Nell'ambito della musica jazz non sempre è facile uscire con un lavoro in piano solo, specie nel caso in cui si tratti di un album d'esordio a proprio nome. Ma per un musicista che sia innanzitutto un pianista, ancorché un jazzista, forse questa è la formula più sincera per esprimersi, perché, soprattutto in questo caso, non è mai solo il piano, ma uno scambio di emozioni tra piano e pianista. Ciò non toglie che rappresenti comunque una decisione coraggiosa e dunque una prova ardua: prova che Andrea Rapisarda con
Escape from reality
supera con buon risultato.
Connotato da una marcata linea romantico-melodica, il suo pianismo è intenso e lirico, riflessivo ed emozionale, artefice ed interprete al tempo stesso di composizioni originali, tutte a sua firma, affabili e trasognate, che rendono l'ascolto facile e riposante.
Con il primo brano
Escape from Reality, da cui prende nome l'intero lavoro discografico, qui in un accenno di poco più d'un minuto, si apre con discrezione una porta, un passaggio per sfuggire appunto alla realtà e, quasi in punta di piedi, immettere l'ascoltatore nella dimensione sonora del pianista friulano, facendolo acquattare in un cantuccio nascosto ad origliare il dialogo del musicista con il suo strumento. Certe sue partiture, per immediatezza ed ambientazione, potrebbero facilmente costituire commento musicale per immagini cinematografiche, una esposizione reiterata delle frasi principali dei vari brani, spesso fondata su progressioni armoniche di due soli accordi, come nell'infinito loop della dolce
Wonder G e nelle sue flessuose variazioni. Arpeggi sospesi senza risoluzione redigono l'incipit della magnetica
Shifting the point of view, il cui ballabile inciso si fa sentimentale nel tema principale per divenire cerebrale nel tocco spigliato e deciso dell'interpretazione libera, variando così la prospettiva della linea melodica. Animato da un boogie-bass sul quale si articolano scherzi di frasi ed accordi,
Joking with Rap
sembra una transizione musicale dalle statiche e monocordi figurazioni formali del blues agli infiniti cromatismi dell'universo jazz… Quasi un valzer triste
La strega Sorriso, oniriche le modulazioni tonali a cui si abbandona il lineare arpeggio della sinistra mentre la destra ne svolge la melodia, mantenendo anche negli svisi un'atmosfera surreale, fatta di sovracuti e di indefinite dissonanze.
Misteriosa l'intro di
Antidoto che, da sincopato blues in tonalità minore, evolve in soffusa ballad, per poi tornare ad attardarsi ancora su un pedale blues con sfumature dal sapore arabesco ed ombroso, in contrasto con
Paradox, sulla cui struttura si inserisce un linguaggio jazz dove pregnanti guizzi tecnici denotano di questo pianista spessore espressivo ed una buona dose d'immaginazione. Si presenta come uno dei brani più "classicheggianti" per costruzione armonica e sentimento melodico
Euro, struggente in esecuzione, da ascoltare a seconda dell'umore. Altro tema filmico di immediata acquisizione interiore è
Moving moovie, semplice nel giro e coinvolgente nel fraseggio snodato dell'estemporanea riproposizione motivica, come per
See you Michel, lenta composizione eseguita con trasporto, a tratti ingenua nelle fasi di passaggio, ma di spiazzante genuinità: basta ascoltare per capire a chi questo brano sia ispirato…
E inaspettatamente una sensuale voce irrompe nella solitudine del piano ad interpretare
How do you loose…, un'agile song leggera, raffinato diversivo distensivo e di facile fruibilità, suggestivo connubio tra passione artistica ed amicizia. A concludere la sequenza, infine, la reprise per esteso dell'assaggio d'apertura di
Escape…, che risalta e fluisce adesso nel pieno della sua carica emotiva. Un modo di chiudere l'album e richiudere la porta dietro di sé, con la medesima discrezione della partenza, dopo aver fatto capolino all'interno dell'universo delicato di suoni e sfumature di Andrea Rapisarda.
Non certo incentrato su frasi brucianti in stile bop o su virtuosistiche improvvisazioni solistiche, il presente lavoro dichiara apertamente le matrici d'influenza pianistica del solista, al di là delle quali, tuttavia, emerge marcato il frutto di una elaborazione e di una chiave interpretativa e compositiva personale.
Antonio Terzo per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 29/02/2004
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