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Effemusic - 2006
Vibrham
Vibrham


1. Walkin' in Harlem
2. Icaro
3. From John to John
4. Kandisky
5. Sballad
6. Blues.it
7. Quiet Song
8. Dr. Smith

Francesco Fabbri - Organo Hammond B 3 e Footpedals
Massimo Discepoli - batteria
Jacopo Bazzarri - Vibrafono, Marimba


Lavoro stimolante e ricco di idee considerevoli quello del giovane trio Vibrham, direttamente da Perugia. Il disco si presenta bene, ed all'insegna del motto "poco ma bene" offre otto tracce, totalmente originali, di una musica trasversale, che tocca in modo significativo il Jazz ed il Funk arricchito da un timbro dal retrogusto molto anni '70, ricordando molto i suoni alla Charles Earland ma anche, nei momenti più riusciti, un groove notevole tipico del Funk un po' di maniera, che basta a sé stesso ma che in effetti funziona bene.

Probabilmente si deve gran parte di questa soluzione timbrico/ritmica all'incontro dell'abile tecnica di Francesco Fabbri (Organo Hammond B 3 e Footpedals), che quindi si fa carico pure del non semplice compito di sostituire un basso tradizionale, con il colore e le sfumature melodiche di Jacopo Bazzarri (impegnato al Vibrafono ed alla Marimba): già la sola cooperazione dei due musicisti, in effetti, riesce a costituire l'ossatura principale di gran parte dei brani che risultano quindi ben sostenuti e permettono di costruire strutture particolari senza danneggiare l'insieme del suono. Ad un substrato armonico, si capisce, già caratterizzato da una ritmicità implicita - grazie alla presenza del suono percussivo di Bazzarri - va aggiunto il non sostituibile ruolo del batterista Massimo Discepoli che riesce, in linea di massima, a gestire il tempo ed il movimento dell'insieme attraverso pattern semplici ma funzionali. Sembra così che la peculiarità del trio sia proprio uno sbilanciamento verso il versante ritmico più marcato, che resta predominante in tutto il disco, eccezion fatta per il solo episodio di "Sballad".

In effetti durante l'ascolto si percepisce un forte impegno finalizzato a mantenere la prevalenza dell'effetto trainante di ritmi serrati e puliti, quindi a concedere spazio al movimento dei brani, alla cadenza degli accenti, attraverso un uso sapiente dei ritmi shuffle in vari episodi.

Il lavoro dei Vibrham si apre con "Walkin' in Harlem", Funk efficace e risoluto, che funziona un po' da presentazione dei protagonisti, delle potenzialità del disco. Una sorta di fortuita overtoure dalla struttura molto semplice (ma ricordiamo che è la semplicità spesso il giusto veicolo del valore) in cui ascoltiamo due a solo, Bazzarri prima e Fabbri poi, perfettamente simmetrici. La parola passa poi ad un linguaggio più articolato, in cui si misura bene la coesione dell'insieme, nel brano "Icaro". Oltre a presentare uno dei temi più belli del disco è anche uno dei pochi momenti in cui la batteria esce dal proprio solido ruolo in background e si concede qualche fraseggio libero in un breve a solo.

Meno riuscito è purtroppo il brano successivo, "From John to John". Qui viene a mancare la continuità che si esperisce nelle altre composizioni e sembra di trovarsi di fronte a blocchi assemblati in modo un po' chirurgico; e nonostante sia lodevole l'a solo dell'organo di Fabbri e vi si trovino momenti piuttosto ben risolti anche la ritmica sembra un po' stantia, forse troppo formale, ed in fondo stereotipata.

Ma non appena ci si passa alla traccia consecutiva le cose cambiano: "Kandisky" è il momento più felice del disco. E' paradossalmente la batteria ora che fa da padrona, decidendo il buono ed il cattivo tempo dalla sua posizione di "retrovia", a dettare legge attraverso un ritmo nervoso, frenetico, che raggiunge l'apice nel bridge dei due rispettivi a solo di Bazzarri e Fabbri, sostenendo in modo splendido ed energico il flusso melodico. L'effetto è straniante. Un brano del genere è degno di attenzione, perché preso in esame attentamente può rivelare connessioni inaspettate riguardo alle proprie radici. Dove ascrivere dunque gli effettismi, l'accuratezza timbrica di cui i tre fanno grande uso in questa occasione; a cosa ricondurre lo stile nervoso, rapido e frammentato di questo brano se non ad una chiara eco di quella musica elettronica che, spopolando verso la fine degli anni '90, ha costituito la spina dorsale della Drum‘n'Bass? E non si storca il naso di fronte a questa ipotesi, perché oltre ad essere una delle branche dell'elettronica commerciale più interessante, la vicinanza con il brano dei nostri è impressionante e non solo sul versante ritmico puro ma anche su quello espressivo. Naturalmente non è una impersonale riproposizione di sonorità del genere, cosa peraltro non realizzabile, ma vi si trova del proprio, soprattutto nella composizione stessa del brano e negli a solo: splendidi. Non c'è da stupirsi: questo brano può solo far rammentare le peculiarità della composizione jazzistica, nella quale è incarnato l'assorbimento (anche involontario) della realtà musicale attorno a cui si sviluppa una determinata esperienza d'insieme.

E' il momento poi di "Sballad" che costituisce, come prima si accennava, l'unica eccezione alla strettezza ritmica del disco. Qui il campo è totalmente di Bazzarri che ne approfitta per assemblare un a solo disteso e d'atmosfera, un'ottima pausa lungo la scaletta dei brani, per poi ricadere nel tiro del ritmo di "Blues.it" altro momento eccellente in cui si passa con scorrevolezza da un'accentazione Funk, con il primo e secondo tempo marcati dal rullante netto, ad una più spezzata, caratterizzata dal tempo swing e più mimetica. Ed è qui, finalmente, il secondo momento, dopo "Icaro", in cui abbiamo al possibilità di ascoltare le invenzioni soliste di Discepoli, attraverso dialoghi di battute incrociate fra gli strumenti.

Se "Quiet Song" non convince molto, forse a causa di una nuova caduta in quel formalismo eccessivo, tocca all'ultimo brano, "Dr. Smith", risollevare le parti in causa, cosa che in effetti riesce piuttosto bene. Difficile capire se ci sia un riferimento volontario dal semplice titolo, ma bisogna osservare che lo stile di questo brano ricorda parecchio i Vital Information del poliedrico Steve Smith.

I Vibrham insomma sembrano avere tutte le carte in regola per diventare una realtà significativa nel panorama del Jazz peninsulare. Il loro primo lavoro è valido, certo non eccellente, ma ricco, come si è visto, di spunti interessanti e di freschezza tecnica. Dopo già pochi ascolti sa farsi apprezzare. E' su queste caratteristiche che si auspica un forte impegno futuro, così da ricavare qualcosa di presente e magari meno chiuso in modi espressivi eccessivamente vicini fra loro.

I numeri ci sono, la prova generale funziona: ora aspettiamo di vedere i prossimi frutti di sforzi così lodevoli.
Achille Zoni per Jazzitalia













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Data pubblicazione: 30/03/2007

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