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Il vento e l'aquilone
Le collaborazioni fra Miles Davis e Gil Evans nella storia del jazz
di Michele Santoro

Quando, verso la fine degli anni '50, avviene l'incontro fra Miles Davis ed il pianista e arrangiatore canadese Gil Evans, il trombettista sta vivendo un periodo di grande intensità artistica: difatti, dopo il suo esordio al fianco di quella sorta di padre spirituale, maestro e modello di vita che era stato Charlie Parker, Davis ha definito ormai una sua personale cifra espressiva, caratterizzata da uno stile originalissimo, lontano dalle sonorità impetuose e squillanti di un Louis Armstrong o di un Dizzie Gillespie e in grado di esprimere, con un suono leggero e privo di vibrato, la drammaticità e il pathos che caratterizzano il suo esclusivo temperamento musicale.

Ma questo è anche il periodo in cui Davis arricchisce ampiamente il proprio bagaglio tecnico ed espressivo grazie alle collaborazioni con artisti del calibro di Sonny Rollins, Gerry Mulligan (New York, 6 aprile 1927 - Darin, 20 gennaio 1996), Thelonious Monk, i quali gli offrono una vasta serie di stimoli, che lo condurranno alla costituzione di un suo gruppo stabile, comprendente un giovane ma già assai ispirato John Coltrane: con questo ensemble, arricchito dall'innesto di personalità quali Cannonball Adderley e Bill Evans, nel
'59 Davis inciderà quel capolavoro assoluto che è Kind of Blue, disco di importanza capitale nella storia del jazz perché con esso si pongono le basi di quella rivoluzione nella struttura armonica che va sotto il nome di "improvvisazione modale": una rivoluzione che negli anni successivi verrà condotta ai massimi livelli di intensità e perfezione dal celebre quartetto di John Coltrane.

Così nel
1948 Davis incontra Gil Evans, "un canadese di origini australiane colto, raffinato, per natura votato all'impegno concettuale e organizzativo" [1]; con Evans collaborerà a più riprese per oltre un decennio, non solo realizzando storiche incisioni, ma contribuendo a definire quella nuova forma espressiva chiamata cool jazz, di cui appunto Evans, insieme a Lennie Tristano, Gerry Mulligan e pochi altri, sarà uno dei più significativi rappresentanti. Il cool jazz, nato in reazione alle sonorità aspre ed alle vorticose armonie del bebop, assumerà forme diverse nelle mani dei suoi variegati rappresentanti: complesso ed armonicamente elaborato in Tristano, rilassato e melodico in Mulligan, in Gil Evans assumerà l'aspetto di una scintillante coloritura orchestrale, in cui la raffinata lezione compositiva di un Duke Ellington è dispiegata nella ricerca di suoni e ritmi inediti ed originali.

Ed è proprio in questo affascinante crogiolo di idee e di proposte musicali che si colloca la prima collaborazione fra i due artisti, i quali raccolgono intorno a sé un gruppo comprendente, fra gli altri, i sassofonisti Gerry Mulligan e Lee Konitz, i pianisti e compositori John Lewis e George Russell, i batteristi Kenny Clarke e Max Roach; la presenza nell'orchestra di Evans di uno strumento così particolare e inconsueto come il basso tuba
dà poi il nome al gruppo, che pertanto viene battezzato Tuba Band.

Scopo dei musicisti - in linea con l'estetica del cool - è quello di elaborare sonorità nuove sulla base di un tappeto cromatico creato da strumenti insoliti per il jazz quali il basso tuba e il corno francese, e di dar vita ad armonie lontane dalle asprezze del bebop e in grado di creare un suono "statico, fermo, sospeso come una nuvola", per citare le parole dello stesso Evans. Il prodotto più felice della Tuba Band è un album che fin dal titolo -
Birth of Cool - intende farsi portavoce della nuova corrente jazzistica; e in esso Davis fornisce un apporto fondamentale, riversando nelle diafane e ovattate atmosfere costruite da Evans la propria inquieta sensibilità e il suo intenso lirismo.

L'esperienza della Tuba Band proseguirà per qualche anno, poi i suoi componenti prenderanno strade diverse; non verrà però meno il sodalizio tra Davis ed Evans, che porterà alla realizzazione di album memorabili per la storia del jazz. Così nel
1957 l'orchestra di Evans, comprendente la caratteristica sezione di corni ed il basso tuba, incide l'album dal titolo Miles Ahead, un lavoro straordinario nel quale Davis, che vi figura come unico solista, suona il flugelhorn, strumento che ha un'estensione più ampia della tromba, in grado quindi di produrre un suono più chiaro e disteso. È del tutto evidente che Miles Ahead, se da un lato rappresenta uno sviluppo dei motivi e delle sonorità propri della Tuba Band, dall'altro lato punta verso nuove direzioni nel campo dell'orchestrazione jazz, dal momento che Evans sviluppa una serie di trame e di tessiture sonore combinando i dieci brani che lo compongono in un'unica, lunga suite. Il risultato è una musica assorta e poetica, nella quale il flicorno di Davis crea atmosfere ora aspre e drammatiche, ora più ampie e distese, confermando la sua indole di musicista che fa del lirismo e dell'intensità emotiva le sue forme espressive più caratteristiche.

Fra i musicisti presenti in questa incisione ricordiamo John Carisi (tromba), Lee Konitz (sax alto) e Bill Barber (basso tuba), già presenti nella Tuba Band, e poi il pianista Winton Kelly, il batterista Art Taylor, il bassista Paul Chambers, che suoneranno per anni nei vari gruppi di Davis.

