che ti spinge ad affrontare 200/300 chilometri di viaggio in automobile, quasi sempre di notte, pur di ascoltare e naturalmente fotografare uno dei tuoi idoli.

Il suo uso del bianco e nero-che resta a mio parere la tecnica espressiva più adatta al reportage jazzistico - è spesso spregiudicato, ma senza dubbio incantevole. Chi come il sottoscritto è convinto ammiratore della negritudine del jazz, non può non trovare ammirevole ed emozionante quel suo cercare di ottenere dal nero pece di molti volti quasi
impercettibili riflessi di luce. È proprio nell'arte del ritratto, alla ricerca del primo piano più esasperato, che la particolarissima tecnica di Francesco Sovilla ha modo di mettersi meglio in evidenza. Quasi una disperata ricerca del «nero sul nero», sorta di sfida all'impossibile - ma anche le improvvisazioni dei jazzisti sono spesso scommesse faticose da vincere - che sta giustamente trovando nuovi e sempre più numerosi estimatori.
Claudio Donà