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Ed. The Act Company 2005
E.S.T. – Esbjorn Svensson Trio
Viaticum


1. Tide Of Trepidation
2. Eighty-eight Days In My Veins
3. The Well-wisher
4. The Unstable Table & The Infamous Fable
5. Viaticum
6. In The Tail Of Her Eye
7. Letter From The Leviathan
8. A Picture Of Doris Travelling With Boris
9. What Though The Way May Be Long

Esbjörn Svensson - piano
Dan Berglund - bass
Magnus Öström - drums



La sensazione che immediatamente si ha dopo un primo ascolto di questo lavoro di Svensonn è il freddo. Poi, in un crescendo di sensazioni, il calore si avverte.

Un viaggio interiore, iniziatico immerso nel languore tutto scandinavo. Esbjorn Svensonn al piano, Dan Berglund al basso e Magnus Oström alla batteria. Suoni che si muovono nelle armonie del piano. Grande tecnica ma poco "cuore" soprattutto nelle battute iniziali.

Tide of trepidation è eccessivamente lungo e ripetitivo. Non mostra alcun cambiamento armonico e Svensonn si ripete all'infinito.

Tema ripreso – dejavù consolidato – anche Eighty–eight days in My Veris che sembra essere sempre sul punto di decollare, ma rimane statico e chiuso nei pattern imposti dal piano.

Brandelli di suoni più intensi, vagamente latini, si ritrovano in The Well-wisher, grazie soprattutto al lavoro svolto dalla sessione ritmica che rende più accattivante il brano.

L'assetto dell'album cambia con una piccola perla: l'articolata The Unstable Table & The Infamous Fable. Un brano che scuote le menti. Un viaggio cerebrale e fisico attraverso la musica, dalla classica al rock più estremo. Berglund utilizza il contrabbasso alla stregua di una chitarra creando effetti con l'arco e ne fuoriescono suoni sostenuti dal crescendo armonico-ritmico di piano e batteria. Anche Svensonn si scioglie e si lascia andare ad un solo permeato di tristezza ma ricco di inventiva. La carica psicoarmonica che diffonde è senza pari.

L'asciuttezza compositiva ed esecutiva ritorna con possanza nella title track Viaticum che mette in evidenza la linearità di Svensonn e sicuramente l'interplay del trio.

Ancora calata nella dolcezza, forse eccessiva, è In The Tail of Her Eye che si chiude con un solo di batteria evocativo di battaglie. I suoni che fuoriescono dai tamburi sembrano fuochi, esplosioni in lontananza.

Letter from The Leviathan si staglia sui ritmi già codificati. Ritmi soffici, melliflui che si ripetono. L'imprinting di Svensonn è adeguatamente sorretto in ogni suo escursione pianistica da Berglund e Ostrom.

Sistemi classici e ritmica sinusoide caratterizzano A Picture of Doris Travelling with Boris. Eleganza e sobrietà si presentano in questo brano che ha degli accenti nostalgici evidenti nelle trame tessute dal piano. La fluidità d'esecuzione lo rende ancor più gradevole.

Il lavoro si chiude con What though the way may be long che riprende i temi trattati, e con la psichedelia manieristica della ghost track, più volta alla new age che al jazz.

Svensonn mostra la sua padronanza di linguaggio ricco ma non vario. E' attento al sincronismo dell'attimo. Non perde un colpo, seppur nella sua peregrinante ripetitività.

Il duo ritmico assegna una maggiore corporalità all'intero lavoro e cerca di conferire una maggiore inventiva nell'ambito dei registri sonori stereotipati.

Il flusso di idee di Svensonn è sicuramente buono, ma crea ambienti siderali alla stregua di un computer. I suoi commenti improvvisativi guardano più all'atmosfera che non agli stacchi e non lasciano adeguato spazio alla fantasia.

E' un lavoro diverso. Diverso da tante produzioni di questi ultimi anni.
Alceste Ayroldi per Jazzitalia













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Data pubblicazione: 19/02/2006

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