Roll the belly significa letteralmente "scuoti la
pancia". Un'espressione tipicamente americana che dava il nome ad un ballo in
voga nei Juke Joints, ritrovi per gli afroamericani del Delta del Mississippi.
Luoghi dove potersi incontrare, bere liquore di contrabbando (era l'epoca del
proibizionismo), ascoltare e ballare il blues.
E
Juke Joint è il nome della band composta da Guido Migliaro (cofondatore dei
"Blues Stuff" e chitarrista di Eduardo Bennato), Enzo Di Domenico
(cofondatore,
bassista e lead vocalist della funk band "Little Italy" ed ex membro dei
"Blake Snake"), Umberto Sirigatti (fondatore e chitarrista della band rockabilly
"Cock'o Drills ed ex "Blues Staff") e Nicola Orabona (batterista dei "Cock'o
Drills, e co-fondatore della band di ethno-rock dei Marenia). La
formazione nasce nel 1999 con un obiettivo ben preciso: recuperare lo spirito e
i suoni del blues
delle origini. Da qui, la definizione di unplugged blues band perché la
loro musica è rigorosamente acustica. E rigorosamente originali sono i brani che
interpretano (salvo rarissime eccezioni). Tradizione e modernità, quindi. E
queste sono anche le caratteristiche principali di "Roll the Belly", il loro
primo disco.
Ma
perché la recensione di un disco di blues su Jazzitalia si chiederà qualcuno?
Forse, perché il jazz nasce proprio dal blues. Forse, perché il primo brano del
disco si chiama proprio Jazz Jazz Jazz, e in esso vi sono anche alcune
misure tipicamente jazzistiche introdotte dal clarinetto del bravissimo
Luciano
Nini (attualmente membro della Orchestra Jazz del Conservatorio San Pietro a
Majella). Ma, soprattutto perché la musica dei Juke Joint, al pari del jazz più
autentico, è musica che racconta storie. In altre parole, musica vera per gente
vera.
Non
è, allora, difficile comprendere come, nelle note di copertina, vi sia la
citazione di grandi musicisti quali, Robert Johnson (di cui viene interpretata
la bellissima Kindhearted woman blues) e
John Lee Hooker cui i Juke
Joint si sono ispirati, ma anche di altrettanto grandi scrittori come, Allen
Ginsberg e Jack Kerouac: l'autore di quel manifesto generazionale chiamato
On the Road.
E,
anche se non si può dare torto a Guido Magliaro quando in Sad saturday night, tra i pezzi più belli dell'intero disco, canta: «And what a hard
work to sing the blues, yes, when nobody wants to hear about'em…(come è duro
cantare il blues, si, quando nessuno vuole sentire parlare di loro)», è
anche vero che, quando suonano i Juke Joint, è tutta un'altra musica!
Massimiliano Cerreto per
Jazzitalia