Dario Guerini
dguerini@mazars.it
Dario Guerini
è nato nel 1945 e vive a Bergamo.
Commercialista, libero professionista e professore universitario in economia
aziendale, da anni è impegnato nello studio e nella ricerca fotografica.
E’ membro del Comitato Direttivo della Sezione Fotografica del Circolo
Filologico Milanese.
Fotografa preferibilmente temi legati al sociale, all’architettura ed al
territorio. Negli ultimi due anni ha privilegiato progetti fotografici sulla
musica e sul mondo del jazz.
La mia attrazione per il jazz è venuta certamente dopo la passione per la
fotografia, anzi forse la fotografia è stata complice di questa sorta di
infatuazione tardiva che ha mutato non poco i ritmi e l’organizzazione della mia
esistenza. Soltanto da poco più di due anni ho puntato l’obiettivo sul jazz,
credo a seguito di una folgorante esperienza di fotografia in un piccolo teatro
milanese, il teatro " ì ".
Guardare le scene dentro l’obiettivo fotografico permetteva di sceglierne i
confini preferiti e la dimensione dei soggetti, di avvicinarli od allontanarli,
di concentrarsi sul taglio di luci, sui profili delle ombre e sulla loro
geometria, di studiare gli effetti scenici e le espressioni degli interpreti, di
esaltare i colori ed i diversi accostamenti e contrasti, di percepire il ritmo,
la velocità ed il significato dei gesti e dei movimenti. Ma ancor più di sentire
amplificati i testi ed i fondi musicali, abbinandoli puntualmente, nel mirino
della fotocamera, alla mimica, agli atteggiamenti, ai ritmi, quasi entrando in
simbiosi con gli attori sulla scena per eseguire un copione sempre più
condiviso. Questa esperienza di teatro ha scatenato in me la voglia, già
latente, di partecipare ai concerti di jazz e di fotografarli.
Le emozioni provate sono risultate simili, amplificate dalla presenza in scena
di quella gente speciale che sono i musicisti di jazz.
Il palcoscenico può essere un grande teatro, una chiesa, l’angolo di una via o
di una piazza, un caffè, una stanza povera di luci e di costruzioni sceniche, ma
la spinta emozionale e le energie sprigionate restano comunque alte.
Più fotografavo e più amavo quella musica, più la capivo, più la studiavo e
l’ascoltavo. I primi scatti erano letteralmente rubati. Erano foto di personaggi
solo ascoltati, mai visti dal vivo, alcuni per me assolutamente mitici. Foto di
concerti ufficiali, ai quali accedevo con spirito contemplativo, frenato da una
sorta di timore reverenziale, che mi portava a mantenere una distanza riguardosa
dai protagonisti, avvicinati il più possibile da un mio vecchio 100 mm.
Poco per volta diminuiva la mia distanza dai protagonisti, sulla scena e fuori
dalla scena.
Ho imparato ad osservarli meglio, a valutarne il carattere, ad avvicinarli e
fotografarli durante le prove, nelle pause, nelle loro conversazioni, sino a
conversare con loro.
Si lavora in un clima di urgenza, di improvvisazione e di stimolante precarietà.
L’immagine che conta va ricercata continuamente, il soggetto va avvicinato anche
in situazioni difficili e disagevoli. Occorre essere accettati dal soggetto.
E’ necessario esplorare e spiare senza sosta, sviluppare l’intuizione, navigare
attentamente tra le note, anticipandone toni, cadenze e velocità.
Lo scatto deve poter esprimere con efficacia la tensione e l’energia musicale
che ti avvolge nel vivo dei concerti, e contenere, se possibile, quel guizzo di
ironia che rende l’immagine più vigorosa ed eloquente.
E allora sei portato a dare movimento e profondità a soggetti e strumenti che
rischiano di apparire statici, cosí come a catturare l’ombra, il riflesso, il
gesto, la stanchezza, la concentrazione, l’esaltazione, la smorfia, la goccia di
sudore.
Guy LeQuerrec, grande fotografo di jazz che ho avuto la fortuna di conoscere lo
scorso anno, afferma: "Adoro il fatto che la fotografia sia un corpo a corpo con
il reale. Ho bisogno che essa abbia un odore, l’odore della gente".
Si è detto che sulle sue fotografie si potrebbe anche danzare: come, meglio di
cosí, può essere apprezzata una fotografia di musica?
Ma il jazz non è solo musica, è molto di più.
Il mondo che ruota attorno al jazz è un mondo speciale fatto di passioni
profonde e consapevoli, di esaltazioni controllate, di grande partecipazione e
civiltà, di amori profondi e non d’innamoramenti.
E tutto ciò crea un clima stimolante anche per chi fotografa.
Il jazz è soprattutto nei suoi musicisti. Uomini e donne, bianchi e neri.
Trovo geniale la loro capacità di improvvisazione, la loro profonda cultura
musicale, la padronanza pluristrumentale, la loro interpretazione dentro e fuori
il set. Si tratta di artisti veri, per i quali questa musica è vocazione, nomadi
in perenne movimento, protagonisti di un genere di spettacolo grandioso ma
povero di luci e di quattrini, con un pubblico amatoriale ridotto ma molto
esigente.
Trovo affascinante la loro storia, la loro vita, la loro cultura, e, soprattutto
le loro espressioni, la mescolanza di bianchi e di neri, soprattutto neri, che
riempiono la scena, che si gonfiano su trombe e sax, che danzano sui tasti e
sulle corde, che picchiano e carezzano tamburi e piatti con bacchette veramente
magiche.
Dario Guerini
settembre '96
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