Bisogna altresì notare come in Miles Ahed, in misura più esplicita rispetto al precedente Birth of Cool, si avverta l'influenza di Ellington sulla scrittura orchestrale di Evans: nell'album sono presenti infatti una serie di omaggi del pianista canadese all'arte del Duca, tra cui il più evidente è senz'altro
The Duke, un tema che, nella rielaborazione evansiana, presenta una melodia e un arrangiamento assai vicini all'ispirazione ellingtoniana.

Il successivo impegno che vede di nuovo insieme Davis e l'orchesta di Gil Evans è l'incisione di Porgy and Bess, la celebre "folk opera" che, a detta di molti, costituisce il vertice dell'arte di George Gershwin. In questo lavoro le raffinate architetture sonore realizzate da Evans vanno ad arricchire la straordinaria scrittura orchestrale di Gershwin: il risultato è un disco da molti definito memorabile.

Non è semplice dar conto delle numerose e bellissime melodie che compongono l'album: tra queste ricordiamo
The Buzzard Song ()in cui, dopo un prepotente esordio orchestrale, si fa largo la tromba di Miles, che traccia preziose linee sonore con toni ora sommessi ora intensi, ma sempre intrisi di struggente lirismo; Gone Gone Gone (), uno spiritual stupendamente armonizzato e scandito da un ritmo lento ed elegante, nel quale la tromba di Davis costruisce trame venate di quel drammatico pathos che caratterizzerà il successivo periodo "spagnoleggiante" dell'artista; e infine Summertime (), il brano più famoso dell'opera e dell'intera produzione musicale americana: eseguita su un tempo più veloce rispetto alla partitura originale, la celebre ninna-nanna si distende limpidamente sulle note della tromba di Miles, trasmettendo un senso di serenità e di speranza del tutto inedito per un artista dai toni così introversi qual è Davis.

Ma è con
Sketches of Spain, inciso nel 1960, che la collaborazione fra Miles Davis e Gil Evans tocca il culmine dell'intensità espressiva e sonora. Come indica il titolo, l'album si compone di una serie di bozzetti ispirati alla musica folklorica spagnola, musica che già altre volte aveva offerto a Davis lo spunto per straordinarie interpretazioni, fra cui il brano Flamenco Sketches () compreso in Kind of Blue: ora è l'intero disco ad essere pervaso da atmosfere spagnoleggianti, a volte cupe e drammatiche, altre volte più morbide e rilassate: e fra queste atmosfere la vena lirica del trombettista trova una sua particolare ispirazione che lo porta a livelli altissimi di concentrazione e di pathos. Allo stesso modo Evans sembra aver assorbito pienamente gli umori della musica spagnola, trasfondendoli nel suo linguaggio musicale fatto di raffinate trame orchestrali e di insolite sonorità: quasi a costituire il vento sul quale, come un aquilone, Miles può librarsi e spaziare nelle note suggestive della sua tromba.

L'album è aperto da una magistrale rielaborazione del secondo movimento del
Concierto de Aranjuez () di Joaquin Rodrigo, un brano che rende manifesta e quasi palpabile l'inquietudine e la tensione che pervadono l'intero disco, con la tromba di Davis svetta altissima sulle drammatiche atmosfere create dall'orchestra. Il brano seguente, Will O' the Wisp (), costituisce un avvincente e quasi ipnotico motivo tratto dal balletto El Amor Brujo di Manuel de Falla; in esso l'abilità timbrica e coloristica di Evans si dispiega a rappresentare un universo sonoro carico di palpitante emozione. E concludiamo questo excursus dedicato all'incontro fra due grandi del jazz moderno accennando a quello che forse è il brano più bello dell'intera raccolta, Solea (); il termine, che è l'abbreviazione di soledad, solitudine, indica una forma di flamenco tipica dell'Andalusia che - analogamente al blues afroamericano - si presenta come una forma musicale carica di desiderio, di nostalgia, di rimpianto: qui più che altrove Miles si esprime con una profondità emotiva e una intensità sonora che trasformano il brano nella più perfetta sintesi fra la melodia del flamenco ed il grido del blues.

Michele Santoro


Riferimenti bibliografici
[1] Alberto Bazzurro, Psychomiles. "Musica Jazz", 12 (1986) 5, p. 18-25.
[2] Joachim E. Berendt, Il libro del jazz. Milano, Garzanti, 1973.
[3] Ian Carr, Miles Davis. Una biografia critica. Milano, Arcana, 1982.
[4] André Hodeir, Miles Davis e il movimento "cool", in Uomini e problemi del jazz. Milano, Longanesi, 1980, p. 138-160.
[5] Walter Mauro, La storia del jazz. Roma, Tascabili Economici Newton, 1994.
[6] Giuseppe Piacentino, Miles Davis. "Musica Jazz", 12 (1986) 5, p. 35-50.
[7] Marcello Piras, La nuvola sonora della Tuba Band. "Musica Jazz", 12 (1986) 5, p. 26-29.
[8] Arrigo Polillo, L'impossibile Miles, in Stasera jazz. Milano, Mondadori, 1978.
[9] Arrigo Polillo, Miles Davis, in Jazz. La vicenda e i protagonisti della musica afro-americana. Volume secondo: I protagonisti. Milano. Mondadori, 1976, p. 705-720.
[10] Gian Carlo Roncaglia, Una storia del jazz. Venezia, Marsilio, 1981, 4 v.


 


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Data pubblicazione: 04/11/2001





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